Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-01-2011) 23-03-2011, n. 11615 Sentenza

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 3.2.2010 il Tribunale di sorveglianza di Napoli revocava la sospensione condizionata della pena ai sensi della legge 207/2003, avendo l’ O. commesso nei cinque anni successivi alla sua applicazione un nuovo delitto. Veniva precisato che il beneficio era stato applicato con ordinanza del 7.11.2003, in relazione alla condanna inflittagli dal Tribunale S. Angelo dei Lombardi, il 19.4.2001, per il reato di contrabbando, commesso il 13.3.1996, alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione e che l’ O. aveva riportato altra condanna, sempre in materia di contrabbando, commesso il 18.11.1997, infintagli dal Tribunale di Potenza, il 12.11.2004, alla pena di mesi uno e giorni quindici di reclusione.

2. Contro detta ordinanza interponeva ricorso per Cassazione l’interessato, per dolersi della violazione della L. n. 207 del 2003, art. 2, comma 5, norma che prevede che la revoca possa avvenire solo se chi ne ha usufruito commetta, entro cinque anni dalla data della sua applicazione, un delitto non colposo per cui riporti condanna a pena detentiva non inferiore a sei mesi. Nessuno dei requisiti richiesti sarebbe apprezzabile nel caso di specie, perchè il reato per cui il Tribunale ha ritenuto di revocare il beneficio non è stato commesso nel quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge in oggetto e la pena inflitta è inferiore mesi sei di reclusione.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza perchè difettano i presupposti per la revoca del beneficio.
Motivi della decisione

Ai sensi della L. n. 207 del 2003, art. 2, comma 5, la sospensione condizionata della pena (il cd. indultino) può essere revocata solo in presenza di due cause tassativamente previste: la ingiustificata inottemperanza alle prescrizioni congiuntamente applicate con il provvedimento sospensivo, ovvero la sopravvenuta condanna definitiva, a pena detentiva non inferiore a sei mesi, per delitto non colposo commesso nel quinquennio successivo all’applicazione del beneficio.

Ciò detto, va però aggiunto che l’orientamento di questa Corte è assolutamente consolidato nell’affermazione del principio secondo cui "qualora siano poste simultaneamente in esecuzione condanne anteriori e posteriori al limite temporale di applicabilità della L. 1 agosto 2003, n. 207, il concorso tra le due modalità di esecuzione, tra loro incompatibili, va regolato nell’ambito di un unitario rapporto esecutivo, non potendosi procedere a scissione ideale delle pene concorrenti al fine di determinare su quali, ed in quale misura, operi la sospensione condizionata dell’esecuzione della pena e di ricomporre, all’esito dell’operazione, il cumulo secondo il nuovo calcolo delle pene eseguibili", con la conseguenza della prevalenza "dell’espiazione nelle forme ordinane nell’ambito dell’unica esecuzione cumulativa" (cfr. Cass. Sez. 1^, 10.3.2010 n. 13560, nel solco di precedenti pronunce indicate nella stessa sentenza).

Il provvedimento impugnato deve quindi essere annullato con rinvio per nuovo esame.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Napoli.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 06-04-2011, n. 2146 Edilizia e urbanistica

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – I sigg. M. M. e M. G. S. impugnavano in primo grado il provvedimento con il quale il Comune di Roma intimava loro, oltre che agli soggetti comproprietari pro indiviso dell’unico lotto di mq. 50.200, acquistato in comunione con atto notarile del 18 gennaio 1984:

– la sospensione della lottizzazione cartolare posta in essere mediante suddivisione di detto lotto iniziale in parti, con attribuzione in proprietà esclusiva ai predetti sigg. M. e S., per quel che qui rileva, della superficie complessiva di mq. 20.179;

– l’interruzione delle opere eventualmente in corso ed il divieto di disporre con atto tra vivi sia dei suoli, sia degli eventuali manufatti realizzati;

– l’acquisizione al patrimonio comunale disponibile del terreno con successivo abbattimento delle eventuali opere realizzate, una volta scaduti i 90 giorni concessi per la spontanea esecuzione del provvedimento.

Deducevano a sostegno di detta impugnativa di primo grado: – innanzitutto, che sarebbe inapplicabile la norma dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985 concernente la previsione della c.d. lottizzazione cartolare escludendo espressamente l’ultimo comma di detto articolo la sua applicabilità agli atti di trasferimento di beni registrati al catasto urbano prima dell’entrata in vigore di detta legge; – inoltre, che non ci sarebbero gli elementi indiziari richiesti per la corretta contestazione di una lottizzazione cartolare perché il mero scioglimento di una comunione volontaria sarebbe, ex art. 1111 codice civile, un diritto cui non è possibile annettere ex se finalità lottizzatoria; – infine, che l’atto sarebbe stato emanato da autorità amministrativa incompetente (il dirigente comunale) essendo competente il Sindaco.

2. – Con sentenza n. 2306 del 5 marzo 2009 il Giudice di primo grado ha rigettato il ricorso affermando sostanzialmente:

– che è infondata l’eccezione pregiudiziale sollevata dai ricorrenti di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso in quanto "…la successiva approvazione di un piano di recupero urbano di zona, comprensivo anche delle aree sottoposte a lottizzazione abusiva, non può avere alcun effetto sulla legittimità e sull’efficacia del provvedimento interdittivo adottato dall’Amministrazione circa un decennio prima…", tenuto conto che il citato PRU trova applicazione nello stato di fatto e di diritto segnato, per quel che qui rileva, dal fatto che l’area dei ricorrenti è già acquisita al patrimonio comunale.

– che la fattispecie, essendo a formazione progressiva, in quanto iniziata con l’atto notarile di divisione dell’iniziale comunione volontaria e protrattasi fino al 15 dicembre 2006 (data nella quale è stato posto in essere l’ultimo atto di cessione di quota parte dell’iniziale lotto pro indiviso) ricadrebbe sotto l’egida della n. 47 del 1985 e, quindi, sarebbe applicabile l’istituto della lottizzazione cartolare;

– che dall’insieme degli atti posti in essere dai comproprietari delle singole quote dell’unico lotto iniziale, acquistato pro indiviso,già dal momento dello scioglimento della comunione originariamente esistente, emergerebbero evidenti e concordanti indizi di abusiva lottizzazione cartolare, quali "…la non contestata contiguità dei suoli ad assi viari di collegamento e ad insediamenti abitativi preesistenti…", conseguente al fatto di non essere "…prevista dalla vigente pianificazione territoriale urbanistica…", né essendo stata mai "…autorizzata dal Comune…".

3. – Con l’appello in epigrafe i sigg. M. e S. hanno chiesto la riforma di detta sentenza articolando i seguenti motivi di impugnazione:

1)- erroneità della sentenza ed omessa pronunzia circa un fatto decisivo del giudizio e violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 30 della d.P.R. n. 380 del 20001), nonché violazione del principio dell’irretroattività della legge in quanto il TAR, così come l’Amministrazione, non avrebbe rilevato che l’unico atto di trasmissione del bene in questione è stato posto in essere molto prima che entrasse in vigore l’istituto della lottizzazione cartolare, previsto per la prima volta dalla legge n. 47 del 1985;

2)- erroneità della sentenza ed omessa pronunzia circa un fatto decisivo del giudizio e violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 30 della d.P.R. n. 380 del 20001), nonché eccesso di potere per erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria in quanto, nella specie, non sussisterebbe alcuno gli elementi caratterizzanti la lottizzazione c.d. cartolare, ma anzi risulterebbe apertamente comprovato il contrario, tenuto conto che l’estensione del terreno (circa 2 ettari), i sussidi percepiti dal Consorzio Nazionale Olivicoltori, i contratti di fornitura stipulati e l’effettivo stato dei terreni dopo 25 anni dimostrerebbero che l’attività svolta è esclusivamente agricola e che, quindi, non vi stato mai e non è tuttora presente alcun intento lottizzatorio;

3)- omessa pronunzia e violazione dell’art. 18 delle legge 28 febbraio 1985, n. 47, nonché incompetenza dell’organo emanante in quanto il Tar avrebbe omesso di pronunziarsi sulla censura di incompetenza del Dirigente comunale ad emanare l’atto impugnato, essendo, invece, competente il Sindaco.

4. – Si è costituito il Comune di Roma che con memoria ha argomentato in ordine all’infondatezza dell’appello del quale ha chiesto la reiezione.

5. – Gli appellanti hanno prodotto documentazione e memoria con la quale hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive insistendo nella richiesta di riforma integrale della sentenza impugnata.

6. – Alla pubblica udienza del 28 gennaio 2011 l’appello è stato rimesso in decisione.

7. – Tutto ciò premesso in punto di fatto, può darsi ingresso all’esame dei motivi di impugnazione proposti dagli appellanti.

7.1 – In ordine logico, va esaminato per primo il terzo di detti motivi, denunziandosi con esso che il Giudice di prima istanza avrebbe omesso qualsivoglia pronunzia sulla censura di incompetenza dell’organo che ha emanato il provvedimento impugnato (n. 6437 del 3 marzo 1994).

La critica, pur se fondata sotto il profilo pregiudiziale sollevato, avendo il primo Giudice effettivamente omesso di pronunziarsi su tale censura, non lo è nel merito della questione proposta perche essa è resistita dalla previsione dell’art. 27 del primo Statuto della Città di Roma, approvato con delibera consiliare n. 316 del 26 settembre 1991, adottata in applicazione dell’art. 4 della legge n. 142 del 8 giugno 1990.

Infatti la citata norma, peraltro correttamente indicata nelle premesse del provvedimento impugnato, prevede espressamente l’attribuzione della competenza in materia ai dirigenti comunali.

7.2 – Né miglior sorte può avere l’esame del primo dei motivi di impugnazione con il quale gli appellanti affermano l’inapplicabilità, nella specie, dell’art. 18 della legge 47 del 1985 sul presupposto che il frazionamento del terreno sarebbe intervenuto prima dell’entrata in vigore di detta legge ed, in particolare, per quella che qui rileva, della specifica novella recante la previsione della lottizzazione c.d. cartolare.

Infatti, a parere del Collegio, errano gli appellanti ad inquadrare la fattispecie – in particolare laddove attribuiscono rilievo determinante, ai fini che qui interessano, soltanto all’atto di divisione (rogito del 1984) dell’originario cespite agricolo di 50.000 mq., acquistato originariamente in comune dai successivi singoli proprietari – perché occorre avere riguardo al complesso degli atti posti in essere da tutti gli ex comunisti dopo detta divisione che, nella specie, si sono concretamente manifestati con gli atti di disposizione posti in essere da alcuni di essi il 10 giugno 1987, l’11 dicembre 1992 e fino al 2006, allorquando, in tale ultima data, una parte del lotto iniziale è stato ceduto a società immobiliare.

A tale concreta modalità di frazionamento negli anni dell’iniziale cespite agricolo acquisito pro indiviso se si collegano gli elementi per così dire materiali esistenti nella fattispecie, quali l’oggettiva contiguità dei lotti derivati da tale frazionamento ad assi viari di collegamento già esistenti e ad insediamenti abitativi anch’essi preesistenti, balza evidente che la contestata lottizzazione cartolare è fatto concretamente deducibile, sul quale nessuna influenza determinante può avere la circostanza che gli appellanti, diversamente dagli altri ex comunisti, non hanno posto in essere alcun atto dispositivo o comportamento contrario all’uso lecito (agricolo) del loro lotto.

Infatti, è l’ordito complessivo degli atti posti in essere che "confessa", per così dire, la complessiva volontà lottizzatoria degli originari acquirenti dell’unico lotto di 50.000 mq., in disparte il rilievo che anche gli appellanti hanno mostrato tale volontà allorquando hanno abusivamente realizzato un manufatto, ancorché di modeste dimensioni (8 x 4 x 2,70), fatto oggetto di apposita ingiunzione a demolire (n. 1386 del 30 ottobre 1997) loro notificata (come risulta dalle note comunali esibite in giudizio n. 6020 del 25 febbraio 2008 e n. 36589 del 27 luglio 2009) e mai impugnata; allorquando non hanno dato spontanea esecuzione dell’ordine di demolizione ed hanno richiesto il condono di tale manufatto (a deposito), come risulta dalla documentazione esibita dagli stessi appellanti.

A contrario nessun valore dirimente può avere il fatto che il Comune di Roma abbia autorizzato prima un’utenza elettrica stagionale per il sollevamento dell’acqua del pozzo ivi esistente e poi un’erogazione continuativa di tale energia poiché essa è collegata ad uno temporaneo sfruttamento agricolo del lotto, affidato a terzi, che non esclude l’esistenza di un obiettivo concreto diverso, quale è il futuro sfruttamento edilizio del lotto stesso.

Né il convincimento sin qui espresso può mutare a seguito di una valutazione di stretto diritto della fattispecie perché, diversamente da quanto affermato dagli appellanti, non viene in rilievo un problema di sostanziale retroattività della disposizione in questione, allorquando si affermi, come si afferma nel caso in esame, l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985, avuto presente che è qualificante, come già detto più innanzi, lo scopo esclusivamente edificatorio perseguito dagli ex comunisti nel frazionare l’originario cespite avente destinazione agricola, invero ritraibile in maniera inequivoca dalla sequenza degli atti concretamente posti in essere nel corso del tempo e non soltanto, dunque, dall’atto di scioglimento dell’iniziale comunione. Tutto ciò in disparte l’annotazione che l’istituto della c.d. "lottizzazione cartolare" era già stato enucleato dalla giurisprudenza penale formatasi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985.

Infine, sotto lo stesso profilo, non può ritenersi, né appropriato, né comunque risolutivo, ai fini che qui interessano, il richiamo operato dagli appellanti della norma dell’art. 1111 del codice civile, operando quest’ultima su di un piano e per finalità distinte e diverse da quelle qui rilevanti in materia edilizia.

7. 3 – Le medesime argomentazioni sin qui rassegnate consentono, inoltre, di ritenere privo di pregio anche il secondo (e restante) motivo di impugnazione non potendosi revocare in dubbio, come correttamente ha fatto il primo Giudice, che nella fattispecie si sia compendiata un’illecita lottizzazione di tipo c.d. cartolare, tenuto conto degli elementi già indicati nel capo di motivazione che precede, come emergenti dalla documentazione in atti e dell’applicabilità della norma dell’art. 18 della legge n. 47 del 1985.

8. – In conclusione, l’appello non merita di essere accolto e, quanto alle spese del presente grado di giudizio, può disporsi la compensazione tra le parti del relativo onere, sussistendo giusti motivi per non porle a carico della parte soccombente.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 6145 del 2009, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-03-2011) 27-04-2011, n. 16530

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il P.M. presso il tribunale di Bolzano ricorre avverso l’ordinanza 5.11.2010 del tribunale della stessa città che, in sede di riesame dell’ordinanza cautelare emessa dal gip presso il predetto tribunale nei confronti di K.M. imputata di omicidio doloso ai danni del proprio fidanzato Y.M., modificava la misura cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari in considerazione dello stato di gravidanza dell’imputata.

Con i motivi di gravame il p.m. ricorrente sottolinea l’estrema gravità del fatto di reato per le modalità cruente della azione e per la mancanza di una ragione, quale che sia, dell’azione omicidiaria, prospettando una incapacità di intendere e di volere della K. tale da renderla estremamente pericolosa e da rendere inattuale l’operatività dell’art. 275 c.p.p., comma 4.

Il ricorso è inammissibile nella misura in cui omette di considerare l’indicazione di tutte le circostanze che hanno motivato il giudice del riesame al suo deliberato, per concentrarsi sulla indicazione di circostanze inerenti al fatto in sè considerato e senza contrapporre ragioni di segno opposto a quelle indicate nell’ordinanza impugnata.

Invero i giudici di merito, per depotenziare l’eccezionale disvalore giuridico – sociale della condotta criminosa, hanno sottolineato il fatto che l’indagata, in stato di gravidanza, non ha precedenti penali, non si è mai resa responsabile di atti violenti con l’uso delle armi, che la detenzione domiciliare presso la propria madre serviva a scongiurare proprio la reiterazione di atti violenti.

Il P.M. omette di affrontare le tematiche poste dai giudici di merito per contrastarle ed evidenziarne quindi la manifesta illogicità. E non indica quali specifiche circostanze e quali puntuali ragioni dovrebbero costituire la base giustificativa per ritenere sussistenti le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza che servano a depotenziare il valore delle particolari situazioni fisiche e di salute dell’imputata.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

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Cass. civ. Sez. II, Sent., 09-09-2011, n. 18576 Provvedimenti impugnabili per Cassazione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Che dopo che il Tribunale di Roma, con sentenza in data 20 giugno 2006, aveva dichiarato la nullità dell’atto di citazione nel giudizio di primo grado e, accolto l’appello, aveva rimesso le parti nuovamente dinanzi al Giudice di pace, l’attrice F.O. ha riassunto la causa, riproponendo la domanda di pagamento somma nei confronti della s.r.l. Centro Italia per la presenza di difetti meccanici nell’autovettura (tg. (OMISSIS)) acquistata dalla società convenuta;

che la convenuta si è costituita, resistendo, e in via riconvenzionale ha domandato la condanna dell’attrice alla ripetizione della somma – pari a Euro 4.000 oltre accessori – versata in esecuzione della sentenza del Giudice di pace, riformata dal Tribunale;

che il Giudice di pace – data la proposizione dinanzi a sè di una domanda riconvenzionale eccedente la propria competenza per valore – con sentenza in data 2 dicembre 2008 ha declinato la competenza e rimesso le parti innanzi al Tribunale;

che per la cassazione della sentenza del Giudice di pace la F. ha proposto ricorso, con atto notificato il 12 gennaio 2010, sulla base di due motivi, con cui denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 10 e 14 cod. proc. civ. e dell’art. 38 cod. proc. civ.;

che l’intimata non ha resistito con controricorso.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata;

che il mezzo di impugnazione esperito dalla ricorrente è inammissibile, perchè la sentenza pronunciata in primo grado dal giudice di pace è appellabile e non ricorribile direttamente per cassazione ( art. 339 cod. proc. civ., comma 1);

che d’altra parte, a diversa conclusione non può indurre nemmeno il rilievo che, con il ricorso, la deducente ha proposto questioni attinenti alla competenza;

che infatti, la decisione con la quale il giudice di pace declini la competenza non è impugnabile con il regolamento necessario di competenza ( art. 46 cod. proc. civ.);

che nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo l’intimata società svolto attività difensiva nel giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

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