T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 05-04-2011, n. 887 Armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 19 settembre 2008 alcuni agenti della Polizia di Stato, nel corso della loro attività di pattugliamento del territorio, assistevano ad un alterco fra il Sig. M.A. ed alcuni giovani.

Nell’annotazione redatta per l’occasione dagli agenti di Polizia si riferiva in particolare di aver visto un uomo, poi identificato nel sig. A., mentre "spingeva più volte una ragazza all’indietro, afferrandola per gli avambracci" provocando la reazione violenta di un amico che "divideva le due parti e veniva alle mani con lo stesso".

La compagnia di giovani avvisava gli agenti della polizia del fatto che il Sig. A. era armato, circostanza constatata direttamente anche da uno degli agenti intervenuto, che provvedeva a disarmare l’A..

Nel corso della verbalizzazione dell’accaduto venivano date versioni contrastanti sull’episodio in quanto da parte dei giovani veniva riferito che il Sig. A. avrebbe minacciato di morte la ragazza, mentre questi riferiva di essersi semplicemente fermato a parlare con i suoi aggressori tentando di difendersi verbalmente dalle ingiuste ingiurie che essi gli avevano proferito, ma senza minacciare alcuno.

Gli agenti della polizia rinvenivano altresì nell’autovettura del Sig. A. una bomboletta spray irritante.

A seguito della trasmissione del predetto verbale, corredato da parere del Questore, il Prefetto della Provincia di Pavia, ritenuto che il comportamento minaccioso tenuto dal ricorrente e il possesso da parte dello stesso di una bomboletta di spray irritante costituissero atti idonei a far venir meno l’affidamento nel corretto uso delle armi, faceva divieto al Sig. A. di detenere qualsiasi tipo di arma, munizione o materiale esplodente, ingiungendogli di cedere o vendere quelle di cui era in possesso.

Avverso tale provvedimento ha promosso ricorso l’interessato sulla base dei seguenti

MOTIVI

1) Violazione di legge, eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, carenza di istruttoria e motivazione, contraddittorietà illogicità sviamento.

Il Prefetto non ha tenuto conto delle circostanze evidenziate dal Sig. A. nelle sue memorie difensive, e cioè del fatto che, a seguito di un recente intervento chirurgico, egli era costretto a portare la pistola in una fascia elastica posta lungo l’addome e che la bomboletta spray rinvenuta dalla polizia nella sua autovettura non poteva considerarsi tecnicamente un’arma la cui detenzione necessitasse di autorizzazione.

2) Violazione del combinato disposto degli artt. 11, 39 e 43 del RD 773/1931.

Il divieto della detenzione di armi è stato disposto senza un’adeguata indagine sulla effettiva pericolosità del Sig. A. facendo affidamento sulle sole dichiarazioni rilasciate dai soggetti con i quali egli aveva avuto il litigio.

Si è costituita l’Avvocatura distrettuale per resistere al ricorso.

All’udienza del 16 marzo 2011, sentiti gli avvocati delle parti come da separato verbale, relatore Dr. R G, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Occorre rammentare che il divieto di detenere armi adottato dall’autorità di P.S. ai sensi dell’art. 39, r.d. 18 giugno 1931 n. 773 è caratterizzato da tratti significativi di discrezionalità, dato che è fondato su un giudizio prognostico di non abuso delle armi da parte del titolare, che ben può essere basato su elementi anche soltanto di carattere indiziario (Consiglio Stato, sez. VI, 06 luglio 2010, n. 4280).

Nel caso di specie, anche a prescindere dalla veridicità delle dichiarazioni rilasciate dai giovani con i quali il ricorrente aveva avuto il diverbio che ha dato origine alla vicenda, appare, tuttavia, indiscusso il fatto che egli è stato visto dalla polizia mentre, con la pistola inserita negli indumenti, spintonava una ragazza.

Tale comportamento, oggettivamente violento, appare del tutto improprio tenuto conto del fatto che a tenerlo era una persona armata che dovrebbe dimostrare, anche in circostanze critiche, un perfetto autocontrollo.

Peraltro, come affermato senza contestazioni dall’Avvocatura, risulta che il Sig. A., in passato, è stato più volte deferito alla Autorità giudiziaria per minacce e lesioni personale. E ciò conferma il giudizio di non affidabilità all’uso delle armi che sta alla base del provvedimento impugnato.

Il ricorso deve essere, quindi, respinto, anche se sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-04-2011) 27-04-2011, n. 16456

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 29 giugno 2010, la Corte di appello di Cagliari confermava la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale F.M. era stato ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 81 c.p., comma 2, e art. 337 c.p., condannandolo alla pena di giustizia.

F. era accusato di essersi opposto in data 1 gennaio 2003, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ad un intervento del personale di Polizia finalizzato all’accompagnamento in Questura di P.J.D., impedendo ad uno degli agenti di riprendere il posto di guida sulla volante.

2. Avverso la suddetta sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione li difensore dell’imputato, con il quale denuncia l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale e di norme processuali, la mancanza la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione.

Secondo il ricorrente, i fatti attribuiti al F. non integrerebbero gli estremi di reato. La condotta dell’imputato assumerebbe i connotati della mera resistenza passiva, difettando degli elementi della violenza e della minaccia.

Difetterebbe anche l’elemento psicologico del reato, posto che l’imputato era intervenuto solo per far accompagnare l’amico P. in ospedale.

La condotta dovrebbe ritenersi inoltre scriminata, ai sensi dell’art. 54 c.p., proprio perchè necessitata dalla tutela dello stato di salute del P..

Il reato sarebbe in ogni caso prescritto alla data del primo luglio 2010.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

Osserva la Corte che la ricostruzione in fatto operata dai Giudici di merito non offre elementi per ritenere che la condotta tenuta dall’imputato nella circostanza di cui è processo abbia integrato il reato di resistenza.

Si evince infatti che l’imputato era intervenuto in soccorso dell’amico P., che poco prima aveva subito una brutale aggressione ad opera di sconosciuti e che aveva, in stato di ebbrezza alcolica, ingiuriato la polizia intervenuta sul posto, perchè – a suo adire – non lo avevano difeso. In questo contesto, l’imputato si sarebbe dato da fare nel portare prima alla calma l’amico e nel convincere poi gli operanti di soprassedere e lasciarlo andare.

Proprio nel corso di questo colloquio si sarebbe estrinsecato, secondo i giudici di merito, l’atto di resistenza del F., consistito nel rimanere, per qualche minuto, immobile tra la portiera ed il posto della volante, impedendo all’agente di salire a bordo.

Può concludersi quindi che il comportamento tenuto dall’imputato non si è concretizzato in un atto di violenza, quanto piuttosto in una resistenza passiva, nei senso che costui non aderì all’invito rivoltogli dagli operanti di farsi da parte e lasciar sedere l’autista della volante.

Giova qui ribadire che, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 337 c.p., è necessario il compimento di atti positivi d’aggressione o di minaccia che impediscano al pubblico ufficiale di compiere l’atto del proprio ufficio, rimanendo al di fuori della fattispecie un comportamento di mera disobbedienza o resistenza passiva (Sez. 6, n. 37352 del 05/06/2008, dep. 01/10/2008, Parisi, Rv. 241187).

Risultando che nessuna violenza o minaccia è stata posta in essere dall’imputato, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il fatto non sussiste.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-09-2011, n. 18593 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- P.E. ha proposto ricorso per cassazione – affidato a quattro motivi – contro il decreto della Corte di appello di Napoli del 17.3.2009 con il quale è stata rigettata la sua domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 presentata in relazione alla durata irragionevole di una procedura esecutiva promossa nei suoi confronti con atto di precetto del 1995, non ancora definita.

La Corte di appello ha ritenuto non provato il danno patrimoniale e insussistente: il danno non patrimoniale lamentato dal debitore esecutato.

Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso con il quale, tra l’altro, eccepisce l’inammissibilità del ricorso.

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

2.1.- Con i motivi di ricorso parte ricorrente denuncia: 1) violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 CEDU; 2) violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 2056, 2059 c.c. e art. 6 CEDU e relativo vizio di motivazione in ordine al danno patrimoniale; 3) violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 2056, 2059 c.c. e art. 6 CEDU e relativo vizio di motivazione in ordine al danno non patrimoniale; 4) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 25 Cost..

3.- Osserva la Corte che l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., posto che in relazione ai motivi di ricorso non sono stati formulati dal ricorrente i prescritti quesiti di diritto nè, per i vizi di motivazione denunciati, risultano formulate le sintesi dei fatti controversi. Nè è possibile ritenere che le parti in neretto (non sempre presenti a conclusione del motivo) assolvano alla predetta funzione non essendo rispettosi dei criteri dettati dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale il quesito di diritto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.

In altri termini, "il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie" (Sez. 3, ordinanza n. 19769 del 17/07/2008). E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge perchè, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Sez. U, Sentenza n. 26020 del 30/10/2008).

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 900,00 oltre le spese prenotate a debito.

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Cons. Stato Sez. V, Sent., 27-05-2011, n. 3195 Carenza di interesse sopravvenuta

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i, per delega dell’Avv. L. Manzi;
Svolgimento del processo

Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, sez. I, con la sentenza n. 430 del 6 giugno 2007, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dalla Immobiliare P. P. ha respinto il ricorso per l’accertamento dell’obbligazione di diritto pubblico afferente alla monetizzazione dei parcheggi ed alla cessione in uso pubblico di aree.

Il TAR si è basato sulla circostanza che la controversa prestazione di monetizzazione dei posti auto non è affatto prevista dalla legge, ma da atti autoritativi generali (precisamente, dalla norma di attuazione del piano particolareggiato e dalle deliberazioni consiliari cui tale norma rinvia); pertanto, anche se la determinazione del contributo fosse affetta da vizi afferenti, com’è stato dedotto, ad un computo esagerato ed errato, la parte ricorrente avrebbe dovuto impugnare tempestivamente le deliberazioni consiliari che, in attuazione della previsione normativa del piano particolareggiato, hanno fissato il quantum.

La Società ricorrente ha proposto appello contro la sentenza del TAR deducendo l’erronea qualificazione del rapporto da parte del giudice di prime cure e l’inesistenza di un potere di imposizione unilaterale di pretese patrimoniali da parte dell’Amministrazione, inesistenza dedotta sia in generale sia, comunque, con riferimento all’impossibilità di tale potere manifestarsi con efficacia retroattiva.

In sede di appello vengono, inoltre, riproposti i motivi legati: all’erronea quantificazione del quantum della monetizzazione; alla sua determinabilità in via unilaterale; infine, alla sottoponibilità a tale monetizzazione di uno dei due interventi edilizi che vi hanno dato origine, in quanto intervento risalente al 1991, anteriormente alla normativa sugli standard relativi ai posti auto.

All’udienza pubblica del 3 maggio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Con atto di transazione in data 11 aprile 2011, depositato in Segreteria in data 22 aprile 2011, veniva posta fine alla lite tra le odierne parti processuali.

In conseguenza di ciò si determina una sopravvenuta carenza d’interesse all’appello.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile.

Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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