Cons. Stato Sez. VI, Sent., 17-01-2011, n. 228 Graduatoria; Personale non docente

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Attraverso l’atto di appello in esame, notificato il 22 gennaio 2005, i signori M.O., B. F. L. e A.G. impugnavano la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, n. 5209/04, pubblicata l’11 novembre 2004 e notificata il 30 dicembre 2004, con la quale veniva respinto il loro ricorso avverso la graduatoria permanente definitiva della provincia di Foggia per l’anno scolastico 2003/2004, nella parte che aveva visto inseriti alcuni nominativi, nonché del decreto di immissione in ruolo di una controinteressata (L.S.), la cui collocazione nella graduatoria era illegittima.

Le appellate, costituitesi in giudizio, contestavano le argomentazioni ed una di esse sollevava eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in sulle graduatorie, all’inserimento nelle quali – sulla base di titoli ben precisi – corrispondono diritti soggettivi e non interessi legittimi.

Ciò premesso, il Collegio rileva che in tema di giurisdizione un ampio indirizzo giurisprudenziale tende ad escludere la giurisdizione amministrativa nella materia di cui trattasi (cfr., fra le tante, Cass. SS.UU. 28 luglio 2009, n. 17466, 13 febbraio 2008, n. 3399, 20 giugno 2007, n. 14290, 18 maggio 2007, n. 11563, 22 luglio 2003, n. 11404, 23 novembre 2000, n. 1203). Secondo tale indirizzo, le procedure concorsuali finalizzate all’assunzione presso una pubblica amministrazione sono rimesse alla cognizione del giudice amministrativo – ai sensi dell’art. 63, comma 4, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 – solo quando sia attribuito alla amministrazione un potere valutativo e comparativo del merito dei partecipanti (in capo ai quali sussiste, in tal caso, un interesse legittimo al corretto espletamento della procedura). Quando invece sia in discussione solo la formazione di graduatorie, sulla base di criteri prestabiliti dalla normativa o dalla stessa pubblica autorità, cui residui un potere di mero accertamento, gli aspiranti all’inserimento farebbero valere – per affermare i requisiti propri o contestare, come nella situazione in esame, quelli altrui – un vero e proprio diritto soggettivo al lavoro, rientrante nella cognizione del giudice ordinario.

Secondo altro indirizzo, proprio della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, tuttavia, alla luce dell’art. 63, comma quarto, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (che mantiene ferma la "giurisdizione del giudice amministrativo nelle controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni") rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia che ha per oggetto la formazione della graduatoria degli insegnanti delle scuole secondarie prevista dalla l. 3 maggio 1999, n. 124. Tali atti sono infatti caratterizzati da concorsualità, insita nella valutazione dei titoli e nell’assegnazione della posizione utile per aspirare alla costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A., sia esso di durata temporanea (incarico), sia esso a tempo indeterminato (immissione in ruolo): gli atti in questione hanno pertanto carattere autonomo, presentano natura selettiva e risultano finalizzati ad una formalizzazione, che precede la costituzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, con conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa.

Anche la giurisprudenza della Corte di cassazione, d’altra parte, riconosce detta giurisdizione quando la controversia investa le singole procedure concorsuali o la graduatoria, mentre rimette alla giurisdizione ordinaria le controversie sul diritto alla nomina, che abbiano come presupposto la definitività della graduatoria permanente.

Il Collegio ravvisa nell’orientamento, proprio della giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., fra le tante, Cons. Stato, VI, 23 settembre 2002, n. 4829; VI, 22 giugno 2004, n. 4447; VI, 18 settembre 2006, n. 5416 ~V, 8 luglio 2008, n. 3399), l’interpretazione più coerente con il principio generale desumibile dall’art. 97, terzo comma, Cost., in base al quale "agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge": quanto sopra, al fine di garantire il rispetto dei principi di trasparenza, ragionevolezza e par condicio, di particolare pregnanza in rapporto all’importante funzione formativa dei giovani, affidata agli insegnanti..

Detti principi rimangono fermi anche laddove, in relazione a particolari esigenze organizzative, l’ordinamento consenta deroghe alla procedura selettiva del concorso per esami. Il carattere dei criteri in base ai quali si può in tali ipotesi accedere alle posizioni di ruolo non esclude invero che agli atti vincolati, applicativi dei criteri stessi, corrispondano interessi legittimi, correlati al corretto esercizio del potere esercitato nella procedura di reclutamento: in tale procedura infatti – pur essendo la fase propriamente selettiva ridotta all’essenziale circa la comparazione di merito – debbono comunque essere presenti modalità concorsuali di individuazione dei soggetti più idonei in ragione dell’assolvimento della pubblica funzione.

Ciò premesso – e ritenuto pertanto di riaffermare la cognizione del giudice amministrativo nella materia di cui trattasi, perché si contesta il valido collocamento in graduatoria di controinteressati, vale a dire una precipua manifestazione di quel potere pubblico – il Collegio ritiene che, nel merito, le argomentazioni difensive degli appellanti non siano condivisibili.

Dette argomentazioni si riferiscono, infatti, esclusivamente ad inclusioni di altri soggetti in graduatoria, che gli appellanti stessi ritengono illegittime, ma che appaiono viceversa regolari nei termini di seguito sintetizzati:

– quanto ai cinque controinteressati, che non sarebbero in possesso del prescritto titolo di stdio (tenuto conto anche delle materie, contenute nei piani di studio relativi), l’Amministrazione ha ragionevolmente controdedotto che, ai fini dell’accesso alla graduatoria, per il profilo professionale di assistente tecnico, la validità degli attestati di qualifica di cui all’art. 14 l. 21 dicembre 1978, n. 485, è rimessa all’autonomia interpretativa della commissione di concorso, chiamata ad emettere – in base agli elementi didattici dei corsi seguiti dai candidati – un giudizio di assimilabilità ai diplomi di qualificazione rilasciati dagli istituti professionali. Quanto sopra (come comunicato dal Ministero della Pubblica Istruzione con nota n. 708 del 13 maggio 2004 e dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Puglia, con nota n. 3191 del 2 aprile 2007) poggia su criteri piuttosto ampi, la cui logica non è inficiata da generiche contestazioni, riferite a diversi attestati di qualifica professionale, le cui specifiche carenze sono riferite solo alla generica assenza nel piano di studi della matematica (presumibilmente soggetta ad assorbimento, nell’ambito di discipline specifiche che ne richiedano l’impiego); doveva poi tenersi conto, con particolare riferimento alla controinteressata Salaris, della C.M. n. 299 del 7 settembre 1989, a tutela degli assistenti tecnici estromessi da aree, in cui in precedenza avevano già prestato servizio, per successiva esclusione del loro titolo di studio dalle nuove tabelle di corrispondenza, ma con conservazione del titolo ad accedere a dette aree su domanda;

– quanto alla candidata V., il cui titolo di accesso appare idoneo (diploma di scuola media integrato con attestato di qualifica professionale, rilasciato al termine di corsi regionali ai sensi dell’art. 14 l. n. 485 del 1978) la contestata diversità, fra documentazione prodotta dall’interessata e dall’Avvocatura dello Stato, risulta superata da quest’ultima con la produzione di altra copia della domanda, di modo che il Collegio non ritiene necessari i richiesti accertamenti istruttori, di cui non viene peraltro chiarita l’effettiva utilità;

– quanto al controinteressato F., risulta un idoneo titolo per l’accesso all’area AR02 richiesta (24 mesi di servizio prestati nel profilo di assistente tecnico, in soggetto già possesso di diploma di maturità scientifica, valido per l’area AR08); quanto sopra prima della domanda di inserimento in graduatoria (avvenuta il 29 marzo 2004) e indipendentemente dall’attestato di qualifica per l’accesso all’area di laboratorio AR02, successivamente acquisito; doveva ritenersi possibile, infatti, l’inserimento nella graduatoria di soggetti che fossero abilitati in diversi settori di laboratorio, purché appartenenti allo stesso profilo professionale e con due anni di esperienza come assistenti tecnici;

– quanto ai controinteressati M. e P., non appaiono chiare le ragioni per cui la Commissione di valutazione non avrebbe dovuto tenere conto delle idoneità in concorsi pubblici dai medesimi possedute (presso l’Azienda municipalizzata del gas di Foggia e l’Acquedotto Pugliese), riconosciute a seguito di puntuali accertamenti dell’Ufficio scolastico provinciale di Foggia.

Per le ragioni esposte il Collegio ritiene che l’appello – ai limiti dell’ammissibilità per eterogeneità dei contenuti – non possa che essere respinto; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, la complessità dei parametri di riferimento ne giustifica la compensazione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 09-11-2010) 04-02-2011, n. 4166 Ricorso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

S.P., tramite il difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza 9.12.2009 con la quale la Corte di Appello di Firenze, dichiarava la inammissibilità (perchè proposta oltre i termini di legge), dell’impugnazione della decisione 10.5.2007 del Tribunale di Lucca che lo aveva condannato alla pena di anni due, mesi due di reclusione e 800,00 Euro di multa per il delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 648 c.p., "per avere acquistato o comunque ricevuto, conoscendone la illecita provenienza: la autovettura tg.

(OMISSIS) provento del delitto di furto in danno di C. F., denunciato il 15.3.2000 ai Carabinieri di Prato; un seghetto alternativo ed una autoradio, con fili elettrici recisi, sicuramente provento di furto" (accertato in (OMISSIS)).

La difesa richiede l’annullamento della sentenza impugnata deducendo che:

1) l’imputato non avrebbe ricevuto il decreto di citazione nè per il primo grado, nè per l’appello;

2) la Corte d’Appello avrebbe errato nel conteggiare i termini per la impugnazione;

3) l’estratto contumaciale della sentenza di primo grado è nullo.

Il ricorso, ex art. 591 c.p.p., è inammissibile, perchè è del tutto generico non indicando in modo specifico e puntuale i motivi di fatto e quelli di diritto posti a base delle singole doglianze, così come previsto dall’art. 581 c.p.p., dovendosi rilevare quanto segue.

IN relazione al primo motivo, va osservato che, a fronte di una dichiarazione di contumacia dell’imputato, come può essere desunta dall’epigrafe della sentenza impugnata, tale da presupporre che sia stata verificata dal Giudice dell’appello la regolarità della costituzione del rapporto processuale la difesa non specifica le ragioni della erroneità della relativa ordinanza, nè i motivi per i quali ricorra una ipotesi riconducibile alla disciplina dell’art. 179 c.p.p.. A ciò si aggiunga che dall’esame degli atti, l’imputato risulta avere firmato personalmente la ricevuta della raccomandata con la quale è stato notificato il decreto di citazione avanti alla Corte d’Appello.

In riferimento al secondo motivo si deve rilevare che la Corte di merito (come si desume dalla lettura della decisione impugnata) ha proceduto alla verifica puntuale dei termini previsti per la proposizione del gravame e la difesa non indica le ragioni per le quali si debba ritenere errata ed illegittima la decisione.

Analoga considerazione deve essere fatta per quanto attiene alla dedotta nullità dello estratto contumaciale della sentenza di primo grado (terzo motivo di ricorso), non avendo la difesa indicato il profilo di illegittimità.

Per le suddette ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende attesa la pretestuosità delle ragioni di gravame.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-04-2011, n. 8072 Disoccupazione

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Svolgimento del processo

1. Con la sentenza specificata in epigrafe la Corte d’appello di Catanzaro, respingendo l’appello proposto dall’odierna ricorrente, confermava la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda volta a ottenere l’adeguamento del trattamento di disoccupazione, ai sensi delle sentenze della Corte Costituzionale n. 497 del 1988 e n. 288 del 1994. La Corte di merito, per quanto ancora rileva, osservava preliminarmente che non era stata dimostrata la percezione dell’indennità di disoccupazione, che costituiva il presupposto del diritto alla riliquidazione; in particolare, non era idonea, a tali fini, la documentazione prodotta dalla parte, relativa solo ai periodi di contribuzione denunciati all’INPS, mentre era inammissibile l’istanza di esibizione formulata sin dal primo grado di giudizio, intesa ad ottenere l’ordine all’ente previdenziale di versare in giudizio la documentazione relativa alla ricorrente.

2. L’assicurata propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui l’INPS resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. Si deduce che la ricorrente aveva prodotto in giudizio copia delle disposizioni di pagamento effettuate dall’INPS, in relazione all’indennità di disoccupazione corrisposta per gli anni 1990, 1991 e 1992 cui si riferiva la domanda di adeguamento.

2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione. Si lamenta l’omesso esame della predetta documentazione, che era senz’altro idonea a dimostrare la percezione della prestazione.

3. Tali motivi, da esaminare congiuntamente, si rivelano non fondati.

3.1. La valutazione compiuta dal giudice d’appello, in ordine alla carenza di prova circa la effettiva percezione della indennità di disoccupazione, si fonda, fra l’altro, sull’esame della documentazione allegata e prodotta in giudizio, ritenuta non rilevante ai fini della predetta prova. In relazione a tale accertamento la ricorrente lamenta, in questa sede di legittimità, di avere prodotto altri documenti, asseritamente trascurati nella decisione impugnata, idonei a dimostrare la corresponsione dell’indennità, riferendosi, in particolare, alle copie di disposizioni di pagamento emesse dall’Istituto; se non che la deduzione è priva di alcuna indicazione in ordine alle modalità di allegazione e produzione di tali documenti, nonchè agli atti e alla fase del giudizio in cui la produzione sarebbe avvenuta, così come, d’altra parte, è anche carente, per assoluta genericità, l’indicazione del contenuto delle richiamate "disposizioni di pagamento", sì che viene a difettare, per mancanza di autosufficienza del ricorso, ogni elemento idoneo a consentire la verifica della effettiva allegazione documentale e la rilevanza della medesima ai fini della decisione.

3.2. Mette conto rilevare che l’onere di autosufficienza del ricorso, nei termini così precisati, non è affatto escluso dalla avvenuta produzione, in questa sede, dei documenti richiamati, atteso che il deposito degli atti e dei documenti, su cui il ricorso si fonda, corrisponde al distinto onere della parte, sancito dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di consentire alla Corte l’esame dei medesimi in relazione al tipo di censura proposta, mentre l’indicazione di tali atti e documenti nel corpo del ricorso è finalizzata, in base alla prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, a determinare esattamente l’oggetto del devolutimi non potendosi il giudice sostituire alla parte nella individuazione della situazione di fatto (cfr. Cass. n. 18854 del 2010; n. 15495 del 2009; n. 15628 del 2008; n. 6225 del 2005).

3.3. Come la dottrina non ha mancato di precisare, l’osservanza dell’onere suddetto va valutata in considerazione della richiamata sua funzione, sì che non sempre è necessaria la trascrizione integrale dell’intero documento, essendo però necessaria, e sufficiente, la trascrizione, o comunque la specifica indicazione, del punto utile a individuare esattamente la questione sollevata e, in riferimento al vizio di motivazione denunciato in relazione all’omesso esame di documenti decisivi, a valutare compiutamente l’adeguatezza del cd. giudizio di fatto operato dal giudice di merito; mentre è certamente necessaria una analitica e puntuale indicazione della sede processuale in cui l’atto risulti allegato e prodotto.

3.4. Siffatte indicazioni mancano nella specie e, pertanto, il ricorso va respinto. Nulla per le spese del giudizio, in applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. (nel testo, applicabile nella specie, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 326 del 2003).
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-02-2011) 08-03-2011, n. 9109 Ricorso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Pescara applicava a D.A.P., a norma degli artt. 444 e 448 c.p.p., la pena di mesi dieci e giorni venti di reclusione in ordine al reato di cui alla L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 9, comma 2, aggravato dalla recidiva, commesso il (OMISSIS).

2. Propone ricorso per cassazione l’imputata che si duole della mancata verifica circa la sussistenza delle condizioni per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., e dell’omessa motivazione sul punto.

3. Il ricorso è inammissibile perchè del tutto generico e comunque manifestamente infondato, atteso che il giudice, nell’applicare la pena concordata, si è adeguato a quanto contenuto nell’accordo tra le parti e ha escluso che ricorressero i presupposti dell’art. 129 c.p.p., facendo riferimento in particolare a quanto risultava dagli atti redatti in occasione dell’arresto in flagranza. E tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti e al valore di sostanziale rinunzia ad ogni contestazione sulla capacità dimostrativa degli elementi acquisti, della richiesta della parte, appare pienamente adeguata ai parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (v., tra le altre, Sez. un., u.p. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. un., u.p. 27 settembre 1995, Serafino; Sez. un., u.p. 25 novembre 1998, Messina).

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.500,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.

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