Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-02-2011) 23-03-2011, n. 11540 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con sentenza del 02/02/2010, la Corte di Assise di Catania confermava la sentenza del 3/06/2008 con la quale la Corte di Assise di Siracusa aveva ritenuto L.R.C. responsabile – in concorso con altre persone in parte processate separatamente dell’omicidio premeditato, aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, di M.A., Mo.Cl., N.E., S.R. ed Ot.Sa. (c.d. strage di (OMISSIS)). Ad avviso della Corte territoriale, il contesto ed il movente della strage erano stati individuati, grazie alle dichiarazioni dei collaboranti, in dissidi nati all’interno della cosca dei Piscopo (condannati come mandanti in separato processo) e cioè fra costoro e il M.A..

Il primo a parlare di quello che sapeva della strage era stato, appena due giorni dopo, tale I. e le sue dichiarazioni avevano indirizzato le indagini nel corso delle quali assunsero un rilievo decisivo le dichiarazioni confessorie di P.G., P. A. (classe (OMISSIS) fratello di P.G.) e, soprattutto di A.D. che indicarono il L.R. come l’autista di una delle auto che era servita per la strage. In particolare, era emerso che la suddetta auto, una Lancia Thema rubata il (OMISSIS), era stata affidata, appunto al L.R. che, essendo meccanico ne doveva curare la messa a punto, circostanza questa che aveva trovato un riscontro nella perizia dattiloscopica a seguito della quale erano state rintracciate impronte papillari della mano del L.R. nel vano motore della suddetta auto.

La Corte, in sostanza, riteneva che la responsabilità del prevenuto andasse affermata sulla base delle dichiarazioni dell’ A. che erano, a loro volta, state riscontrate sia da quelle rese da P. G. che da P.A. sebbene costoro avessero reso dichiarazioni non del tutto attendibili e contraddittorie. p. 2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo dei propri difensori, ha proposto due separati ricorsi per cassazione (i cui motivi però, sono sovrapponibili essendo state sollevate le medesime censure) deducendo omessa motivazione sulle doglianze proposte con l’atto di appello e violazione dell’art. 192 c.p.p. per essersi la Corte territoriale discostata dai principi di diritto enunciati da questa Corte di legittimità in ordine alla valutazione delle chiamate di correo. Rileva, infatti, il ricorrente, che la Corte territoriale – rispetto alla Corte di primo grado – aveva valutato diversamente il materiale probatorio: infatti, mentre questa aveva assegnato a ciascuna dichiarazione resa dai collaboratori di giustizia lo stesso valore delle altre con una certa preminenza per quelle rese da P.G., al contrario, la Corte territoriale, aveva assegnato il ruolo di prova regina alle dichiarazioni di A., quella meramente indiziaria alle dichiarazioni di P.G. e quella di riscontro a quelle di P.A.. Ma, così motivando, la Corte aveva violato i canoni logici e delle regole di diritto enunciate dalla Corte di legittimità avendo declassato la fonte di maggior peso, a causa della ritenuta inattendibilità, a mero contorno delle "propalazioni, balbettanti e contraddittorie, di A.D.". Passando, poi, all’esame delle dichiarazioni accusatone, il ricorrente rileva che quelle rese da P.G. sono inattendibili sul piano intrinseco e prive di riscontro sul versante estrinseco, come implicitamente ritenuto dalla stessa Corte territoriale. rifatti, la pretesa riconducibilità della strage a seguito di un contrasto insorto con il M. per un’estorsione eseguita a danno di tale Ma. e a causa del pestaggio di m.e. e L.M.V. (zio di L.R.), sarebbe poco credibile perchè nè m. nè L.M. facevano parte del gruppo mafioso e collideva con quanto dichiarato da I.A. che aveva ricondotto l’origine dei contrasti ad una partita di eroina.

Sostiene, quindi, il ricorrente che sarebbe del tutto evidente che il preteso movente (ossia il risentimento del L.R. nei confronti del M. per il pestaggio che costui aveva ordinato nei confronti di suo zio L.M.) non sarebbe stato "sufficiente per spingere un soggetto compos sui a partecipare a un delitto quale quello in esame": sul punto la Corte non aveva dato alcuna risposta nonostante la circostanza fosse stata posta ben in rilievo.

Contraddittoria, poi, era stata la dichiarazione del P. nella parte in cui aveva affermato che aveva coinvolto il L.R. nella strage in quanto bravo pilota e persona fidata "salvo poi affermare che lo stesso sarebbe entrato nell’organizzazione dopo la strage".

Falsa doveva ritenersi anche l’affermazione secondo la quale le operazioni di controllo dell’auto rubata e che sarebbe dovuta servire per l’agguato, furono effettuate dal L.R. alla presenza di esso P. che aveva escluso che il ricorrente avesse aperto il cofano anteriore: affermazione questa smentita dal ritrovamento nel cofano motore di impronte riconducibili proprio al L.R.. Ed ancora, il ricorrente evidenzia il contrasto insanabile fra le dichiarazioni rese da I.A. ed il P. in ordine all’attività svolta da m.e.: il primo aveva sostenuto che costui aveva partecipato alla strage nel ruolo di autista del commando; il secondo, ne aveva escluso ogni coinvolgimento. Sul punto, la Corte, dopo avere risentito il P. che aveva insistito nella sua versione, aveva preferito glissare.

Anche in ordine al pedinamento di M. si registravano discrepanze. A. aveva affermato di avere sospeso il pedinamento su ordine di uno sconosciuto gelese con cui aveva parlato al telefono, all’insaputa di Av. dal quale aveva ricevuto l’incarico del pedinamento. P. aveva, invece, riferito che Av. era a conoscenza dell’ordine di sospensione del pedinamento e, successivamente, aveva sostenuto che il L.R., prima della strage, aveva compiuto con la macchina il percorso tra il bar Esso (dove avvenne la strage) e l’uscita da Vittoria: ma, tale ultimo particolare non poteva essere vero perchè nessuno sapeva dove avrebbe dovuto essere compiuto l’omicidio.

Il ricorrente, poi, evidenzia altre contraddizioni e contrasti fra le dichiarazioni rese dal P. e quelle dell’ A. in ordine al momento in cui venne deciso l’omicidio (pag. 19 – 20 ricorso), al momento in cui i killers scesero dall’auto e alla loro identificazione (pag. 21), alla dinamica dell’esecuzione (pag. 22).

Conclude, quindi, il ricorrente che, da una parte, la Corte territoriale aveva violato le regole di cui all’art. 192 c.p.p. e, dall’altra, non aveva risposto alle censure analitiche e dettagliate formulate dalla difesa. Quanto alle dichiarazioni rese da P. A. (fratello di P.G.), il ricorrente osserva che, nonostante la stessa Corte le avesse drasticamente ridimensionate, esse non avevano, comunque, alcuna attitudine a convalidare alcunchè come ritenuto nella sentenza impugnata.

Sostiene, infatti, il ricorrente che, nonostante numerose contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni rese dal P. A. (che non aveva partecipato alla strage essendosi occupato solo di reperire l’auto che sarebbe servita per l’agguato) e riconosciute dalla stessa Corte territoriale, tuttavia erano state utilizzate "per puntellare il narrato di A." senza però adempiere all’obbligo di motivazione rinforzato richiesto dalla giurisprudenza quando si utilizzano solo una parte delle dichiarazioni.

Quanto all’ A., il ricorrente sostiene che anche le dichiarazioni rese da costui, non avrebbero potuto essere considerate attendibili essendo inficiate da contraddizioni logiche, divergenze rispetto alle propalazioni fornite da altri collaboranti e collidenti con i dati di fatto acquisiti nel corso dell’istruttoria dibattimentale.

Innanzitutto, A., in un primo momento, aveva indicato il soggetto alla guida dell’auto da dove erano scesi i killers in tale O.C..

Successivamente, però, muta versione ed afferma che si trattava di L.R.C..

Ma, tale dichiarazione non poteva essere credibile perchè lo stesso A. aveva affermato che, subito dopo la strage aveva stretto amicizia e collaborazione proprio con il L.R., sicchè non risultava comprensibile la confusione e l’incertezza del collaboratore nell’indicare colui che era alla guida dell’auto.

L’ A. aveva affermato che il soggetto alla guida dell’auto era senza occhiali: ma ciò era errato perchè il L.R. era affetto da miopia di una certa importanza che rendeva impossibile la guida dell’auto senza occhiali, circostanza questa confermata dal P. G. che aveva dichiarato, appunto, che il L.R. indossava gli occhiali.

Le dichiarazioni rese dall’ A. in ordine al ruolo ed alla dinamica della sparatoria, collidevano con quelle rese dal P. (pag. 30 – 31 ricorso), sicchè "le due propalazioni, vere colonne della pronuncia di penale responsabilità a carico di L.R., si rivelano irrimediabilmente contraddittorie e dunque inadeguate a riscontrarsi vicendevolmente".

Infine, la versione dell’ A. non era compatibile con la ricostruzione della strage effettuata nella sentenza irrevocabile con la quale era stato chiarito che il m.e. era colui che aveva indicato le vittime ai killers, era stato individuato come il soggetto che guidava l’auto. Era chiaro, quindi, che "non avrebbe avuto alcun senso la necessità di un soggetto con il compito di indicare le vittime se il capo del gruppo di fuoco di quel giorno era P., un vittoriese che conosceva bene la vittima e non un soggetto proveniente da fuori".

Quanto, infine, all’esito della perizia dattiloscopica, il ricorrente osserva che non solo non era individualizzante ma non aveva fornito neppure un generico riscontro esterno alle chiamate di correo, atteso che il P.G. aveva dichiarato che il L.R. aveva aperto solo il cofano posteriore e non quello anteriore dove vennero rilevate le impronte. In secondo luogo, in nessun modo quelle impronte indicavano e, perciò, individualizzavano, il ruolo svolto dal L.R. nella strage,indicando, al più che il medesimo, di professione meccanico, aveva toccato, in circostanze che non era possibile precisare, il motore di quell’auto.
Motivi della decisione

p. 3. Come si è anticipato in parte narrativa, la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilità del prevenuto sulla base delle dichiarazioni rese da A.D., dichiarazioni ritenute attendibili intrinsecamente ed estrinsecamente nonchè riscontrate sia oggettivamente (impronte digitali rinvenute nel cofano dell’auto) sia dalle dichiarazioni rese da P.A. sia, ma solo a livello indiziario, da quelle rese da P.G.. La tesi difensiva, come si è visto, è tutta tesa a dimostrare l’assoluta inattendibilità di P.G., la contraddittorietà delle dichiarazioni rese da A., la mancanza del carattere individualizzante quanto alle impronte digitali. Questo essendo il thema decidendum, l’esame della vicenda per cui è processo non può che partire dall’analisi delle dichiarazioni rese da A.D. ossia valutare se la Corte abbia rispettato il tradizionale e consolidato principio di diritto secondo il quale "ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità a mente del disposto dell’art. 192 c.p.p., comma 3, il giudice deve in primo luogo sciogliere il problema della credibilità del dichiarante (confidente e accusatore) in relazione alla sua personalità, alle sue condizioni socio-economiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità e alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione e all’accusa dei coautori e complici; in secondo luogo deve verificare l’intrinseca consistenza e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri come precisione, coerenza, costanza, spontaneità; infine deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni. Questo esame deve essere compiuto seguendo l’indicato ordine logico perchè non si può procedere a una valutazione unitaria della chiamata in correità e degli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sè, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa. In presenza di tutti i suddetti requisiti, la chiamata di correo ha valore di prova diretta contro l’accusato": ex plurimis Cass. 2350/2004 Rv. 230716. p. 3.1. Requisito della credibilità del dichiarante A.: la Corte territoriale non ha dubbi nel ritenerne l’attendibilità soggettiva, alla luce anche "della coerenza logica del narrato e assenza di vuoti di memoria, concordanza dei contenuti nel tempo" così come aveva già ritenuto la Corte di primo grado le cui argomentazioni venivano quindi condivise (pag. 22 sentenza impugnata). Sul punto si può aggiungere che, al di là del rinvio alla valutazione effettuata dalla Corte di primo grado, nella sentenza impugnata risulta evidente la credibilità che viene attribuita all’ A. essendo costui addentro alla cosca che faceva capo al P.G. (ossia colui che aveva interesse ad eliminare il M.), e nella quale, all’inizio, ricopriva il ruolo secondario di estorsore per poi, dopo la strage, divenirne il responsabile una volta arrestato Av.Gi. ossia colui che l’aveva introdotto nella cosca (cfr pag. 12 e 26 sentenza impugnata).

D’altra parte, sotto questo primo profilo, è significativo che la difesa non abbia ritenuto di spendere alcuna parola (come risulta dai ricorsi e come da atto la stessa Corte territoriale che ha parlato "di generiche critiche per così dire di stile"), profondendo, al contrario, tutti gli argomenti nel cercare di dimostrare l’inattendibilità estrinseca delle dichiarazioni rese. Si può, quindi, affermare che l’attendibilità soggettiva dell’ A. risulta essere stata affrontata e risolta positivamente dalla Corte territoriale, alla stregua dei consueti criteri indicati da questa Corte di legittimità. p. 3.2. Requisito dell’intrinseca consistenza delle dichiarazioni accusatorie: risulta dalla sentenza impugnata che l’ A. fu arrestato nel dicembre del 2002 ed iniziò a collaborare nell’aprile del 2003 rendendo le seguenti dichiarazioni (pag. 12/13):

– esso A. era stato introdotto nel giro delle estorsioni da tale Av.Gi. il quale, però, subito dopo, gli disse che erano insorte difficoltà con tali M., Tu. (D. M.) e tale G. ai quali, quindi bisognava dare una lezione (rectius: una bastonata). A tal fine l’ Av. gli ordinò di pedinare il M. ed il D.M. e di comunicare, il momento in cui si fossero trovati all’interno del bar Esso, ad un ignoto interlocutore del quale gli aveva fornito il solo numero di telefono;

– la mattina del 2 gennaio 1999, si sentì chiamare al telefono dall’ignoto interlocutore il quale lo sollecitava a riferire dove si trovasse il M. perchè loro erano pronti. Nel pomeriggio, mentre era intento nella sua attività di intercettazione dei movimenti del M., lo vide arrivare insieme a N. e Mo. nel bar dove si intrattennero. A quel punto giunse una seconda telefonata dall’ignoto interlocutore al quale comunicò che il M. si trovava nel bar Esso;

– avendo capito dalla risposta ("basta, stiamo venendo, se ne deve andare anche se è lui solo") quali erano le vere intenzioni del gruppo, egli fece appena a tempo ad uscire dal bar quando vide arrivare una Lancia Thema proveniente da (OMISSIS) con a bordo "tre persone, due sedute dietro ed il guidatore era C. il meccanico, cugino di tale O.S., e che lavorava in un’officina sulla stradale per S. insieme a tale C. G.";

– successivamente (dalla metà aprile a tutto luglio del 2003), dopo aver esaminato 103 foto di vari soggetti, indicò, "senza perplessità e dichiarando che non ne ricordava il cognome" C. il meccanico come il L.R., sostenendo che costui, che all’epoca della strage non conosceva, gli era divenuto familiare successivamente perchè frequentavano la stessa organizzazione e trafficavano in droga (cfr pag. 22 sentenza impugnata). p. 3.2.1. La difesa, incrociando le suddette dichiarazioni anche con quelle rese da P.G., ha rilevato le seguenti contraddizioni:

1. l’ A. non poteva essere credibile quando, nel 2003, e cioè dopo quattro anni dalla strage, aveva dichiarato di non conoscere il cognome di L.R. atteso che egli stesso aveva dichiarato che, dopo la strage aveva incominciato a frequentarlo essendo inserito nella stessa organizzazione;

2. l’ A. aveva affermato che il soggetto alla guida dell’auto era senza occhiali: ma ciò era errato perchè il L.R. era affetto da miopia di una certa importanza che rendeva impossibile la guida dell’auto senza occhiali, circostanza questa confermata dal P.G. che aveva dichiarato, appunto, che il L.R. indossava gli occhiali;

3. le dichiarazioni rese dall’ A., in ordine al ruolo ed alla dinamica della sparatoria, collidevano con quelle rese dal P. (pag. 30 – 31 ricorso), sicchè "le due propalazioni, vere colonne della pronuncia di penale responsabilità a carico di L.R., si rivelano irrimediabilmente contraddittorie e dunque inadeguate a riscontrarsi vicendevolmente";

4. infine, la versione dell’ A. non era compatibile con la ricostruzione della strage effettuata nella sentenza irrevocabile con la quale era stato chiarito che il m.e. era colui che aveva indicato le vittime ai killers, e come il soggetto che guidava l’auto. Era chiaro, quindi, che "non avrebbe avuto alcun senso la necessità di un soggetto con il compito di indicare le vittime se il capo del gruppo di fuoco di quel giorno era P., un vittoriese che conosceva bene la vittima e non un soggetto proveniente da fuori". p. 3.2.2. Si tratta, però, di critiche fuorvianti per le ragioni di seguito indicate. p. 3.2.2.1. Conoscenza del L.R. (censura sub 1): per comprendere la fallacia della censura, è necessario ripercorre, cronologicamente, le dichiarazioni rese dall’ A.. Costui, nell’aprile del 2003, nel descrivere il momento immediatamente antecedente alla strage, riferì che, mentre usciva dal bar, vide arrivare una Lancia Thema alla cui guida vi era C. il meccanico, cugino di tale O.. Nel corso delle ulteriori dichiarazioni (rese dall’aprile al luglio 2003), riferì: a) che all’epoca dei fatti non conosceva il L.R.; b) che lo aveva conosciuto successivamente quando aveva incominciato a frequentarlo facendo parte entrambi della cosca; c) quando aveva effettuato la ricognizione fotografica era convinto che il C. in questione si chiamasse O..

Ora, da queste dichiarazioni si può agevolmente dedurre che nessuna contraddizione è ravvisabile posto che: a) da subito l’ A. riferì che l’autista della Lancia Thema lui lo conosceva come C. il meccanico: e tali due elementi sono perfettamente aderenti al L.R. che si chiama, appunto, C. e di professione faceva il meccanico; b) l’obiezione della difesa sarebbe fondata se vi fosse la certezza che l’ A., frequentando il L. R. (nel periodo dopo la strage) era venuto a conoscenza del suo cognome. Invece, l’ A. ha sempre riferito che egli lo conosceva solo per nome ( C.) e mestiere (meccanico) credendolo, però, cugino di tale O.. La Corte, quindi, non è incorsa in alcuna illogicità nè lacuna (cfr pag. 22 sentenza) perchè non è illogico nè inusuale che i componenti di un clan (ed, in genere, di un gruppo di persone) si possano conoscere solo per nome, tanto più che, nella specie, l’ A. era convinto che il C. in questione si chiamasse O. (quindi era convinto di conoscerne anche il cognome). Il che spiega anche il fatto che, solo all’esito della individuazione fotografica, riconoscendo in una delle foto il C. di sua conoscenza, venne a sapere che il suddetto si chiamava, in realtà, L.R. e non O., chiarendo, così l’equivoco in cui era caduto lui e gli stessi inquirenti che, evidentemente fuorviati dalla falsa indicazione del cognome, non erano riusciti ad identificare l’autista della Lancia Thema. p. 3.2.2.2. Gli occhiali (censura sub 2): la difesa ritiene che vi sia una discrasia fra le dichiarazioni rese da P. (secondo il quale il L.R. indossava degli occhiali da vista) e quelle rese da A. (secondo il quale l’autista era senza occhiali). Si tratta di una pretesa contraddizione che non risulta dalla sentenza impugnata nella quale è scritto che l’ A. aveva riferito di aver visto alla guida dell’auto C. il meccanico (senza specificare se avesse o meno gli occhiali: pag. 13). Era stato il P.G. a riferire che il L.R. indossava "un cappellino e degli occhialini scuri" senza però precisare se erano da vista. In realtà, va poi osservato che la censura dedotta in questo grado di giudizio, non era stata neppure oggetto di alcuna specifica doglianza nei motivi di appello. Ciò spiega il motivo per cui la Corte territoriale non fa alcun cenno alla questione sollevata dalla difesa in questo grado di giudizio. Il che, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), rende la censura, sul punto, inammissibile. p. 3.2.2.3. Ruolo e dinamica della sparatoria (motivo sub 3 censura):

si tratta della censura sviluppata dal ricorrente a pag. 30 del ricorso (sottoscritto da entrambi i difensori) con la quale viene evidenziato un preteso contrasto insanabile fra quanto dichiarato dall’ A. (il quale aveva riferito che il L.R., quando si frequentavano, gli aveva confidato di un progetto omicidiario ai danni di esso A. e che esso L.R. lo aveva risparmiato:

cfr pag. 17 sentenza) e quanto dichiarato dal P.G. (che non aveva mai riferito nulla in merito al suddetto progetto, avendo solo detto che durante la ruga aveva riferito al L.R. che, stava per sparare al "palo" ossia all’ A. non avendolo riconosciuto). Ora, a parte l’estrema genericità con la quale la pretesa contraddizione è stata dedotta (in pratica, nè la sentenza nè la stessa difesa, hanno approfondito il particolare del preteso mandato omicidiario), resta il fatto che non si ravvede alcuna contraddizione fra le due dichiarazioni per la semplice ragione che non può esservi contraddizione fra una dichiarazione che riferisce un determinato fatto (nella specie, il preteso progetto omicidiario) ed un’altra che nulla riferisce sul punto. In ogni caso, si tratta di un elemento del tutto irrilevante perchè è stato riferito dall’ A. non per scienza diretta ma in quanto confidatogli dal L.R., sicchè, sul punto, ogni riscontro (positivo o negativo che sia) è impossibile. p. 3.2.2.4. Il ruolo di m.e.: anche in tal caso si tratta di una doglianza infondata frutto di una fuorviante lettura della sentenza. La Corte territoriale, quanto al m.e., scrive che, con sentenza passata in giudicato, è stata accertato che costui (insieme ai fratelli ed al cugino P.) oltre che essere il mandante della strage e l’autista di una delle auto (pag. 21 sentenza) "prese parte all’esecuzione indicando agli uccisori le persone delle vittime" (pag. 12 sentenza). Sostiene il ricorrente che "la presenza del m. nel ruolo rivestito secondo la Corte di Assise di appello di Catania nel primo processo sulla strage, non collima con le versioni fornite da P.G. e A. D.: non avrebbe avuto alcun senso la necessità di un soggetto con il compito di indicare le vittime se il capo del gruppo di fuoco di quel giorno era P., un vittoriese che conosceva bene la vittima e non un soggetto proveniente da fuori. Anche su questo punto, o errano vistosamente i giudici catanesi del primo processo o non sono credibili – dal punto di vista prettamente logico – le propalazioni di A. e dei P.". Sennonchè, va replicato che nessuna contraddizione è ravvisabile laddove si tenga presente che l’ A. stava velocemente allontanandosi dal bar, sicchè fece appena in tempo a vedere il sopraggiungere della sola Lancia Thema, tant’è che non riferì di altre vetture (che, pacificamente, invece, erano più di una), sicchè si limitò a dichiarare quello che aveva visto e sentito, dalla sua limitata visuale, in quei concitati istanti. Non vi può essere, quindi, alcuna contraddizione fra la versione dei fatti dell’ A. e quella accertata nella sentenza passata in giudicato che si occupò degli altri soggetti coinvolti nella strage.

All’esito dell’esame delle dichiarazioni rese dall’ A., si può, pertanto, concludere che le medesime, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non sono affatto contraddittorie. Di conseguenza, non si presta ad alcuna censura la decisione della Corte territoriale nella parte in cui ha ritenuto le suddette dichiarazioni sono attendibili intrinsecamente per "la coerenza logica del narrato e assenza di vuoti di memoria, concordanza dei contenuti nel tempo" così come, d’altra parte, aveva già ritenuto la Corte di primo grado (pag. 22 sentenza impugnata). p. 3.3.1 riscontri esterni: la Corte territoriale, infine, a pag. 23 ss della sentenza, ha illustrato i riscontri esterni alla chiamata in reità effettuata dall’ A. nei confronti del L.R.. Ha osservato la Corte che, all’interno del cofano motore vennero rilevate tre frammenti di impronte papillari che la perizia dattiloscopica accertò essere riconducibili al L.R.. Sul punto, la Corte scrive: "(…) la valenza è indiscutibile per il fatto che qui viene in considerazione come riscontro oggettivo estrinseco, rispetto alla chiamata in reità di A., il quale nulla sapeva del come i killers erano venuti in possesso della macchina, nè quale fosse stato il rapporto fisico di L.R. col veicolo, se non quello di essersi posto alla guida dello stesso. Ed è per questo che la testimonianza di P.A. funziona da ulteriore riscontro, a completamento del quadro accusatorio, per l’autonomia che caratterizza la dichiarazione sul punto in cui spiega questa cosa, sin dal tempo del primo esame circa l’oggetto della collaborazione: dal momento in cui suo fratello G. si assunse il compito di organizzare l’uccisione di M., gli girò l’incarico di reperire una macchina veloce: il che egli fece per tramite del cognato R. che la fece rubare da due ragazzi di Vittoria e gliela consegnò, senza sapere alcunchè dell’uso che se ne sarebbe fatto; egli a sua volta, su indicazione del fratello, la consegnò a L.R. che è un suo cugino acquisito: si limitò a consegnargli la vettura senza dare alcuna spiegazione nè fare alcun commento, sapendo solo, in base quanto gli aveva detto il G., che egli ( L.R.) avrebbe saputo cosa fare".

Conclude la Corte rilevando che la testimonianza di P. G. era residuale e consisteva nel fatto che aveva fornito il movente della partecipazione dell’imputato alla strage: " L.R. C. non è persona estranea alla famiglia e anzi ha mantenuto rapporti personali con il dichiarante improntate al rispetto reciproco e M. gli diede pure motivi di rivalsa, per essersela presa con un suo zio per cause che il collaborante non approfondì; e tanta fu la stima che ne ebbe, che decise di farne il suo vice: A.D., dopo che l’eccidio fu consumato, doveva decidere da che parte stare; anzi non aveva scelta, perchè se non si fosse legato definitivamente alla cosca, sarebbe stato eliminato.

Ebbene, tanto L.R. che A. divennero nel giro di poco tempo, gli uomini di punta della "famiglia" e anzi il bracciante agricolo mafioso per caso (così A. presentò se stesso ai giudici) ne divenne "responsabile" quando fu arrestato Av.

G. e L.R.C. ne fu il braccio destro e destinato a sostituirlo in caso di arresto – siccome avvenne nel 2002; L.R. si occupò prevalentemente del traffico degli stupefacenti e fu depositario di armi del gruppo. In tal senso deposero i collaboranti Al.An. e Al.Gi., i quali dissero che avevano trafficato con A. e L.R., "rispettando le regole," e scelsero di poi, di collaborare tra la fine del 20040 l’inizio dell’anno successivo. Sulla scorta delle loro dichiarazioni e di quelle di A., oltre che sulla base di una imponente prova risultante le intercettazioni telefoniche che ebbero ad oggetto le estorsioni perpetrate in (OMISSIS), L. R. fu condannato per il delitto di cui all’art. 416 bis e per un certo numero di estorsioni aggravate ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, dal GUP di Catania, con sentenza che è divenuta irrevocabile il 6.12.2008". Si tratta di considerazioni ineccepibili sul piano logico, tant’è che la stessa difesa nulla ha saputo replicare se non che il rilevamento delle impronte non avevano natura individualizzante ben potendo il ricorrente essere entrato in contatto con l’auto per ragioni professionali.

Al che si deve ribattere che si tratta di un’obiezione di poco momento in quanto si limita ad offrire una mera ricostruzione alternativa priva del minima riscontro fattuale. p. 3.4. In conclusione il ricorso va rigettato perchè la sentenza impugnata:

– ricostruisce il movente della strage (cfr pag. 11) e le ragioni per le quali il L.R. vi partecipò (sia per vendicare il pestaggio che il M. aveva ordinato ai danni dello zio – circostanza questa risultata vera: cfr pag. 16 – sia, soprattutto, perchè il L. R. ambiva ad entrare a far parte della famiglia mafiosa che faceva capo ai P. e quella era, quindi, la grande occasione, tant’è che subito dopo, divenne uno dei capi del clan);

– vi è la prova diretta a carico del ricorrente costituita dalla testimonianza dell’ A. che ha dichiarato di averlo visto e riconosciuto alla guida della Lancia Thema dalla quale scesero i killers: la suddetta testimonianza, si è rivelata, alla stregua dei criteri indicati da questa Corte di legittimità, attendibile soggettivamente, priva di contraddizioni e riscontrata oggettivamente;

– vi è l’ulteriore prova che al L.R., prima della strage, fu consegnata la Lancia Thema che era stata appositamente rubata per l’agguato, auto che il L.R., essendo meccanico, doveva controllare per renderla efficiente: e tale prova è stata desunta dal fatto che furono rinvenute le impronte papillari della mano del ricorrente.

Alla stregua del suddetto quadro probatorio, dal quale la Corte territoriale, con ragionamento logico, congruo ed adeguato, ha desunto la responsabilità penale dell’imputato, la difesa non ha evidenziato elementi di illogicità e/o carenza o altri vizi di legittimità. La pretesa contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal P.G., sono state tenute ben presenti dalla Corte territoriale la quale, non a caso, le ha relegate al semplice ruolo di mero indizio con valenza ai soli fini della ricostruzione del movente, movente, peraltro, che trova ulteriori riscontri in altre fonti.

Stessa cosa dicasi per le dichiarazioni rese da P.A., utilizzate solo marginalmente come riscontro ab estrinseco unitamente alle impronte digitali.

Al rigetto del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè a quelle sostenute dalle parti civili.
P.Q.M.

RIGETTA Il ricorso e CONDANNA Il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalle seguenti parti civili:

1. N.G.; G.F.E., in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sul minore N.C.;

N.S.; N.F.; N.D.; M. R.; M.T.; M.G., liquidate in Euro 9.775,00 oltre Iva e Cpa;

2. N.M. – Ro.Ro. – Mo.Da. – Mo.

L. – Mo.Ga. – Mo.Do. – M.M. C., liquidate per tutti in complessivi Euro 8.800,00 oltre Iva e Cpa;

3. Provincia di Ragusa, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, liquidate in complessivi Euro 4.000,00 oltre Iva e Cpa;

4. S.F. – S.G. – T.R.A. – Ot.Ga. – Ca.Ma. – Ot.Da. – Ot.

R., liquidate in complessivi Euro 5.705,00 oltre rimborso spese generale, Iva e Cpa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. III, Sent., 05-04-2011, n. 2121

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

a su delega di Bora, e Sciolla;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Regione Toscana, con bando n. 5741 del 3 novembre 2009 ha indetto una gara con una procedura aperta per l’affidamento di "Operazioni di lavoro aereo con elicotteri, per il supporto al sistema regionale di prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi" del valore di Euro 18.450.000 con durata 1 gennaio 2010 – 31 dicembre 2012, alla quale hanno partecipato la E. T. s.r.l. e la E. s.r.l., ambedue in proprio e quale mandatarie di costituendi R.T.I..

La E. veniva esclusa dalla commissione di gara per mancanza del requisito concernente il possesso del prescritto numero di elicotteri; successivamente anche la E. veniva esclusa, a seguito di chiarimenti richiesti dalla commissione anche su specifica segnalazione della citata E., per la intervenuta mancanza di disponibilità di un pilota sui 30 richiesti dal bando (punto III 2.3) e pertanto per il venir meno del requisito della capacità tecnica.

2. La E. ha proposto ricorso avverso detta esclusione, notificato il 17 marzo 2010 e depositato il 23 marzo 2010, dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana deducendo plurime violazioni di legge e vari profili di eccesso di potere.

La Sezione I di quel Tribunale, con sentenza n. 6693 del 3 novembre 2010, depositata il 29 novembre 2010, ha respinto il ricorso dichiarando al contempo inammissibile l’impugnativa incidentale presentata dalla E., compensando le spese di giudizio e disponendo altresì la ripresa dello svolgimento della nuova gara bandita dalla Regione per l’aggiudicazione del servizio in questione.

3. La E. ha proposto appello avverso detta sentenza con atto notificato il 28 dicembre 2010 e depositato il 10 gennaio 2011, deducendo:

– Error in iudicando. Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione della lex specialis: punto III. 2.3) del bando della gara e paragrafo 3 del Disciplinare di gara. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 5 e 6, Capitolo Speciale d’Appalto. Violazione e falsa applicazione dei chiarimenti forniti dalla Stazione appaltante sul requisito dei 30 piloti. Violazione e falsa applicazione del principio di autovincolo della Stazione appaltante alle prescrizioni della lex specialis. Violazione e falsa applicazione del principio di massima partecipazione, di par condicio e di trasparenza. Violazione e falsa applicazione del principio di tutela dell’affidamento, di buona fede e di correttezza dell’azione amministrativa. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Cost.. Eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto istruttorio, difetto di motivazione, illogicità, contraddittorietà, irragionevolezza, sviamento, travisamento di atti e di fatti, difetto di proporzionalità.

L’offerta presentata dalla ricorrente, circa la disponibilità dei 30 piloti a eseguire il servizio, era pienamente conforme alle previsioni di gara, atteso che il ritiro della disponibilità di un pilota, signor Mauro Bove, è intervenuto successivamente in sede di svolgimento di gara, e tale circostanza, indipendente dalla volontà della società, atteneva all’esecuzione dell’appalto e non alla partecipazione alla gara stessa.

Per di più tale indisponibilità era conseguita a segnalazione della controinteressata E. e a due dichiarazioni in data 26 e 27 gennaio 2010, asseritamene contraddittorie, del Bove stesso.

L’esclusione dalla gara è quindi viziata da difetto di istruttoria e di motivazione, posto che, si sostiene, la predetta disponibilità era da considerarsi, alla luce della corretta interpretazione del bando, di natura fungibile e variabile nel tempo; la verifica dei requisiti è per di più avvenuta in mancanza della aggiudicazione provvisoria e l’Amministrazione avrebbe dovuto richiedere la reintegrazione del numero dei piloti, e ciò in ossequio ai principi del favor partecipationis e di proporzionalità della sanzione.

Il numero di elicotteri e di piloti richiesto sarebbe altresì eccessivo e immotivato, e il nuovo bando di gara, adottato con provvedimento n. 6423 in data 21 dicembre 2010, contestualmente impugnato per illegittimità derivata, conteneva ex novo una serie di restrizioni e di clausole specifiche, volte asseritamene a legittimare, in momento successivo, il precedente operato della Regione.

Error in iudicando ed error in procedendo. Violazione di legge: violazione e falsa applicazione degli artt. 46 e 79 D.lgs. 163/2006 e s.m.i.. Violazione e falsa applicazione dell’ art. 97 Cost. Violazione e falsa applicazione del principio di autovincolo della Stazione appaltante alle prescrizioni della lex specialis. Violazione e falsa applicazione del principio di massima partecipazione, di par condicio e di trasparenza. Violazione falsa applicazione del principio di tutela dell’affidamento, di buona fede e di correttezza dell’azione amministrativa. Eccesso di potere per carenza di presupposti, difetto istruttorio, difetto di motivazione, illogicità, contraddittorietà, irragionevolezza, sviamento, travisamento dei fatti e di atti, difetto di proporzionalità.

Si ribadisce la violazione del principio della massima partecipazione alle gare, che avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante a prescindere dalle informazioni, riservate e personali, fornite dalla concorrente E., esclusa, e chiedere solo la sostituzione del pilota resosi improvvisamente indisponibile.

L’esclusione è stata comunicata dal presidente della commissione di gara anziché dalla Stazione appaltante.

4. La società E. si è costituita con memoriaappello incidentale in data 31 gennaio 2011, mediante il quale si contrastano puntualmente le censure dedotte dalla E., sottolineando la conformità dell’operato della Regione alle previsioni di gara, e si ripropone il ricorso incidentale già presentato in primo grado e dichiarato inammissibile dal T.A.R..

Si insiste per il suo esame preliminare e si ribadisce sia l’interesse della società a ricorrere, anche se esclusa dalla gara ma in quanto interessata alla ripetizione della gara stessa, sia la censura volta all’ampliamento della motivazione del provvedimento di esclusione della società E. anche all’indisponibilità di altri due piloti, e cioè di A. B. che ha superato i 60 anni di età ed è quindi da ritenere inidoneo al servizio, e di O. R. in forza al Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco.

5. La E., appellante, con memoria in data 21 febbraio 2011, conferma sostanzialmente i motivi di ricorso, evidenziando la "singolarità" del comportamento della concorrente, che ha contattato il pilota B. e ha segnalato la sua indisponibilità, e dello stesso pilota che ha rilasciato in data 26 e 27 gennaio 2010 due dichiarazioni di indisponibilità invero contraddittorie.

Sostiene ancora l’inammissibilità dell’appello incidentale, in quanto la E. è stata esclusa dalla gara e non ha impugnato la sua esclusione, e la infondatezza dello stesso avendo la commissione di gara e poi il T.A.R. riconosciuto la disponibilità degli altri due piloti.

6. La E. ha depositato due memorie datate 22 e 25 febbraio 2011 sottolineando l’inconsistenza delle "insinuazioni" rivolte nei riguardi dei contatti avuti con il Bove, del tutto leciti, e confermando le argomentazioni già svolte in precedenza nel merito.

7. La Regione Toscana, costituitasi con atto datato 18 gennaio 2001, ha depositato memorie datate 18 gennaio e 14 febbraio, con le quali ha replicato puntualmente alle censure dedotte dalla E., ribadendo la legittimità delle proprie determinazioni, adottate in conformità con le previsioni di gara, e sottolineando in particolare l’impossibilità di disporre la sostituzione del Bove con altro pilota richiesta dalla E. per non violare la par condicio e i termini posti dal bando.

8. All’udienza pubblica dell’ 11 marzo 2011, presenti i legali di parte ricorrente e della Regione, la causa è stata trattenuta in decisione.

9. Ciò premesso in fatto, la Sezione è dell’avviso, diversamente da quanto dedotto dalla controinteressata E., che, come peraltro effettuato dal giudice di prime cure, si debba procedere, in sintonia con la giurisprudenza in materia (cfr. fra le altre, Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n.11 del 10 novembre 2008), dapprima all’esame dell’appello principale, e ciò per ragioni di economia processuale e di logicità ma anche perché lo stesso risulta decisivo per dirimere il contenzioso.

Tale determinazione è ancora più avvalorata laddove il ricorso principale si appalesa infondato come nella fattispecie, posto che la Sezione condivide le argomentazioni già svolte dal giudice di primo grado.

10. Orbene, la questione su cui verte il contenzioso è sostanzialmente incentrata sulla lettera della previsione del bando di gara in esame, che richiedeva, ai fini del possesso del requisito della capacità tecnica, quale condizione di partecipazione, fra l’altro, di "avere almeno 30 piloti da destinare al servizio oggetto della gara che abbiano ciascuno, almeno 500 ore di volo totali, di cui almeno 150 nello spegnimento degli incendi boschivi" (punto III. 2.3). A tali fini era stata predisposta una apposita scheda- tipo da compilare e allegare alla documentazione.

A seguito di specifica richiesta della E., la Regione ha precisato che i 30 piloti non dovevano essere alle dipendenze delle società partecipanti alla gara, essendo sufficiente che questi soggetti – prima della presentazione della domanda di gara – avessero fornito la propria disponibilità a svolgere, nell’eventualità di una futura aggiudicazione dell’appalto, l’attività di pilota.

La parte ricorrente è stata esclusa, come dianzi riferito, per la sopravvenuta mancanza di disponibilità di un pilota e quindi, ad avviso della commissione di gara, del requisito della capacità tecnica richiesto dal bando a pena di esclusione; ed invero il paragrafo 3 del disciplinare di gara, rubricato "motivi di non abilitazione alla presentazione delle offerte alla gara" prevedeva testualmente: "…determina la non abilitazione alla presentazione dell’offerta il fatto che:Iil soggetto concorrente: non sia in possesso delle condizioni di partecipazione di cui al punto III. 2) e III. 3) del bando di gara…"

La E. ha sostenuto che il requisito della disponibilità di 30 piloti fosse da ritenersi di natura "fungibile" e "sui generis", e che lo stesso dovesse pretendersi per l’esecuzione dell’appalto. Tale tesi sarebbe supportata dalle previsioni del capitolato speciale, art. 3, commi 5 e 6, secondo le quali la Regione, che prima dell’impiego nel servizio avrebbe dovuto effettuare uno specifico seminario di informazione, avrebbe potuto sostituire personale risultato inadeguato, ovvero chiedere la sostituzione di uno o più componenti gli equipaggi, ovvero autorizzare l’impiego di piloti che avessero superato positivamente un percorso, teorico e pratico.

In ogni caso la stazione appaltante, avrebbe dovuto semmai, preso atto della sopravvenuta indisponibilità indipendente dalla volontà della società e accertata in circostanze asseritamene irregolari e irrituali, richiedere l’integrazione del numero dei piloti disponibili da 29 a 30.

11. La Sezione è dell’avviso, come ritenuto dal T.A.R., che il possesso del requisito de quo è stato disposto dal bando di gara, lex specialis della procedura, esplicitamente quale condizione per la partecipazione alla gara stessa, per cui la mancanza della capacità tecnica, conseguente alla mancata disponibilità di 30 piloti, non poteva non comportare l’esclusione/non abilitazione della concorrente, non essendo la stazione appaltante abilitata a richiedere alcuna integrazione che avrebbe invero pregiudicato la par condicio tra i concorrenti e modificato i termini perentori per la presentazione dell’offerta ovvero i contenuti dell’offerta stessa dopo la presentazione.

Appare invero discutibile- proprio perché potenzialmente lesiva della par condicio tra i concorrenti – un’interpretazione che autorizzi a non possedere i requisiti della lex specialis al momento dell’inizio della fase selettiva per procurarseli poi successivamente (cfr. Consiglio di Stato- Adunanza Plenaria n. 2155 del 15 aprile 2010).

La possibilità di sostituire da parte della Regione alcuni piloti in momento successivo all’aggiudicazione è da riferire chiaramente ad altre fattispecie e comunque, come sottolineato dal giudice di primo grado, attiene alla diversa fase dell’esecuzione del contratto e quindi di attuazione del programma negoziale conseguente all’aggiudicazione stessa.

D’altra parte la verifica dei controlli ex art. 48 del decreto legislativo n.163 del 2006, e quindi delle condizioni di partecipazione ed anche della capacità tecnica, era stata oggetto di espressa riserva del presidente della commissione di gara nella prima seduta, e, trovandosi la procedura ancora nella fase iniziale, correttamente la commissione ha dapprima escluso la E. per la mancanza del numero di elicotteri prescritto dal bando, e, quindi, anche su segnalazione della E., ha richiesto chiarimenti sulla disponibilità di 3 piloti, ed anche del nominato Bove.

È da condividere, pertanto, l’intendimento della commissione, volto, per l’appunto ancora al momento iniziale della procedura e prima dell’adozione delle determinazioni decisive ai fini dell’aggiudicazione, di accertare definitivamente e chiaramente il concreto possesso dei requisiti necessari per la partecipazione, che, come argomentato dallo stesso T.A.R., debbono in ogni caso permanere, come affermato per norma e dalla costante giurisprudenza (cfr., fra le altre, Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 1387 del 15 marzo 2006), in ogni fase della procedura stessa fino alla stipulazione del contratto.

Tant’è che la commissione ha poi, nella successiva seduta, preso atto positivamente dei chiarimenti fornito dalla E. nei riguardi di due piloti, mentre, in presenza di due dichiarazioni in data 26 e 27 gennaio 2010 del pilota Bove sia pure non coincidenti, non ha potuto che riscontrare la indisponibilità comunque dichiarata dallo stesso e quindi disporre l’esclusione/non abilitazione della E..

Le circostanze lamentate da parte ricorrente circa l’acquisizione in particolare della prima dichiarazione di indisponibilità del B., replicate peraltro dalla E., non rilevano ai fini del presente contenzioso e restano salve le eventuali iniziative che la E. ritenesse di intraprendere o avesse già intrapreso in altre sedi.

12. Ciò stante, l’infondatezza delle argomentazioni sul punto svolte dalla parte ricorrente per la sua pregiudizialità rende ininfluente la valutazione degli altri profili dedotti, peraltro motivatamente confutati dal giudice di prime cure, e va quindi dichiarata, a conferma della decisione del T.A.R., l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto dalla E. per difetto di interesse, tenuto conto anche che la stazione appaltante ha già adottato altro bando per una nuova procedura di gara, in corso di definizione.

13. Considerata la complessità della questione si ritiene di dover disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge l "appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 26-04-2011, n. 3574 Collocamento a riposo o in congedo Benefici economici e di carriera

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti, appuntati o Sottuficiali dell’Arma dei carabinieri in congedo, e titolari di invalidità e/o infermità riconosciute dipendenti da causa di servizio, ed iscritte alle categorie di menomazione comprese tra la prima e l’ottava della tabella annessa al d. lgt. n. 876 del 1917 e ss. mm., si dolgono di non godere in virtù di tanto anche dei benefici di cui agli artt. 117 e 120 del r.d. n. 3458/1928 e legge n. 539/1950, consistenti nella anticipazione della maturazione del diritto agli aumenti periodici dello stipendio.

Reclamano, pertanto, il diritto alla percezione di tali benefici, deducendo, al riguardo, l’erronea applicazione degli artt. 117 e 120 del r.d. n. 3458/1928 e della legge n. 539/1950, la violazione degli artt. 3 e 95, Cost., eccesso di potere per disparità di trattamento e manifesta contraddittorietà, illogicità

Concludono, chiedendo la declaratoria del diritto ai benefici di cui sopra e, per l’effetto, la condanna degli intimati Dicasteri e I.n.p.d.a.p., ognuno per quanto di competenza, al pagamento delle differenze dovute, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Si è costituita in giudizio l’Avvocatura Generale dello Stato in difesa delle intimate Amministrazioni centrali; con memoria del 2 dicembre 2010, per il Ministero della difesa, ha evidenziato, altresì, l’infondatezza delle richieste avversarie, chiedendo il rigetto del ricorso.

Si è costituito, altresì, l’intimato I.n.p.d.a.p. che, con memoria difensiva, ha eccepito, in rito, il difetto di giurisdizione a favore della Corte dei Conti, per quanto attiene alle spettanze pensionistiche e la prescrizione del diritto, con riferimento ai ricorrenti collocati a riposo in arco temporale anteriore a cinque anni dalla proposizione del ricorso; nel merito, ha eccepito l’infondatezza del ricorso, di cui ha chiesto, pertanto, il rigetto.

Alla pubblica udienza del 7 aprile 2011 la causa è stata trattenuta a sentenza.
Motivi della decisione

1. Devono essere scrutinate, con priorità, le eccezioni sollevate in rito dalla difesa dell’I.n.p.d.a.p..

1.1 I ricorrenti, tutti congedati dal servizio tra il 1992 ed il 1998, hanno introdotto azione di accertamento in ordine al diritto al riconoscimento dei benefici economici in applicazione degli artt. 117 e 120 del r.d. n. 3458/1928 e della legge n. 539/1950, riconosciuti al personale in servizio, in relazione a vicenda involgente il rapporto di impiego nella fase del servizio attivo, quale il riconoscimento di invalidità e/o infermità dipendente da causa di servizio.

Ritiene, pertanto, il Collegio che il giudice competente nella introdotta controversia non può essere il giudice contabile, in quanto, ai sensi dell’art. 62, R.D. 1214/1934, la giurisdizione della Corte dei Conti in materia pensionistica riguarda tutte le questioni concernenti propriamente il diritto a pensione, rimanendo escluse, invece, le questioni relative al rapporto di pubblico impiego, anche nel caso in cui i provvedimenti emessi concernano lo sviluppo dello stesso nel senso del collocamento a riposo, quale fase conclusiva dello stesso.

Lo spartiacque della competenza del giudice amministrativo va ricercato, dunque, nella pretesa azionata, che rimane salva ove quest’ultima riguardi provvedimenti della Amministrazione di dipendenza, che seppure possano indirettamente influire nella determinazione della pensione, attengono pur sempre ad una fase, ancorché conclusiva, del rapporto di lavoro.

Diversamente, rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice contabile le controversie che concernono con immediatezza, anche nella misura, il modificarsi del diritto a pensione, con riferimento tanto alla liquidazione del trattamento pensionistico, quanto a quelle relative alla determinazione della base pensionabile. (c.fr. Cons. di Stato, VI Sez., 10 aprile 2002, n. 1958; CGARS, 4 luglio 2005, n. 418)

Nel caso in esame, per quanto sopra esposto, l’accertamento del diritto agli aumenti periodici dello stipendio attengono ad una fase procedimentale prodromica a quella concernente il diritto al pensionamento dei ricorrenti, ancorché tale riconoscimento avrebbe poi inevitabili riflessi nel computo del trattamento pensionistico tout court.

Non ha pregio, pertanto, l’eccezione sul punto sollevata.

1.2 E’ invece meritevole di positiva considerazione l’eccezione di prescrizione quinquennale del diritto azionato, come spiegata dalla difesa dell’Inpdap, relativamente ai ricorrenti P.G., B.L. e L.R..

E’ ormai principio pacifico in giurisprudenza che, ai sensi degli artt. 1, I comma, e 20, II comma, della legge 29/12/1973, n. 1032, il diritto di percepire, in tutto od in parte, l’indennità di buonuscita si prescrive nel termine di cinque anni, decorrente dalla data di collocamento a riposo del dipendente (Cons. Stato, Sez. VI, 26/4/2005, n. 1878; Sez. VI, 28/2004, n. 4571; Sez. VI, 22/4/2004, n. 2324); che detto termine prescrizionale trova applicazione anche per gli accessori del credito principale, e cioè interessi e rivalutazione monetaria (Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2005, n. 4134); infine, che, per superare l’eccezione di prescrizione, gli aventi diritto debbono allegare e provare la presenza di atti interruttivi della prescrizione, ma un siffatto valore non può essere attribuito agli atti di liquidazione della buonuscita, che sono atti dovuti con cui il debitore estingue la propria obbligazione (Cons. Stato, Ad. Plen., 22 dicembre 2004, n. 13).

Nel caso di specie, è pacifico tra le parti che i sopra indicati ricorrenti sono stati collocato a riposo, rispettivamente, l’8.04.1993, il 31.12.1994 ed il 28.02.1992, e, pertanto, il ricorso, notificato nel 1999, senza che sia stata data prova di alcun atto interruttivo, risulta azionato ben oltre il termine di prescrizione quinquennale.

A tanto consegue l’accoglimento dell’eccezione sul punto formulata dalla difesa dell’Inpdap.

2. Con il gravame in esame le parti ricorrenti introducono azione di accertamento in ordine al diritto ai benefici di cui agli artt. 117 e 120 del r. d. 31.12.1928, n. 3458, lamentando, in sostanza, che illegittimamente l’intimata Amministrazione della Difesa avrebbe ristretto l’ambito di applicazione della normativa de qua, giusta direttiva n. 6084/142/97 del 16.06.1997, al solo personale militare che al momento della relativa domanda fosse ancora in servizio, con esclusione, dunque, di quello in congedo, quali essi ricorrenti, creando illogiche situazioni di disparità di trattamento legate ai tempi di presentazione dell’istanza.

Reclamano, pertanto, l’accertamento del diritto ai benefici de quibus in ragione della sussistenza dell’unico requisito richiesto dalla pertinente normativa, e cioè, il riconoscimento di una malattia o infermità dipendente da causa di servizio.

Il ricorso non può essere accolto.

Gli artt. 117 e 120 del r. d. 3458/28, di cui è invocata l’applicazione, hanno introdotto la concessione dell’abbreviazione di due, o di un anno, dell’anzianità di servizio, agli effetti della determinazione dello stipendio, in favore dei mutilati o invalidi di guerra, in relazione ad infermità ascritte alle differenti categorie di cui alla tabella annessa al decreto luogotenenziale 20 maggio 1917, n. 876, ovvero di cui agli artt. 100 e 101 del regio decreto 21 febbraio 1895, n. 70.

Con legge 15 luglio 1950, n. 539, i benefici spettanti, secondo le vigenti disposizioni, ai mutilati ed agli invalidi di guerra, nonché ai congiunti dei caduti in guerra, si applicano anche ai mutilati ed invalidi per servizio ed ai congiunti dei caduti per servizio.

Agli effetti della legge 539/50 si considerano mutilati od invalidi per servizio coloro che alle dirette dipendenze dello Stato e degli enti locali territoriali e istituzionali, hanno contratto, in servizio e per causa di servizio militare o civile, debitamente riconosciuta, mutilazioni od infermità ascrivibili ad una delle categorie di cui alla tabella A, annessa alla legge 19 febbraio 1942, n. 137.

Quanto all’oggetto dell’equiparazione di cui all’art. 1, legge in esame, è fuor di dubbio che riguardi anche tutte le pregresse norme, purché vigenti, tra cui dunque anche quelle di cui al R.D. 3458/1928.

Peraltro, il beneficio dell’aumento convenzionale dell’anzianità, di cui si controverte, spetta solo a coloro per i quali il riconoscimento dell’infermità e la sua iscrizione a categoria siano avvenuti in costanza di servizio, essendo insufficiente che detta infermità sia stata contratta in servizio.

Pure dovendosi dare atto di un indirizzo giurisprudenziale secondo cui il diritto all’anticipazione delle progressioni stipendiali sorge dal momento in cui si è verificata la condizione giuridica prevista dalla legge – id est, avvenuto riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle infermità, nonché l’ascrivibilità delle stesse ad una delle categorie ivi indicate – senza che rilevi, al riguardo, la costanza in servizio o meno del dipendente, dovendo essere ricondotta la realizzazione della fattispecie all’unico presupposto giuridico richiesto, (cfr. Tar Lazio, Sez. I bis, n. 2560/2003; Cons. Stato, Sez. I, parere n. 1399 del 2009) il Collegio ritiene di aderire all’indirizzo più rigoroso, in quanto più aderente all’espresso dettato di legge e ai principi regolanti la materia (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 8 giugno 2010, n. 3591).

La consolidata giurisprudenza ritiene che l’esercizio di poteri tecnicodiscrezionali nell’attività di riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio qualifica la relativa attività di accertamento costitutivo, mentre l’inerenza di tali poteri all’interesse pubblico alla corretta spendita del pubblico denaro e alla legittimità dell’organizzazione amministrativa oltre che al buon andamento dell’attività amministrativa depongono verso la qualificazione della posizione giuridica soggettiva del dipendente di interesse legittimo nei confronti dell’accertamento dell’effettiva esistenza dello stato morboso, della sua capacità invalidante e del nesso eziologico fra la malattia e la prestazione. (cfr. Cons. di Stato, VI Sez. n. 2644 del 2002).

Tanto precisato, il momento discriminante, in relazione al quale va verificata la costanza del rapporto, è quello del riconoscimento della dipendenza e della sua ascrizione a tabella, trattandosi di attività che qualifica costitutivamente in senso giuridico una realtà prima solamente fattuale.

Alla stregua di quanto ora rilevato, una corretta interpretazione dell’ art. 117 r.d. n. 3458/1928 induce a ritenere che l’infermità deve essere effettivamente ascritta a tabella in costanza di servizio, non essendo sufficiente la mera teorica ascrivibilità della stessa: quindi i pareri degli organi consultivi che ascrivono le infermità dipendenti ad una delle categorie normativamente previste in tab. A devono intervenire prima del collocamento in congedo.

Né rileva, al riguardo, il dato testuale di cui all’art. 117, r.d. 3458/1928, che contempla nell’ambito dei beneficiari dell’abbreviazione temporale agli effetti della determinazione stipendiale tanto gli ufficiali in servizio permanente quanto quelli delle categorie in congedo, atteso che, dalla lettura congiunta dei successivi artt. 119 (per gli ufficiali) e 120 (per i sottufficiali) si evince che il riconoscimento della dipendenza a favore del personale in posizione di congedo – ausiliaria, riserva etc. – permette l’attribuzione del beneficio unicamente al momento del richiamo in servizio attivo con assegni.

3. Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nei confronti di P.G., B.L. e L.R.; nei confronti dei restanti ricorrenti il ricorso deve essere respinto

Sussistono, peraltro, sufficienti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Terza Ter, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e, in parte, lo respinge, nei limiti di cui in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 08-09-2011, n. 18461 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ritenuto che A.G., con ricorso del 22 luglio 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura, illustrati con memoria -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Napoli depositato in data 16 giugno 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della A. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare alla ricorrente la somma di Euro 3.700,00;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 22.00 0,00 – per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 23 maggio 2008 – era fondata sui seguenti fatti: a) la A., con citazione del 15 giugno 1990, aveva proposto opposizione avverso un decreto ingiuntivo, chiedendo in via riconvenzionale il risarcimento dei danni, dinanzi al Pretore di Agropoli; b) il Giudice di pace di Vallo della Lucania aveva deciso la causa con sentenza del 23 maggio 2000; b) a sèguito di appello della controparte, il Tribunale di Vallo della Lucania aveva deciso l’impugnazione con sentenza del 16 ottobre 2006;

che la Corte d’Appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato:

a) ha dichiarato estinto per prescrizione il diritto all’indennizzo fino al 23 maggio 1998; b) per il residuo periodo dal 24 maggio 1998 al 16 ottobre 2006, ha determinato l’indennizzo in Euro 1.700,00 per il residuo periodo del giudizio di primo grado ed in Euro 2.000,00 per l’eccessiva durata del giudizio di appello, sulla base di un indennizzo annuo di Euro 1.000,00;

che il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento parziale del ricorso;

che il Collegio, all’esito della odierna Camera di consiglio, ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Considerato che con i tre motivi di censura vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) la affermata prescrizione parziale del diritto all’indennizzo; b) la erronea determinazione dei periodi suscettibili di indennizzo;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente fondata, perchè, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, nel caso – quale quello di specie – di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 27719 del 2009, 1886 e 3325 del 2010);

che la censura sub b) è assorbita;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto di primo grado de quo è pacificamente iniziato in data 15 giugno 1990 e si è concluso in appello con la sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania 16 ottobre 2006, durando complessivamente sedici anni e quattro mesi, con la conseguenza che – detratto il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado e di due anni per il giudizio di appello – la eccedenza irragionevole va determinata in undici anni e quattro mesi;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado e di due anni per il giudizio d’appello, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che, nella specie sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va equitativamente determinato in Euro 10.600,00 per undici anni e quattro mesi circa di irragionevole ritardo, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere liquidate, sulla base delle tabelle A, paragrafo 4^, e B, paragrafo 1^, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – previa compensazione per la metà, in ragione dell’accoglimento parziale del ricorso -, per l’intero, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Remigio e Vincenzo Fiorillo, dichiaratisene antistatari;

che le spese del presente grado di giudizio – compensate per la metà, in ragione dell’accoglimento solo parziale del ricorso – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della giustizia al pagamento alla ricorrente della somma di Euro 10.600,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, nella metà dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Remigio e Vincenzo Fiorillo, dichiaratisene antistatari, e, per il giudizio di legittimità, nella metà dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Remigio Fiorillo, dichiaratosene antistatario.

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