Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-10-2011, n. 21221 Rinunzia all’impugnazione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte:

quanto segue:

La Girling Limited ha proposto, con atto notificato il 23.6.03, ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 763/03 resa nel procedimento n. 2583/00 che contrapponeva la ricorrente alla Forma srl, alla IBC srl, alla Rofren di S. Romano, alla Simer srl, al fallimento Sepma ed al fallimento Ala spa;

Hanno resistito con controricorso le sole società Forma, IBC, Rofren e Simer La Girling ltd. ha depositato in cancelleria atto di rinuncia agli atti del giudizio notificato alle controricorrente e da queste ultime accettato.

Il P.G. ha concluso per la dichiarazione di estinzione del giudizio.

Il processo va pertanto dichiarato estinto per rinuncia senza che vi sia luogo a pronuncia sulle spese.
P.Q.M.

Dichiara estinto il giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-11-2011, n. 23669 Licenziamento

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Svolgimento del processo

Con ricorso al Pretore di Rimini – giudice del lavoro – P. A. premetteva di avere lavorato alle dipendenze della s.p.a.

A.M.I.R. di Rimini, dal 10 ottobre 1991 al 30 aprile 1998, con la qualifica di letturista.

Esponeva di essere stato licenziato in data 30 aprile 1998, dopo che, a seguito di lettera dell’8 febbraio 1997, con la quale il Direttore Generale della datrice di lavoro gli aveva contestato "modalità di esecuzione dei compiti assegnati assolutamente inadeguate e tali da non soddisfare l’esito del lavoro e le richieste degli uffici", era stato trasferito presso il Centro Operativo di (OMISSIS) con mansione provvisoria di aiutante di squadra.

Aggiungeva che, sottoposto nel mese di giugno 1997 a visita, da parte del medico di fabbrica – che rifiutava la consegna dell’attestato del risultato della visita medesima-, in data 23 ottobre 1997, durante lo svolgimento delle mansioni di aiutante di squadra, alle quali era stato, peraltro, confermato, subiva un grave infortunio sul lavoro, per il quale era stato ricoverato presso l’Ospedale di (OMISSIS), dimesso dal quale aveva ricevuto la prescrizione del medico di fabbrica di ulteriori 20 giorni di riposo e cura.

Soggiungeva che, ripresa l’attività in data 28 novembre 1997, la società datrice di lavoro lo aveva adibito a mansioni "più leggere", ma, il successivo 10 febbraio 1998, era stato sottoposto a nuova visita medica, da parte del medico di fabbrica, che lo aveva dichiarato "non idoneo alle mansioni derivanti dal suo impiego alla squadra" ed aveva consigliato la sua adibizione a lavorazioni che non comportassero "movimentazioni e sollevamento di carichi a mano, eccessivi, movimenti incongrui e posture abnormi"; tuttavia, nonostante il parere del medico, dal 20 febbraio al 17 aprile 1998 egli aveva continuato ad essere adibito alle mansioni di aiutante di capo squadra, il più delle volte, uscendo da solo.

Precisava che, con lettera del 16 aprile, pervenutagli il successivo 18 aprile 1998, la A.M.I.R. risolveva il rapporto di lavoro.

Ritenendo illegittimo il provvedimento espulsivo, con il ricorso in parola conveniva in giudizio la società datrice di lavoro, chiedendo declaratoria/nullità, illegittimità e/o inefficacia del provvedimento di trasferimento – a suo avviso di natura disciplinare- presso il centro operativo di (OMISSIS) con mansione di aiutante di squadra operativa in data 8 febbraio 1997, nonchè declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli il 18 aprile 1998, con le conseguenze previste dalla L. n. 300 del 1970, art. 18.

Radicatosi il contraddittorio, la società convenuta contestava la domanda sotto vari profili.

Con sentenza del 13 maggio 2003, il giudice unico del Tribunale di Rimini, succeduto, per legge, al Pretore, in accoglimento della domanda dichiarava l’illegittimità del licenziamento del 16 aprile 1998, ordinando alla convenuta di reintegrare il lavoratore nel proprio posto di lavoro e condannando la medesima, al pagamento di una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino alla data di effettiva reintegrazione.

Avverso tale decisione la s.p.a. A.M.I.R. e la s.r.l. Hera Rimini (cui era stato ceduto – in data 27 dicembre 2002, con decorrenza 1 gennaio 2003 – un ramo di azienda), proponevano appello, cui resisteva il P., proponendo, a sua volta, appello incidentale condizionato.

Espletata ctu medico legale, con sentenza del 18 giugno 2007-15 settembre 2008, l’adita Corte d’appello di Bologna, in accoglimento del gravame, rigettava la domanda del P., proposta con il ricorso introduttivo/ e dichiarava assorbito quello incidentale; compensava le spese di entrambi i gradi, ponendo a carico di Hera Rimini s.r.l. le spese di ctu.; condannava P.A. a rimborsare agli appellanti le somme ricevute in esecuzione della sentenza di primo grado.

A sostegno della decisione osservava, quanto al dedotto illegittimo trasferimento presso il settore "reti centro operativo di (OMISSIS)", che in realtà si era in presenza di un semplice mutamento di mansioni e che, in ogni caso, anche se si fosse trattato di un trasferimento, esso risultava ampiamente giustificato dallo stato di salute del dipendente; quanto al licenziamento, analogamente – come emergeva dalla espletata ctu – esso era inevitabile non essendo il lavoratore in condizione di svolgere le sue mansioni nè erano reperibili nell’ambito aziendale mansioni confacenti al suo stato di salute.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il P. con otto motivi, ulteriormente illustrati da memoria, ex art. 378 c.p.c..

Resistono A.M.I.R. S.p.A. e Hera Rimini s.r.l. con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 161, 429 e 437 c.p.c., sostiene che la sentenza impugnata sarebbe nulla per pretesa mancata lettura del dispositivo in udienza e propone, all’uopo, querela di falso ex art. 221 c.p.c..

Il motivo è infondato.

Invero – come da consolidata giurisprudenza di questa Corte – nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’omessa lettura del dispositivo all’udienza di discussione determina la nullità della sentenza, da farsi valere secondo le regole proprie del mezzo di impugnazione esperibile, in base al principio generale sancito dall’art. 161 cod. proc. civ., comma 1, senza che il giudice di secondo grado, che abbia rilevato tale nullità, ove dedotta con l’appello, possa nè rimettere la causa al primo giudice – non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 cod. proc. civ. – nè limitare la pronunzia alla mera declaratoria di nullità, dovendo decidere la causa nel merito; pertanto, qualora il giudice d’appello proceda all’esame delle altre censure dedotte con l’impugnazione, difetta l’interesse a far valere come motivo di ricorso per cassazione la nullità della sentenza di primo grado in quanto non dichiarata dal giudice d’appello, perchè l’eventuale rinvio ad altro giudice d’appello porterebbe allo stesso risultato già conseguito con la pronuncia su tutti i motivi di impugnazione (ex plurimis, Cass. n. 5659/2010).

Con il secondo motivo il P., denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., nonchè della L. 20 maggio 1970, art. 7 e dell’art. 17 del c.c.n.l. Federgasac, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamenta che il Giudice d’appello non avrebbe considerato che, prima del licenziamento, avrebbe avuto un trasferimento da un’unità ad un’altra e che tale preteso trasferimento sarebbe stato disciplinare o avrebbe comportato "declassamento", con conseguente diritto alla riassegnazione delle mansioni precedentemente svolte o ad altre equivalenti.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2103 c.c., nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 7 (art. 360 c.p.c., n. 3), sostiene che, se anche al provvedimento di trasferimento e declassamento non si volesse riconoscere natura disciplinare, il medesimo sarebbe comunque illegittimo, essendo stato adibito a mansioni incompatibili con il proprio stato di salute, con conseguente suo diritto ad essere riassegnato alle mansioni precedentemente svolte o ad altre equivalenti, compatibili comunque con il suo stato di salute, oppure ad altre di più elevato contenuto professionale.

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ( art. 360 c.p.c., n. 5) e, segnatamente, in relazione alle risultanze istruttorie.

Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3; art. 1464 c.c., nonchè motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) in relazione all’accertata sua inidoneità a svolgere confacente attività lavorativa, sulla base di un elaborato di consulenza tecnica apodittico e contraddittorio.

Con il sesto motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3; L. n. 300 del 1970, art. 5; artt. 1453, 1464, 2087, 2110 e 2103 c.c., nonchè pretesa omessa insufficiente e contraddittoria motivazione ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostiene che al momento del licenziamento sarebbero esistiti "compiti meno gravosi che saturavano comodamente una posizione lavorativa" e che, pertanto, il licenziamento – contrariamente a quanto ritenuto dal Giudice d’appello – sarebbe privo di giustificazione.

Con il settimo motivo il ricorrente, denudando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sostiene che, se si fosse aspettato ancora a licenziarlo, sarebbe potuto guarire ed in tal caso sarebbe stato non più inidoneo, tenuto conto della temporaneità della inidoneità, relativa, comunque, a lavori pesanti.

Gli esposti motivi, valutati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono privo di fondamento, avendo il Giudice a quo dato ampio riscontro alle doglianze riproposte dal P. in questa sede.

Invero, quanto alla ritenuta sussistenza di un trasferimento da una unità produttiva ad un’altra del P., la Corte territoriale ha osservato – con accertamento di fatto non censurabile in questa sede – che, nella specie, non era configurabile un tale trasferimento, ma solo un mutamento di mansioni, senza alcun declassamento, atteso che il settore "reti centro operativo di (OMISSIS)" non poteva essere identificato come una unità produttiva autonoma, poichè esso rientrava nella medesima unità produttiva della "Direzione Generale", alla quale era addetto il P. in qualità di usciere.

Peraltro – soggiunge la Corte territoriale – doveva considerarsi, in ogni caso, assorbente il rilievo che – anche a volere configurare un trasferimento – questo sarebbe stato legittimo, in quanto attuato per ragioni tecniche, organizzative e produttive, da ravvisarsi nella accertato svolgimento, da parte del lavoratore, dei compiti assegnatigli in maniera approssimativa, superficiale e con risultati insoddisfacenti. Conseguentemente il mutamento di mansioni (ed anche l’eventuale trasferimento) del P. aveva tutt’altro che connotati "punitivi, essendo giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, in ragione del fatto che era finalizzato ad eliminare la disorganizzazione e la disfunzione del servizio di usciere.

Quanto al licenziamento il Giudice d’appello ha tenuto ad evidenziare come il nominato CTU avesse confermato l’inidoneità fisica del lavoratore, al momento del recesso, escludendo qualsiasi colpa della datrice di lavoro; ciò in quanto nella sua relazione il Consulente aveva escluso che il comportamento della Società fosse stato la causa della inidoneità stante il fatto dimostrato che il P. aveva lavorato come aiutante di squadra con mansioni complete (come scavare, usare martelli ecc.) per soli 4 mesi (probabilmente meno dato il periodo di ferie estive) prima dell’infortunio del 23/10/97, con blocco lombare acuto.

A ciò andava aggiunto che, avendo lo stesso medico competente (preposto per legge – cfr. D.Lgs. n. 626 del 1994 – alla salvaguardia della salute dei lavoratori) giudicato "idoneo" al lavoro il P. alla data del 3 giugno 1997, doveva essere esclusa la consapevolezza della società datrice di lavoro di una inidoneità, che a quel momento non esisteva, sicchè doveva essere escluso – a fortiori – un intento discriminatorio al momento dell’assegnazione di mansioni di aiutante.

E poichè – prosegue il Giudice a quo – presso l’AMIR, non vi erano posti disponibili corrispondenti al livello di inquadramento del P. (D1), nè altri posti di diversa qualificazione, come risultante dalla prodotta documentazione, conseguiva che il licenziamento intimato allo stesso P. doveva essere dichiarato legittimo, anche ai sensi degli artt. 1453 e 1464 cod. civ., in quanto si era verificata una situazione influente sulla qualità e quantità della prestazione lavorativa contrattualmente dovuta.

Privo di consistenza è, infine, anche l’ottavo motivo, con cui il ricorrente, denunciando nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., stante l’omessa pronuncia in ordine alla domanda contenuta nell’appello incidentale condizionato ritualmente proposto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, lamenta che la Corte d’Appello non avrebbe dovuto dichiarare assorbita la sua domanda incidentale condizionata di richiesta di risarcimento del danno per aggravamento di malattia a causa della soc. datrice di lavoro.

Invero – come innanzi esposto – il CTU ha affermato che della malattia del P. la società non era in alcun modo responsabile e la Corte d’Appello ha condiviso in pieno l’accertamento di fatto.

Coerentemente, pertanto, la sentenza impugnata ha respinto la domanda di risarcimento, una volta accertata e motivata la non imputabilità dell’ipotizzato danno.

In conclusione, l’appello principale va accolto e la sentenza impugnata va riformata, con conseguente rigetto della domanda, proposta da P.A. con il ricorso introduttivo.

L’alterno esito dei giudizi di merito, comprovanti l’obiettiva difficoltà dell’apprezzamento dei fatti, giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 26-05-2011) 13-07-2011, n. 27435 Riparazione per ingiusta detenzione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza, in data 2.02.2010, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di Euro 23.100,00 in favore di A.D. P.J.A., a titolo di equa riparazione per ingiusta detenzione subita.

Ricorre per Cassazione avverso la suddetta ordinanza l’istante, a mezzo del suo difensore, che deduce la violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo ai criteri di determinazione della prestazione riparatoria.

In particolare, si argomenta che la Corte d’Appello ha operato una riduzione dei parametri di riferimento, calcolando Euro 100 per ogni giorno di detenzione in carcere anzichè 235,83, in ragione della negativa personalità e dei precedenti penali del ricorrente, affermando sostanzialmente che siffatto elemento ha determinato un’afflizione minore rispetto a quella che avrebbe riguardato un incensurato.

Si rileva, in contrario, che, con riferimento alle sofferenze morali, se è pur vero che l’aver subito precedenti condanne può far ritenere l’afflizione carceraria e la libertà personale riducibile di un qualche coefficiente, tuttavia non si poteva addivenire ad una così cospicua riduzione senza far ricorso a parametri oggettivi, che si impongono anche per evitare che il criterio equitativo finisca con il celare una valutazione del tutto soggettiva ed arbitraria. Per altro si osserva che l’avere riportato condanne penali in passato non poteva nel caso di specie comportare alcuna diminuzione del danno morale, poichè la carcerazione è stata molto lunga e la protrazione per lunghi periodi della carcerazione non può diluire il complesso di sofferenze e pregiudizi psichici, sociali e morali. Con parere scritto, il Procuratore Generale, nella persona del dott. Luigi Riello, ha chiesto rigettarsi il ricorso sul rilievo che il provvedimento impugnato ha applicato correttamente i principi dettati dalla Corte di Cassazione in materia. Con memoria scritta l’Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto dichiararsi improponibile, inammissibile e comunque infondato il proposto ricorso. Il ricorso è infondato.

La Corte d’Appello ha dato atto di ben conoscere il principio giurisprudenziale di legittimità cui ha fatto riferimento, in base al quale il criterio matematico di determinazione non è vincolante in assoluto; è comunque criterio che raccorda a dati certi e paritari il pregiudizio scaturente dalla perdita della libertà personale e, come tale, è il criterio base della valutazione del giudice della riparazione che potrà, comunque, derogarvi in senso ampliativo – purchè nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge – o restrittivo a condizione che, in un caso o nell’altro, dia congruo conto della valutazione dei relativi parametri di riferimento e ciò pur nel contesto di una delibazione guidata dal metodo equitativo, in coerenza con l’indole indennitaria e non risarcitoria della somma liquidata a titolo di riparazione. Questa Corte ha altresì affermato che il riferimento all’equità si traduce nell’attribuzione al giudice di un più vasto potere di apprezzamento per la soluzione del caso concreto, ma non in funzione additiva rispetto al parametro aritmetico, e la massima indennità giornaliera va tenuta presente dal giudice di merito come parametro per modulare concretamente l’indennizzo in relazione alle specifiche conseguenze personali e familiari patite dall’istante per effetto della ingiusta detenzione. Tutto ciò ribadito il provvedimento impugnato risponde correttamente ai cennati principi.

In particolare, la Corte di merito ha dato contezza, motivando adeguatamente, delle ragioni per cui ha derogato ai parametri matematici in senso restrittivo che l’hanno portata a liquidare una somma inferiore rispetto a quella determinata secondo il parametro aritmetico.

La Corte, dunque, ritiene che l’indennizzo debba essere notevolmente ridotto rispetto alla misura standard derivante dall’indicato criterio aritmetico, in considerazione del negativo profilo di personalità derivante dalle condanne e dai procedimenti pendenti. Le censure mosse contro tale apprezzamento sono infondate. Infatti, come già evidenziato da questa Corte (Sez. 4, 13 marzo 2007, Sanna), è ragionevole ritenere che il danno derivante dall’ingiusta detenzione sia minore nei confronti di persone già vulnerate da precedenti condanne. Tale ridotta afflittività può essere ricondotta per un verso al minore discredito che l’evento comporta per una persona la cui immagine sociale è già compromessa per via delle condanne; e per l’altro al fatto che la dimestichezza con l’ambito giudiziario e penitenziario rende meno traumatica la pur ingiusta privazione di libertà. Dunque, l’apprezzamento compiuto dalla Corte distrettuale, essendo immune da vizi logici, non può essere sindacato nella presente sede di legittimità. Il ricorso va quindi rigettato.

Segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali, e alla rifusione in favore del costituito Ministero delle spese, che si liquidano come da dispositivo, sostenute in questo giudizio tenuto conto delle argomentazioni svolte nella memoria ritualmente depositata condivisibili in diritto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 30-06-2011) 26-07-2011, n. 29864 Esecuzione

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Svolgimento del processo

1. Con decreto del 2 dicembre 2010 il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano ha dichiarato inammissibile l’istanza di affidamento al servizio sociale e di detenzione domiciliare, presentata da I.G., con riferimento alla sentenza del 18 dicembre 2008 della Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza emessa il 14 marzo 2008 dal G.i.p. del Tribunale di Milano, definitiva l’11 giugno 2010, sul rilievo che il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74, per il quale l’istante era detenuto, era ostativo alla concessione dei benefici ai sensi dell’art. 47-ter, commi 1-bis e 4-bis, Ord. Pen..

2. Avverso detto decreto ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, I.G., che ne chiede l’annullamento, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) ed e).

Secondo il ricorrente, la norma di cui all’art. 4-bis Ord. Pen. non esclude con "invincibile automatismo", anche in relazione alla fattispecie di reato prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, la possibilità di accesso agli strumenti trattamentali extramurari in mancanza della collaborazione, disponendo che, ove sussista impossibilità oggettiva o soggettiva della detta collaborazione, l’applicazione di misura alternativa suppone la prova dell’assenza attuale di legami con le organizzazioni criminali. Nel caso di specie, un tale accertamento è, invece, totalmente mancato.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l’annullamento senza rinvio del decreto impugnato, adottato al di fuori dei casi normativamente previsti, e la trasmissione degli atti per l’ulteriore corso del procedimento al Tribunale di sorveglianza di Milano.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. L’art. 678 cod. proc. pen., comma 1, richiama per il procedimento di sorveglianza la disciplina del procedimento di esecuzione e, quindi, anche l’art. 666 cod. proc. pen., comma 4, che prevede che l’udienza in Camera di consiglio, fissata per la trattazione dell’incidente di esecuzione, si svolge con la partecipazione necessaria del difensore e del pubblico ministero, ai quali deve essere dato apposito avviso.

In forza del combinato disposto dell’art. 678 cod. proc. pen., comma 1, e art. 666 cod. proc. pen., comma 2, è, tuttavia, possibile la decisione di inammissibilità dell’istanza, adottata de plano con decreto motivato del presidente del tribunale di sorveglianza, sentito il Pubblico Ministero, nelle ipotesi di manifesta infondatezza della richiesta per difetto delle condizioni di legge e di mera riproposizione di una richiesta già rigettata.

2.1. Questa Corte con orientamento costante ha precisato le condizioni che legittimano l’emissione del decreto presidenziale e la deroga alla regola del contraddittorio assicurato dal procedimento in Camera di consiglio, stabilendo che la dichiarazione d’inammissibilità de plano è ammessa quando la richiesta sia identica, per oggetto e per elementi giustificativi, ad altra già rigettata o risulti manifestamente infondata per l’inesistenza dei presupposti minimi di legge, senza implicare alcun giudizio di merito e alcuna valutazione discrezionale (Sez. 1, n. 23101 del 19/05/2005, dep. 17/06/2005, Savarino, Rv. 232087; Sez. 1, n. 5265 del 04/12/2001, dep. 08/02/2002, Cari, Rv. 220687; Sez. 1, n. 6346 del 12/12/2000, dep. 15/02/2001, Molineris, Rv. 218031; Sez. 1, n. 277 del 13/01/ 2000, dep. 04/03/2000, Angemi, Rv. 215368; Sez. 1, n. 5642 del 30/10/1996, dep. 08/01/1997, Villa, Rv. 206445, e da ultimo Sez. 1, n. 540 del 09/02/2011, Ilinschi, non massimata).

2.2. E’ anche consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, al fine del superamento delle condizioni ostative alla fruizione di determinati benefici penitenziari stabilite dal combinato disposto della L. 26 luglio 1975, n. 354, artt. 4-bis e 58-ter, e L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 2, è necessario, alla luce dei principi espressi nelle sentenze della Corte costituzionale n. 306 del 1993, 357 del 1994 e 68 del 1995, che nell’istanza il condannato prospetti, almeno nelle linee generali, elementi specifici circa l’impossibilità o l’irrilevanza della sua collaborazione, così da consentire l’esame del merito dell’istanza stessa (Sez. 1, n. 10427 del 24/02/2010, dep. 16/03/2010, P.M. in proc. C, Rv. 246397; Sez. 1, n. 18658 del 12/02/2008, dep. 08/05/2008, Sanfilippo, Rv. 240177; Sez. 1, n. 39795 del 26/09/2007, dep. 26/10/2007, Gioco, Rv. 237741; Sez. 1, n. 43226 del 06/12/2002, dep. 19/12/2002, De Tommaso, Rv. 222894; Sez. 1, n. 12563 del 27/02/2002, dep. 29/03/2002, Loier, Rv. 221079; Sez. 1, n. 2923 del 19/05/1998, dep. 09/06/1998, Di Quarto, Rv. 210868).

2.3. Il decreto d’inammissibilità nel caso in esame si è uniformato a tali principi, in quanto, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, la richiesta di applicazione di una misura alternativa alla detenzione (nella specie affidamento in prova al servizio sociale e detenzione domiciliare), priva della deduzione dell’asserita impossibilità di collaborazione con l’Autorità Giudiziaria, come richiesto dalla L. n. 354 del 1975, artt. 4-bis e 58-ter, è inammissibile.

Tale carenza impedisce, infatti, di valutare, in rapporto alla particolare natura del reato ascritto, la specifica situazione di derogabilità della condizione ostativa alla concessione stessa.

Nè a diverse conclusioni può pervenirsi in relazione alle circostanze dedotte nel ricorso per cassazione in merito alla possibilità di accesso alle misure alternative anche in mancanza della collaborazione, ove sia provata l’assenza di collegamenti con le organizzazioni criminali, atteso che il requisito della impossibilità dell’attività collaborativa avrebbe dovuto essere introdotto con l’istanza introduttiva, e il Giudice di sorveglianza, verificata l’inammissibilità dell’istanza per la mancanza di tale requisito al momento della proposizione della richiesta, non era tenuto a svolgere alcun accertamento d’ufficio per verificare la sussistenza o meno di circostanze atte a consentire il superamento della mancata collaborazione per sua impossibilità o irrilevanza.

2.4. Dai detti rilievi si evince che nel caso in esame il decreto di inammissibilità è stato correttamente emesso ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., comma 2. 3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.