Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-05-2011) 25-07-2011, n. 29743

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.L.C. è stato condannato dal tribunale di Genova, con sentenza integralmente confermata dalla Corte d’Appello ligure, alla pena di anni uno ed Euro 309,00 di multa, per aver sottratto dall’ufficio del personale del supermercato (OMISSIS) la somma di Euro 8.000,00, impossessandosene.

Con l’unico motivo di ricorso, il D.L. deduce erronea interpretazione della legge ed in particolare dell’art. 624 bis c.p.c., non potendosi ritenere che l’ufficio del personale del supermercato (OMISSIS) fosse assimilabile ad una privata dimora.

Per i suddetti motivi chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza, in quanto il reato sarebbe derubricabile a furto semplice, per il quale mancherebbe la condizione di procedibilità.
Motivi della decisione

Il ricorso di D.L.C. deve essere respinto; si evince dalla sentenza impugnata che il furto è avvenuto presso un box del supermercato, sito all’esterno e vicino alla porta d’ingresso dello stesso, riservato ai dipendenti. Non vi è dubbio che tale luogo costituisca una privata dimora ai sensi dell’art. 624 bis c.p.; non solo si tratta di luogo in cui l’ingresso può essere selezionato ad iniziativa di chi ne abbia la disponibilità (cfr. Cassazione penale, sez. 4, 30 settembre 2008, n. 40245), ma addirittura si può escludere che persone estranee al supermercato, in quanto prive di rapporto lavorativo con lo stesso, possano legittimamente accedervi in assoluto. Questa sezione della Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi in un caso analogo (Cassazione penale, sez. 5, 26 settembre 2008, n. 43378), affermando che ai fini della sussistenza dei delitto di furto in abitazione di cui all’art. 624 bis c.p., "luogo destinato a privata dimora" deve intendersi qualsiasi luogo, non pubblico, in cui una persona si trattenga, in modo permanente oppure transitorio e contingente, per compiere atti di vita privata o attività lavorative (nella fattispecie si trattava di un furto compiuto in una sala riservata al personale ospedaliere per cui le analogie con il caso in questione sono del tutto evidenti).

Per questi motivi il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 19-09-2011, n. 1245 Spedalità ordinarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe indicato, la P.B. srl, soggetto provvisoriamente accreditato che eroga a carico del SSR prestazioni di diagnostica strumentale di laboratorio ed afferenti alle c.d. branche a visita, impugna le deliberazioni della Giunta Regionale della Calabria n. 396/2010 e n. 489/2010, oltre agli ulteriori atti meglio specificati in epigrafe, formulando altresì richiesta di annullamento e/o declaratoria di nullità dei contratti per la definizione dei rapporti giuridici ed economici tra le aziende sanitarie provinciali e i soggetti erogatori di prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, sottoscritti con riserva in data 6.8.2010 e richiesta di risarcimento dei danni subiti e subiendi in conseguenza dei detti provvedimenti.

La ricorrente formula, altresì, istanza di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati.

I vizi denunciati in ricorso sono differenziati con riferimento al provvedimento impugnato.

In particolare, in ordine alla deliberazione e n. 396/2010 ed alla nota ASP Crotone prot. 1622/2010 si denuncia:" 1. Violazione di legge. Violazione del principio di buon andamento e di affidamento del cittadino nell’azione della P.A. di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento anche in relazione alla violazione del principio dell’effetto conformativo del giudicato. Violazione e mancata e/o errata applicazione dell’art. 8 quinquies, comma 1, del D.Lgs. n. 502/1992 ss.mm.ii. eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto e in diritto, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, perplessità ed ingiustizia. Sviamento".

In buona sostanza, con riferimento a detta deliberazione, la ricorrente denuncia il carattere manifestamente elusivo dell’effetto demolitorio/conformativo delle sentenze n. 1839/2001 e n. 1205/2010 del Consiglio di Stato, le quali hanno annullato, rispettivamente, il D.M. 22.7.1996 e il D.M. 12.9.2006, in quanto recanti tariffe non appropriate alla realtà di mercato, determinate senza l’effettuazione di una valida attività istruttoria. La deliberazione impugnata tenterebbe di applicare proprio le tariffe del c.d. decreto Bindi.

Con riferimento alla deliberazione n. 489/2010 sono denunciati i seguenti vizi:" 2. Violazione di legge. Violazione del principio di buon andamento e affidamento del cittadino nell’azione della PA di cui all’art. 97 Cost. Violazione dell’art. 41 Cost. Violazione e mancata e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 169, L. n. 311/2004. Violazione e mancata e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 173 della L. n. 311/2004. 8 quinquies e 8 sexies del D.lgs n. 502/1992, anche in relazione al PRS di cui alla L.R. n. 11/2004. Violazione dell’art. 2041 c.c. Violazione e mancata e/o falsa applicazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, illogicità, perplessità ed ingiustizia manifesta. 3 Violazione di legge. Violazione del principio di buon andamento e affidamento del cittadino nell’azione della PA di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento anche in relazione alla violazione degli artt. 3 e 41 Cost. e alla violazione e mancata applicazione dell’art. 8 quinquies, comma 1, lett. d), del D.Lgs. n. 502/1992 e ss.mm.ii. Violazione e mancata applicazione dell’art. 3 della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per erronea presupposizione, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, difetto assoluto di motivazione, contraddittorietà, ingiustizia manifesta. 4. Violazione di legge. Violazione del principio di buon andamento e affidamento del cittadino nell’azione della PA di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio dell’art. 41 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione dell’art. 8 quinquies del D.Lgs. n. 502/92 ss.mm.ii. Violazione e mancata applicazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 10 della L. n., 241/90. Eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità, perplessità ed ingiustizia manifesta. 5. Violazione di legge. Violazione del principio di buon andamento e affidamento del cittadino nell’azione della PA di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento anche in relazione agli artt. 24 e 113 Cost. Vioalzione e mancata e/o falsa applicazione dell’art. 8 quinquies del D.Lgs. n. 502/1992 ss.mm.ii. Eccesso di potere per erronea presupposizione, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, illogicità, perplessità, ingiustizia manifesta". 6 Violazione di legge. Violazione del principio di buon andamento e affidamento del cittadino nell’azione della PA di cui all’art. 97 Cost. Violazione del principio dell’art. 41 Cost. Violazione del principio del giusto procedimento. Violazione e mancata e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 8 quinquies, 8 bis e 8 sexies del D.Lgs n. 502/1992 ss.mm.ii. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, perplessità ed ingiustizia manifesta. Sviamento".

Con il primo motivo, la ricorrente, in sintesi, rileva che la deliberazione contestata impone tetti di spesa secondo la logica costi/risorse, senza attuare il procedimento di programmazione della domanda del cittadino, come dimostrerebbero la previsione dello schema in base alla quale nulla spetta all’erogatore per le prestazioni sanitarie rese superando il 90% del tetto massimo alla data del 31.10.2010, considerando che la ricorrente ha avuto conoscenza del budget alla medesima spettante solo al 6.8.2010, data alla quale aveva già pressoché raggiunto la quota del 90% del tetto massimo, il tutto in patente violazione dei principi di cui agli artt. 8 quinquies e 8 sexies del DLgs. 502/92; ulteriore dimostrazione della mancata programmazione della spesa sanitaria si evincerebbe dal punto 8 del deliberato e dall’art. 3.6 dello schema di contratto, in forza dei quali illegittimamente il tetto di spesa sarebbe da intendersi comprensivo anche delle prestazioni erogate a pazienti extraregionali, laddove l’attività assistenziale resa nei confronti di pazienti extraregionali non incide in alcun modo sul SSR, costituendo, al contrario, una fonte di reddito, giacché le somme versate a titolo di corrispettivo vengono integralmente recuperate dalle Aziende Sanitarie mediante la compensazione dei ricavi come mobilità attiva.

Con il secondo motivo si sostiene che la deliberazione n. 489 sarebbe, inoltre, illegittima nella parte in cui non prevede alcuna forma di remunerazione per le prestazioni rese al di sopra del tetto di spesa imposto per l’anno 2010 (c.d. extra budget), violando, così, l’art. 8 quinquies, comma 1, lett. D) del D.Lgs. 502/92, il quale impone alla Regione l’obbligo di individuare i criteri per la determinazione delle remunerazioni nel caso le strutture abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato. La Regione, pertanto, non avrebbe individuato alcun sistema di liquidazione "in regressione" o "con abbattimento tariffario", ma, al contrario, avrebbe escluso qualsivoglia forma di corrispettivo per le prestazioni extra budget.

Con il terzo motivo si denuncia la ulteriore violazione dell’art. 8 quinquies, comma 1, lett. a) e b) del D. Lgs. 502/92, conseguente al fatto che l’impugnata deliberazione n. 489 interviene su prestazioni rese in epoca antecedente alla sua adozione, violando, quindi, il principio della programmazione preventiva sancito dalle citate disposizioni;

Con il quarto motivo si afferma che illegittima sarebbe l’imposizione della sottoscrizione dell’accordo interamente predisposto dall’ente, con eliminazione di ogni momento di negoziazione, negandosi, addirittura, la possibilità di attivare ricorsi in sede giurisdizionale in ordine alla determinazione dei tetti di spesa, di attribuzione dei budget, di determinazione delle tariffe, pena l’invalidità della sottoscrizione, con chiara violazione del diritto di difesa.

Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, altresì, la contraddittorietà tra l’art. 7.1 del modello contrattuale e la circolare commissariale impugnata, la quale prevede che il ticket corrisposto direttamente dagli utenti e lo sconto stabilito dall’art. 1, comma 796, lettera o della legge n. 296/2006 (che, peraltro, non potrebbe essere applicato oltre l’anno di riferimento) sono compresi nel tetto massimo annuo, disposizione non prevista dallo schema contrattuale; in ogni caso, il tetto di spesa annuale deve essere calcolato al netto del ticket versato dagli utenti.

Infine, la ricorrente rileva che la deliberazione n. 489 è viziata da illegittimità derivata nella parte in cui stabilisce che il tetto di spesa non può superare l’importo contrattualizzato con gli erogatori privati accreditati nell’anno 2008, in quanto sconterebbe tutti i vizi già denunciati con riferimento ai provvedimenti di fissazione dei limiti di spesa dell’anno 2008 ed impugnati con ricorso sub RG 185/2010.

Resiste in giudizio la Regione Calabria, la quale, preliminarmente, eccepisce la irricevibilità del ricorso con riferimento alla deliberazione n. 396/2010 per tardività, e comunque l’inammissibilità del ricorso per carenza del carattere provvedimentale degli atti impugnati e per mancata impugnazione di atti presupposti.

Nel merito, la Regione contesta puntualmente le argomentazioni svolte in ricorso e conclude per il rigetto dello stesso in quanto infondato.

Resistono in giudizio, altresì, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il Ministero della Salute, con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, la quale chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile, irricevibile e comunque rigettato nel merito.

Alla Camera di Consiglio del 16 dicembre 2010, la ricorrente ha chiesto il rinvio dell’istanza cautelare al merito.

Con atto depositato il primo luglio 2011, la ricorrente ha presentato motivi aggiunti impugnando la nota ASP di Crotone prot. N. 882 del 18.4.2011 di rendicontazione delle prestazioni rese nel primo trimestre del 2010.

Alla Pubblica Udienza del 21 luglio 2011, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il Collegio rileva che in sede di udienza pubblica parte ricorrente ha espressamente rinunciato ai motivi aggiunti.

In ordine alle eccezioni preliminari formulate dalla Regione, il Collegio rileva che, con riferimento alla deliberazione GR n. 396/2010, è fondata l’eccezione di tardività.

Il termine legale di impugnazione dei provvedimenti soggetti a pubblicazione per i quali non sia richiesta la notificazione individuale decorre dal giorno in cui sia scaduto il termine di pubblicazione.

Dalla documentazione in atti risulta che la deliberazione della GR n. 396 del 24 maggio 2010 è stata pubblicata sul BURC n. 12 dell’1 luglio 2010 e, conseguentemente, con riferimento ad essa, il ricorso notificato in data 5 novembre 2010 è irricevibile per tardività.

Pertanto, con esclusivo riferimento alla deliberazione GR n. 396/2010, il ricorso è irricevibile.

Quanto, invece, alle restanti eccezioni di inammissibilità del ricorso (in quanto gli atti impugnati non avrebbero carattere provvedimentale e, comunque, non sarebbero stati impugnati atti presupposti), il Collegio ritiene di poter ometterne l’esame in considerazione della infondatezza nel merito del ricorso.

In considerazione di quanto sopra, saranno esaminate unicamente le censure rivolte nei confronti della deliberazione n. 489/2010 (in uno con la nota ASP di Crotone del 23.7.2010).

Con il primo motivo, parte ricorrente rileva che l’atto impugnato impone tetti di spesa secondo la logica costi/risorse, senza attuare il procedimento di programmazione della domanda del cittadino, come dimostrerebbero la previsione dello schema in base alla quale nulla spetta all’erogatore per le prestazioni sanitarie rese superando il 90% del tetto massimo alla data del 31.10.2010. La ricorrente rileva, altresì, di aver avuto conoscenza del budget ad essa spettante solo al 6.8.2010, data alla quale aveva già pressoché raggiunto la quota del 90% del tetto massimo: tale previsione sarebbe assunta in chiara violazione dei principi di cui agli artt. 8 quinquies e 8 sexies del DLgs. 502/92; ulteriore dimostrazione della mancata programmazione della spesa sanitaria si evincerebbe dal punto 8 del deliberato e dall’art. 3.6 dello schema di contratto, in forza dei quali illegittimamente il tetto di spesa sarebbe da intendersi comprensivo anche delle prestazioni erogate a pazienti extraregionali, laddove l’attività assistenziale resa nei confronti di pazienti extraregionali non incide in alcun modo sul SSR, costituendo, al contrario, una fonte di reddito, giacché le somme versate a titolo di corrispettivo vengono integralmente recuperate dalle Aziende Sanitarie mediante la compensazione dei ricavi come mobilità attiva.

Le censure sono infondate.

Come noto, la Regione Calabria, con deliberazione della GR n. 845/2009, ha approvato il Piano di riqualificazione e razionalizzazione del SSR (Piano di rientro) e con successiva deliberazione della GR n. 908/2009 è stato approvato e sottoscritto l’accordo concluso tra il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Regione Calabria, per l’approvazione del Piano di rientro di individuazione degli interventi per il perseguimento dell’equilibrio economico ai sensi dell’art. 1, comma 180 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

Il Comma 5, dell’art. 7 di tale accordo precisa che "Gli interventi individuati dal Piano allegato al presente Accordo sono vincolanti, ai sensi dell’art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per la Regione Calabria e le determinazioni in esso previste comportano effetti di variazione dei provvedimenti normativi ed amministrativi già adottati dalla medesima Regione Calabria in materia di programmazione sanitaria". Analogamente, l’art. 2, comma 95, della legge n. 191/2009 (legge finanziaria 2010) dispone che "gli interventi individuati dal piano di rientro sono vincolanti per la regione, che è obbligata a rimuovere i provvedimenti anche legislativi e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro".

Il Piano di rientro stabilisce che la Regione deve provvedere ad emanare con deliberazione di Giunta Regionale i tetti di spesa per il triennio 20102012.

Con l’impugnata deliberazione n. 489/2009, pertanto, la Regione Calabria ha adempiuto a quanto previsto dal Piano, fissando i tetti di spesa per l’acquisto di prestazioni di assistenza specialistica da privato per il suddetto triennio, prevedendo, altresì, le modalità di definizione dei tetti aziendali e di struttura.

La vicenda in esame, come emerge chiaramente dalla disciplina appena illustrata, si inquadra in quella che è stata suggestivamente definita "normativa emergenziale", dettata da legge finanziarie per il rientro di alcune regioni dal notevole disavanzo di bilancio (TAR Lazio, Roma, sez. III, 30 novembre 2009, n. 10787), con la conseguenza che tale disciplina "speciale" ed emergenziale si sovrappone a quella ordinaria.

In tale particolare prospettiva, non è meritevole di favorevole considerazione la censura di parte ricorrente in ordine alla iniqua determinazione dei tetti, assunti in violazione dei principi di cui agli artt. 8 quinquies e 8 sexies D.Lgs. n. 502/1992. Invero, premesso e richiamato quanto appena precisato in ordine al contesto di assunzione degli impugnati provvedimenti, si rileva come la determinazione dei limiti di spesa sia rimessa ed assegnata in via esclusiva alla Regione e costituiscano un dato insuperabile per la contrattazione con le singole strutture sanitarie, ai fini della determinazione delle prestazioni erogabili nell’anno di riferimento (TAR Campania, Napoli, sez. I, 10 settembre 2009, n. 4909; id 12 giugno 2009, n. 3244; Consiglio di Stato, sez. V, 25 agosto 2008, n. 4077). Del resto, in linea generale, è stato anche rilevato che nell’esercitare la propria ed esclusiva potestà programmatoria dei limiti di spesa, le regioni dispongono di un ampio potere discrezionale, che deve bilanciare interessi diversi (dal contenimento della spesa, alla pretesa degli assisiti a prestazioni adeguate, agli interessi degli operatori privati ecc.) ma che, in considerazione di una determinata fase storica, è certamente possibile e legittimo accentuare l’esigenza di contenimento della spesa (Consiglio di Stato, sez. V, 19 novembre 2009, n. 7236).

Quanto alla clausola di cui all’art. 3.4 dello schema di contratto, si osserva quanto segue.

Come è dato desumere dal primo inciso della clausola in questione, la ratio della stessa consiste nel garantire agli aventi diritto la continuità nella fruizione delle prestazioni sanitarie nell’arco dell’intero anno, pur dovendo salvaguardare la spesa pubblica. A tale scopo è, quindi, finalizzato l’obbligo dell’erogatore di programmare la propria attività per rispettare il tetto massimo di spesa, finalità che giustifica la sanzione del mancato compenso, indennizzo o risarcimento in caso di superamento del 90% del tetto massimo alla data del 31.10.2010.

In altre parole, con la clausola in discussione si è inteso indurre l’erogatore di prestazioni sanitarie a non superare il tetto di spesa prima dello scadere dell’anno di riferimento, per poter consentire agli utenti di usufruire delle prestazioni medesime fino alla fine dell’anno solare. In tal modo, si richiede, dunque, alla struttura privata che eroga le prestazioni di compiere una effettiva programmazione della propria attività sanitaria, nell’ambito e nel rispetto del tetto di spesa indicato per l’anno di riferimento.

Quanto alla previsione di cui all’art. 8 della deliberazione impugnata, relativamente alle prestazioni erogate a pazienti extra regionali da comprendersi nel tetto di spesa assegnato alle aziende sanitarie provinciali, si rileva che la censura di parte ricorrente non coglie nel segno, in quanto non vi è alcuna certezza in ordine ad una integrale compensazione tra mobilità attiva e mobilità passiva, né vi è nemmeno certezza in ordine all’effettivo recupero degli oneri sostenuti. Non si ravvisa, pertanto, al denunciata ingiustizia, né tanto meno illegittimità della previsione.

I vizi denunciati con il primo motivo di ricorso sono, pertanto, insussistenti.

Con il secondo motivo si denuncia l’illegittimità della deliberazione n. 489, nella parte in cui non prevede alcuna forma di remunerazione per le prestazioni rese al di sopra del tetto di spesa imposto per l’anno 2010 (c.d. extra budget), violando, così, l’art. 8 quinquies, comma 1, lett. D) del D.Lgs. 502/92, il quale impone alla Regione l’obbligo di individuare i criteri per la determinazione delle remunerazioni nel caso le strutture abbiano erogato volumi di prestazioni eccedenti il programma preventivo concordato. Illegittimamente la Regione non avrebbe individuato alcun sistema di liquidazione "in regressione" o "con abbattimento tariffario", ma, al contrario, avrebbe escluso qualsivoglia forma di corrispettivo per le prestazioni extra budget.

Il vizio dedotto è insussistente.

A tal proposito, non può che richiamarsi quanto già esposto con riferimento al primo motivo di ricorso.

A prescindere dal fatto che, in linea generale, la mancata previsione di compensabilità di prestazioni extra budget non vizia necessariamente l’atto di programmazione regionale, si deve rilevare che il quadro normativo nel quale debbono essere calati i provvedimenti impugnati inducono a ritenere che i limiti di spesa sanitaria determinati dalla Regione siano intangibili e costituiscano un dato insuperabile per la contrattazione (in tal senso, TAR Lazio Roma, 3 novembre 2009, n. 10787)

La deliberazione regionale qui contestata, proprio perché assunta quale attuazione di precisi vincoli che discendono dalla necessità di rispettare la disciplina speciale sul rientro dai disavanzi dettata dalle ultime leggi finanziarie, da un lato, non può ritenersi soggetta a contrattazione con le associazioni di categoria, né con le singole strutture, dall’altro, deve qualificarsi come atto amministrativo autoritativo.

In tale prospettiva, la mancata previsione di criteri di remunerazione extra budget non vizia il provvedimento impugnato, in quanto l’osservanza del tetto di spesa rappresenta un vincolo ineludibile, che costituisce la misura delle prestazioni sanitarie che il SSR può permettersi di acquistare da ciascun erogatore privato.

Con il terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione dell’art. 8 quinquies, comma 1, lett. a) e b) del D. Lgs. 502/92 in quanto l’impugnata deliberazione n. 489 interviene su prestazioni rese in epoca antecedente alla sua adozione, violando, quindi, il principio della programmazione preventiva sancito dalle citate disposizioni.

La censura non è condivisibile.

Pur non ignorando che sulla questione in discussione sono rinvenibili pronunce discordanti, il Collegio ritiene di aderire a quella posizione (per il vero dominate) secondo la quale il provvedimento che fissa il tetto massimo di spesa per le prestazioni erogate da privati in regime di accreditamento ad anno inoltrato non è illegittimo, né lede alcun affidamento dei titolari delle suddette strutture accreditate, i quali sino a quando non sia emanato il provvedimento di fissazione del tetto di spesa possono utilmente fare riferimento, per programmare la propria attività, ai limiti di spesa applicati dall’Amministrazione nell’anno precedente (oltre alla nota A.P. del Consiglio Stato 02 maggio 2006, n. 8, si segnala, a titolo esemplificativo, Consiglio di Stato sez. V, 19 novembre 2009, n. 7236; Consiglio di Stato, sez. V, 26 novembre 2008, n.5847;TAR Campania, Napoli, sez. I, 14 luglio 2010, n.16769).

Del resto, il sistema di individuazione dei tetti di spesa richiede tempi tecnici non comprimibili, in relazione a fasi procedimentali previste dalla legge. La retroattività dell’atto di determinazione della spesa non impedisce agli interessati di disporre di un qualunque punto di riferimento per lo svolgimento della loro attività. Infatti, è evidente che in un sistema nel quale è fisiologica la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa, solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio, gli interessati potranno aver riguardo – fino a quando non risulti adottato un provvedimento – all’entità delle somme contemplate per le prestazioni dei professionisti o delle strutture sanitarie dell’anno precedente.

Nel caso in esame, la deliberazione n. 489 è stata emanata in data 2 luglio 2010, quindi in tempo utile a mantenere intatta la possibilità per gli erogatori privati di congruamente programmare la loro attività con riferimento alla restante parte dell’anno.

La censura denunciata, pertanto, non è fondata

Con il quarto motivo di ricorso, si rileva che la deliberazione impugnata sarebbe viziata perché illegittima sarebbe l’imposizione della sottoscrizione dell’accordo interamente predisposto dall’ente, con eliminazione di ogni momento di negoziazione, negandosi, addirittura, la possibilità di attivare ricorsi in sede giurisdizionale in ordine alla determinazione dei tetti di spesa, di attribuzione dei budget, di determinazione delle tariffe, pena l’invalidità della sottoscrizione, con chiara violazione del diritto di difesa.

Anche tale censura è infondata.

Per quanto riguarda la determinazione unilaterale dei tetti di spesa, non può che richiamarsi quanto già esposto in precedenza con riferimento ai precedenti motivi di ricorso: la determinazione dei tetti di spesa, costituendo preciso adempimento del punto 7 del Piano di rientro e quindi assunta per rispettare la speciale disciplina dettata in tema di rientro dai disavanzi, non può ritenersi soggetta a contrattazione con le associazioni di categoria, né con le singole strutture.

Non è nemmeno ravvisabile la pretesa lesione del diritto di difesa con riferimento alla clausola contrattuale di cui all’art. 13 dello schema di contratto. Si rileva, infatti, da un lato, la mancanza di attualità della lesione denunciata, la quale, allo stato, è semmai solo potenziale, dovendosi verificare in concreto l’effettiva portata ed operatività della clausola stessa, dall’altro, che la detta clausola contrattuale rappresenta acquiescenza ai tetti di spesa, ai quali, comunque, l’erogatore ha accettato di sottostare (e, quindi, di rispettare) con la sottoscrizione del contratto.

Le censure di cui al presente motivo, quindi, non possono essere accolte.

Con il quinto motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, altresì, la contraddittorietà tra l’art. 7.1 del modello contrattuale e la circolare commissariale impugnata, la quale prevede che il ticket corrisposto direttamente dagli utenti e lo sconto stabilito dall’art. 1, comma 796, lettera o della legge n. 296/2006 (che, peraltro, non potrebbe essere applicato oltre l’anno di riferimento) sono compresi nel tetto massimo annuo, disposizione non prevista dallo schema contrattuale; in ogni caso, il tetto di spesa annuale dovrebbe essere calcolato al netto del ticket versato dagli utenti. Inoltre, lo sconto di cui all’art. 1, comma 796, lett. o della L. n. 296/2007 non potrebbe essere applicato in considerazione della pronuncia n. 94/2009 della Corte Costituzionale che ne ha precisato come l’efficacia della stessa sia "temporalmente limitata"; infine, il regime tariffario imposto dai provvedimenti impugnati non potrebbe trovare applicazione giusta l’intervenuto annullamento in sede giurisdizionale del D.M. 12.9.2006 che ha reso, di fatto, inapplicabile la scontistica imposta dalla legge finanziaria 2007.

La censura non ha pregio.

Non si ravvisa la denunciata contraddittorietà tra l’art. 7 del modello contrattuale e la circolare commissariale n. 23062/2010, in quanto le due previsioni prendono in considerazioni ipotesi differenti.

Quanto alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 94/2009, che ha comunque ritenuto la legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 1, comma 796, lett. o legge n. 296/2006, parte ricorrente ne offre una lettura non condivisibile. Invero, il Giudice delle leggi nel ritenere la norma statale in questione "temporalmente limitata" non ha inteso circoscrivere il periodo di efficacia all’anno di riferimento, ma "all’emanazione di nuovi livelli di assistenza, costituendo l’eventualità della mancata adozione di questi un mero inconveniente di fatto".

Quanto infine alla lamentata inapplicabilità della scontistica di cui alla legge n. 296/2006, il Collegio nutre dei dubbi sulle affermazioni della giurisprudenza in relazione alla inapplicabilità della scontistica di cui alla citata legge n. 296/2006, a motivo dell’annullamento del D.M. 12.9.2006, giacché la questione non riguarda l’applicazione di uno sconto in contrasto con un giudicato reso, ma l’assunzione di un parametro di sconto che sebbene a suo tempo dichiarato illegittimo per motivi procedurali, non esclude che lo stesso possa essere preso in considerazione nella sua oggettività ai fini di una diversa regolamentazione. In ogni caso, quel che è dirimente nella specie è che questo parametro di sconto è stato legalizzato con legge 27.12.2006, n. 296, la quale ha superato il vaglio della Corte Costituzionale.

Per quanto attiene ai vizi che parte ricorrente definisce "derivati", in quanto trasfusi da altro e differente ricorso ed inerenti ad altri provvedimenti, si rileva che, ove i detti vizi siano riferibili agli atti regionali impugnati in questa sede, gli stessi sono insussistenti per le medesime ragioni già esposte in precedenza, alle quali, pertanto, si rimanda.

In considerazione di tutto quanto esposto, anche la domanda di risarcimento danni non può trovare accoglimento.

In conclusione il ricorso è in parte irricevibile e in parte infondato e deve essere respinto.

Sussistono giustificati motivi per compensare tra tutte le parti le spese di causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte irricevibile e in parte lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-06-2011) 23-09-2011, n. 34684

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – D.C., per il tramite del suo difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, deliberata l’8 giugno 2010, che ha confermato quella del Tribunale della sede, in data 16 giugno 2008, che lo aveva condannato alla pena di giustizia, siccome colpevole del reato di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 2, accertato in (OMISSIS), contestatogli per avere violato le prescrizioni relative alla misura di prevenzione del divieto di rientro nel Comune di Taranto, disposta nei suoi confronti dal Questore di Taranto, con provvedimento del 21 aprile 2005. 2.1 – Nel ricorso, con i primi due motivi – tra loro strettamente connessi e che ben possono, per ciò, venire Illustrati congiuntamente – si deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo i giudici di appello confermato la pronuncia di condanna, pur in assenza degli elementi di prova idonei a far ravvisare il suddetto reato, attesa "la mancata acquisizione agli atti del dibattimento del provvedimento del Questore".

In particolare nel ricorso si censura la valutazione – formulata dal giudice di prime cure e confermata pedissequamente dal giudice d’appello, malgrado gli specifici rilievi critici prospettati nell’atto di gravame sul punto, rimasti senza risposta – in merito all’inutilità della richiesta di acquisizione del provvedimento asseritamente violato e della relata di notifica dello stesso all’imputato, a ragione del rilievo che l’esistenza del suddetto provvedimento doveva ritenersi certa, in base alla deposizione del teste Maresciallo M.M., evidenziandosi, al riguardo, che tale testimonianza, a tutto concedere, poteva ritenersi idonea, sul piano logico, a dimostrare "il fatto storico della presenza in (OMISSIS) del D.", ma non già l’effettiva sussistenza del presupposto del reato.

2.2 – Con il terzo ed ultimo motivo, da parte del ricorrente si eccepisce l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, evidenziandosi al riguardo, per un verso, che trattandosi di contravvenzione, il termine di prescrizione di anni quattro previsto dall’art. 157 c.p. risulta ormai decorso; dall’altro, che tale termine non è suscettibile di alcun aumento, non essendo intervenuto alcun fatto interruttivo ( art. 160 c.p.) ovvero sospensivo, tale da giustificare l’aumento del predetto termine, tenuto conto che la recidiva inizialmente contestata non opera per i reati contravvenzionali ed è stata per ciò eliminata.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta dal D. è basta su motivi infondati.

1.1 – Con riferimento ai primi due motivi prospettati in ricorso, deve escludersi, Infatti, qualsiasi profilo di illegittimità della decisione Impugnata, per avere i giudici di appello ritenuta superflua e inutilmente defagatoria la richiesta di acquisizione del provvedimento del Questore di Taranto in data 21 aprile 2005 che faceva divieto al D. di ritornare nel Comune di Taranto per anni tre.

Al riguardo, infatti, a prescindere dal contenuto della deposizione del teste M., occorre considerare che anche nel processo penale, come in quello civile, il thema probandum deve ritenersi strettamente collegato alle allegazioni delle parti, nel senso che i fatti ammessi o non contestati dall’imputato, non richiedono, di regola, ulteriori accertamenti o verifiche istruttorie. Ciò premesso in via generale, con specifico riferimento al caso in esame, è agevole rilevare che nel giudizio di primo grado, la difesa del D., rimasto contumace, non aveva mai contestato – contrariamente a quanto sostenuto, da ultimo, in ricorso – il fatto storico dell’emissione nel confronti dell’imputato, nell’aprile 2005, del foglio di via e la conoscenza da parte di quest’ultimo dell’esistenza di un divieto a far ritorno in quel Comune per la durata di anni tre, avendo, invece, fondato la richiesta di assoluzione del D. sull’assunto che, la rilevata presenza dello stesso in (OMISSIS), nei pressi di una stazione di autobus, doveva ritenersi dei tutto occasionale, trovandosi l’imputato "in transito temporaneo".

In tale contesto, risultando pacifica l’esistenza del foglio di via, tant’è che anche nell’atto di appello si contestava, in effetti, soltanto la mancata acquisizione di copia del provvedimento e non già la sua esistenza ovvero la sua conoscenza da parte dell’imputato, nessuna censura può fondatamente muoversi alla Corte territoriale per non provveduto a tale adempimento, ritenuto superfluo, anche perchè, atteso il carattere eccezionale della rinnovazione del dibattimento in appello, "l’Imputato che abbia omesso di indicare le prove ritenute utili per la propria difesa non può più esercitare nelle successive fasi del processo alcun autonomo impulso probatorio, anche nell’ipotesi di sostituzione, nella ipotesi consentite, del difensore, il quale è tenuto a svolgere il proprio mandato nelle condizioni processuali esistenti al momento del suo ingresso nel processo" (in tal senso Sez. 3, Sentenza n. 100 del 24/11/1999 dep. l’11/01/2000, Rv. 215303, imp. Crescenzio).

1.2 – Infondato deve ritenersi, infine, anche il terzo motivo d’impugnazione. Premesso che il reato contestato al D. è stato accertato il (OMISSIS), va infatti rilevato che il corso della prescrizione, contrariamente a quanto affermato apoditticamente in ricorso, è stato più volte interrotto, sia dalla sentenza di condanna di primo grado, emessa il 16 giugno 3008, sia, da ultimo, da quella di appello, deliberata l’8 giugno 2010, ben prima quindi dello spirare del termine quadriennale.

Per effetto di tali interruzioni, il termine ordinario di prescrizione deve quindi ritenersi aumentato, ex art. 161 c.p.p. di 1/4 – e cioè di un anno – con la conseguenza che il reato contestato al D. non può ritenersi estinto, maturando il termine di prescrizione il 31 luglio 2011. 2. – In conclusione, risultando infondati tutti i motivi di impugnazione, il ricorso va rigettato, con le conseguenze di legge in ordine al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 06-03-2012, n. 3456

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Svolgimento del processo

Con atto di opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal tribunale di Paola in favore di S.G. ed a carico del Comune di Aiello Calabro per il pagamento di compenso professionale, lo stesso Comune contestava la ricorrenza delle condizioni per l’emissione del decreto ingiuntivo e, nel merito, la fondatezza della domanda.

Lo S., costituitosi, contestava, invece, i motivi di opposizione chiedendo in subordine, l’accoglimento della domanda proposta ex art. 2041 c.c., in via subordinata.

Il giudice rigettava la richiesta di provvisoria esecuzione del decreto e dichiarava inammissibile la domanda di arricchimento senza causa proposta dall’opposto.

Alla successiva udienza era disposta la riunione al presente procedimento di quello relativo alla domanda di arricchimento ex art. 2041 c.c., proposta in via autonoma dallo S..

Il tribunale, con sentenza del 25.2.2005, accoglieva l’opposizione revocando il decreto ingiuntivo opposto; accoglieva, quindi, la domanda di ingiustificato arricchimento, condannando il Comune all’indennizzo richiesto.

La sentenza era impugnata dal Comune di Aiello Calabro e la Corte di Appello, con sentenza del 31.10.2009, in parziale accoglimento dell’appello condannava il Comune a somma inferiore a quella liquidata nel giudizio di primo grado. Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria, il Comune di Aiello Calabro. Resiste con controricorso lo S..

Motivi della decisione

Preliminarmente va dato atto che al presente ricorso si applicano le norme di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, per essere il provvedimento impugnato depositato successivamente all’entrata in vigore della indicata normativa (4 luglio 2009).

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione artt. 2041 e 2042 c.c. – D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23 conv. in L. 24 aprile 1989, n. 144, riprodotto dal D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35 e poi confluito nel D.Lgs. n. 261 del 2000, art. 191, e art. 11 preleggi in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 – Contraddittorietà della motivazione su punto decisivo della controversia ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Il motivo è inammissibile.

E’ di tutta evidenza l’errore materiale in cui è incorsa la Corte di merito.

La stessa, infatti, dopo avere correttamente affermato che il D.L. n. 66 del 1989, art. 23 – che non consente l’azione di arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c., nei confronti della P.A. – trova applicazione soltanto con riferimento alle prestazioni ed ai servizi resi in favore di amministrazioni provinciali, comuni e comunità montane successivamente alla sua entrata in vigore – richiamando costante e copiosa giurisprudenza della Corte di cassazione sul punto (v. per tutte Cass. 11.5.2007 n. 10884) – ha, poi, con riferimento agli incarichi che ha rilevato essere stati conferiti all’odierno resistente in epoca anteriore all’entrata in vigore della menzionata normativa, affermato che "Lo S. ha, pertanto diritto all’indennizzo solo per le prestazioni rese successivamente all’entrata in vigore della normativa prima indicata". Il corretto contesto di riferimento ed il richiamo puntuale alla giurisprudenza in materia, toglie ogni pregio alle censure avanzate, escludendo la contraddittorietà lamentata.

In questo senso, pertanto, deve logicamente intendersi il riferimento temporale delle prestazioni che la Corte di merito ha riconosciuto dovute allo S..

Il vizio, in ogni caso, avrebbe dovuto formare oggetto della procedura di correzione dì errore materiale di cui all’art. 287 e segg., non integrando certo un vizio da far valere con il ricorso per cassazione (v. anche Cass. 31.5.2011 n. 12035).

Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione artt. 2041 e 2042 c.c. – D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23 conv. in L. 24 aprile 1989, n. 144, riprodotto dal D.Lgs n. 77 del 1995, art. 35 e poi confluito nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, in riferimento alla determinazione dell’indennità per arricchimento senza causa ed all’art. 360 c.p.c., n. 3, – Violazione artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione alle risultanze probatorie acquisite ed all’art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 – Insufficiente e contraddittoria motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5).

Il motivo non è fondato.

Vero è che in tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della P.A., conseguente all’assenza di un valido contratto – come nella specie – l’indennità prevista dall’art. 2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (Cass. 7.10.2011 n. 20648); quindi, nei limiti del danno emergente.

Trattandosi, peraltro, di indennizzo ex art. 2041 c.c. per lo svolgimento di un’attività professionale, la quantificazione dell’indennizzo stesso potrebbe essere effettuata utilizzando la tariffa professionale soltanto come parametro di valutazione, per desumere il risparmio conseguito dalla P.A. committente rispetto alla spesa cui essa sarebbe andata incontro nel caso di incarico professionale contrattualmente valido (Cass. 29.9.2011 n. 19942;

Cass. 10.10.2007 n. 21292).

Ma, nel caso in esame, la Corte non ha neppure preso la tariffa professionale come parametro di riferimento, basando la valutazione comparativa fra lucupletazione del comune ed effettiva diminuzione patrimoniale del professionista, sulla documentazione in atti e sui dati indicati dal consulente tecnico d’ufficio, e concludendo che per la natura di debito di valore dell’indennizzo la sua misura poteva farsi coincidere con quella che allo stesso sarebbe spettata "a tale titolo".

Trattasi di motivazione coerente ed argomentata, basata su principi di diritto correttamente applicati, come tale immune dalle censura avanzate; non senza evidenziare che dalla sentenza impugnata non emerge, nel calcolo dell’indennizzo, alcun riferimento a supposte prestazioni eseguite successivamente all’entrata in vigore del D.L. n. 66 del 1989, art. 23.

Anche su tale punto, pertanto, la censura non può essere seguita.

Con il terzo motivo si denuncia la violazione art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo non è fondato.

Le conclusioni cui si è pervenuti con riferimento ai precedenti motivi rendono pienamente corretta la statuizione di compensazione adottata dalla Corte di merito in ordine alle spese dei gradi di merito, la cui motivata adozione, non solo rende legittima la statuizione adottata dal giudice del merito cui compete, ma consente di escludere la sussistenza della violazione contestata (v. anche S.U. 30.7.2008 n. 20598; Cass. Ord. 2.12.2010 n. 24531).

Conclusivamente, il ricorso è rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono posta a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.