T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 27-04-2011, n. 3627

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con ricorso ritualmente notificato l’istante, premesso di essere stato Presidente del Comitato provinciale CRI de L’Aquila sino all’adozione dell’ ordinanza commissariale n. 1 del 2008 e poi Commissario dello stesso Comitato sino all’adozione del provvedimento impugnato, esponeva di essersi adoperato per la gestione ed il coordinamento delle attività legate all’emergenza dovuta al sisma che aveva interessato L’Aquila nell’aprile del 2009, nonostante le difficoltà dovute anche all’inagibilità della sede, ricevendo apprezzamenti e ringraziamenti per l’operato da parte del commissario straordinario e dal commissario regionale CRI Abruzzo. Tuttavia, in data 24.7.2009, il ricorrente riceveva la comunicazione CRI/CC/50800/09 con cui il Commissario straordinario della Croce Rossa gli contestava una serie di addebiti, tra cui la precarietà del parco automezzi del comitato provinciale, la richiesta di copertura di spese non legate all’emergenza terremoto, l’eccessivo presenzialismo, l’assenza dalla gestione dell’emergenza, l’assunzione "di iniziative proprie, solitarie e scoordinate" e quanto riportato nella nota del commissario regionale 15.6.2009, impugnata. Pertanto il Commissario straordinario avviava un procedimento volto alla verifica della sussistenza delle condizioni minime perché il ricorrente medesimo potesse continuare a guidare l’Unità CRI de L’Aquila. A tali contestazioni facevano seguito le controdeduzioni dell’interessato in data 8.8.2009. Poi il Commissario straordinario respingeva il Piano di rilancio del Comitato provinciale CRI de L’Aquila presentato dal ricorrente e, con provvedimento n. 246/09, lo destituiva, nominando al suo posto l’odierna controinteressata.

Avverso siffatto provvedimento, pertanto, il ricorrente proponeva il ricorso qui in esame deducendo i seguenti motivi:

1 – violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 10, l. n. 241 del 1990, eccesso di potere e carenza istruttoria, violazione del principio di imparzialità e trasparenza di cui agli artt. 97 Cost. e all’art. 1, l. n. 241 del 1990, contraddittorietà, violazione del principio del contraddittorio, in primo luogo per la mancata corrispondenza tra le contestazioni svolte dal Commissario straordinario nell’avvio del procedimento e quelle poste a motivazione del provvedimento di destituzione, senza dunque consentire all’interessato un adeguato contraddittorio,nonché per la mancanza di ogni istruttoria in ordine al permanere delle condizioni perché il ricorrente medesimo potesse continuare a svolgere la funzione di guida del Comitato provinciale;

2 – eccesso di potere per carenza di istruttoria, violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990, carenza di motivazione ed eccesso di potere per sviamento, poiché il Commissario straordinario ha inteso dar seguito a tre lettere di critica dell’operato del ricorrente, non protocollate, di Volontari del Soccorso, appartenenti tuttavia ad una sola delle sei componenti volontaristiche operanti nel territorio de L’Aquila, senza operare alcuna verifica né motivare sulla attendibilità delle stesse;

3 – violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990, carenza di motivazione, eccesso di potere per difetto di istruttoria, mancando una specifica contestazione di elementi idonei a far venire meno il rapporto fiduciario e a dimostrare la scarsità dell’apporto del ricorrente in occasione del sisma del 2009, non corrispondendo a verità le contestazioni riportate nella lettera di avvio del procedimento in ordine agli autoveicoli e non contenute poi nel provvedimento finale, nonché per l’erronea valutazione della "nota Email del Delegato CRI EmerCom c/o Di.Coma.c de L’Aquila" e la mancata valutazione della difficoltà economica in cui versava il Comitato provinciale per la gestione dell’emergenza attraverso i propri fondi residui, dopo essere stato costretto al pagamento del contributo di solidarietà richiesto dalla sede centrale e senza che fosse adottato prima un piano di risanamento, come era stato proposto dall’Assemblea nazionale CRI;

4 – eccesso di potere per sviamento, violazione dell’art. 3, l. n. 241 del 1990, carenza di motivazione, contraddittorietà ed illogicità manifesta, carenza istruttoria, poiché nella lettera di avvio del procedimento e nel provvedimento si contestavano sia l’assenza di iniziative che l’atteggiamento presenzialista, mentre nessuna lamentela era stata mai rivolta al ricorrente neanche dai volontari firmatari delle tre lettere sopra menzionate, ed al contrario lo stesso aveva ricevuto dichiarazioni pubbliche di apprezzamento dallo stesso Commissario straordinario in data 21.4.2009 e dal Commissario regionale;

5 – violazione e falsa applicazione del D.P.C.M. 30.10.2008, eccesso di potere per erroneità nei presupposti e sviamento di potere, violazione e falsa applicazione dell’art. 21 quinquies l. n. 241 del 1990 e dell’art. 23, comma 1, lett. G, dello Statuto CRI, approvato con D.P.C.M. 6.5.2005 n. 97, violazione del principio di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost., mancando la fonte legittimante del potere esercitato dal Commissario straordinario in assenza dei presupposti di cui all’art. 23, comma 1, lett. G, dello Statuto della CRI.

Per questi motivi, il ricorrente chiedeva l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

La CRI si costituiva formalmente depositando i provvedimenti impugnati e la relativa documentazione.

A seguito del deposito di memoria da parte del ricorrente, all’udienza di discussione la causa era trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Osserva il Collegio che le numerose censure in cui si articola il ricorso dell’istante si incentrano essenzialmente sulla mancanza di corrispondenza tra la lettera di contestazione degli addebiti ed il provvedimento finale, nonché sulla carenza di istruttoria, vizi questi che comportano altresì un difetto di motivazione e/o una contraddittorietà della stessa.

Ne deriva che ai fini della decisione appare necessario un accurato esame della documentazione prodotta in atti e della ricostruzione dei fatti, non avendo, peraltro, né l’amministrazione né la controinteressata ritenuto di dover articolare una difesa su punti di diritto.

Orbene, va notato che con la lettera di avvio del procedimento datata 24.7.2009, il Commissario straordinario contestava sulla base dell’avvenuta consultazione con il Commissario regionale (in particolare una lettera del 15 giugno agli atti) e delle segnalazioni scritte di alcuni volontari la precarietà del parco automezzi del Comitato provinciale ed, in particolare, il caso del veicolo Terrano "perennemente in officina", nonché la richiesta di fondi per l’emergenza terremoto diretta a coprire le spese per la riparazione del veicolo del comitato provinciale, incidentato prima del sisma. Nella stessa lettera si contestava, altresì, l’atteggiamento "presenzialista" del ricorrente ed il disinteresse per le attività dei volontari. Il Commissario straordinario, inoltre, personalmente contestava l’assenza del ricorrente nei delicati momenti post sisma.

Elementi di contraddizione, in fatto, sono rinvenibili, ad un primo esame, già nella esiguità del tempo trascorso tra la menzionata nota di avvio del procedimento e la lettera del 6.5.2009, indirizzata dal Commissario regionale tra l’altro ai Commissari provinciali per ringraziare dell’intervento per quanto era stato fatto in occasione del sisma, nonché le dichiarazioni di apprezzamento rilasciate dallo stesso Commissario straordinario nell’intervista su "Il Centro".

Tuttavia, il successivo provvedimento di sostituzione del ricorrente, richiama a fondamento della decisione, oltre alla lettera di avvio e la nota citata del Commissario regionale, tre note dei volontari, nonché la nota Email del delegato CRI..

Manca, invece, qualsivoglia riferimento alle argomentazioni contenute nelle controdeduzioni dell’istante e ad ulteriore attività istruttoria di verifica effettuata ai fini della conclusione del procedimento.

Va rilevato a riguardo che mentre le note dei tre volontari contengono generiche doglianze attinenti ai problemi di relazione tra gli stessi ed il Commissario, oltre che giustificate preoccupazioni insorte a causa del coinvolgimento degli stessi e delle famiglie nel drammatico evento tellurico che colpì la città de L’Aquila, nell’Email menzionata non è rinvenibile alcuna contestazione specifica nei confronti dell’operato del ricorrente, ma solo un generico riferimento all’assenza di una politica di sviluppo per il Comitato provinciale. Per il resto il documento si risolve in un apprezzamento della CRI sul territorio, nonché dell’equilibrio tra staff e volontari.

Nelle controdeduzioni svolte dal ricorrente, invece, si rinvengono elementi che non trovano smentita in ulteriori accertamenti da parte dell’amministrazione ai fini della decisione. In particolare, il coinvolgimento nei processi decisionali dei volontari con riferimento al bilancio di previsione 2009, le difficoltà finanziarie connesse al versamento del contributo di solidarietà richiesto dalla sede centrale, la relazione sull’attività espletata in occasione dell’emergenza, nonché le segnalazioni delle relative problematiche con note protocollate e la situazione del parco veicoli del comitato provinciale.

Sul punto, il provvedimento impugnato non offre alcuna ulteriore motivazione, limitandosi a menzionare le predette note.

La natura giuridica della CRI, quale definita dall’art. 1 d.P.R. n. 613 del 31/7/80 (Riordinamento della Croce rossa italiana), nel testo sostituito dall’art. 7 d.l. 20 settembre 1995 n. 390, conv. dalla l. 20 novembre 1995 n. 490, quale " ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e, in quanto tale" – " soggetta alla disciplina normativa e giuridica degli enti pubblici" (come da ultimo ricordato dal Consiglio Stato, sez. IV, con sentenza 24 marzo 2010, n. 1723) comporta che al caso in esame non possano che essere applicati i principi elaborati in relazione ai procedimenti disciplinari relativi al pubblico impiego.

In virtù, pertanto, di tali principi, costantemente affermati dalla giurisprudenza amministrativa, sulla base del dettato costituzionale ed in particolare, con riferimento al diritto alla difesa, va affermato che il provvedimento sanzionatorio in questione, consistente nell’allontanamento del ricorrente dall’incarico che gli era stato assegnato con regolare elezione – a prescindere da ogni ulteriore profilo attinente alla legittimazione ad assumerlo – non può essere legittimamente emesso senza che siano state valutate le controdeduzioni dell’interessato e senza che su di esse si sia compiuta un’adeguata istruttoria e conseguentemente si sia formulata una congrua motivazione.

Nella specie, il provvedimento appare carente sotto il profilo di una compiuta indagine in ordine agli elementi contestati, nonché della conseguente motivazione, oltre che, nei sensi suindicati, in contraddizione con la documentazione in precedenza richiamata.

Quanto sopra rilevato è sufficiente ai fini dell’accoglimento del ricorso. Ne deriva che, per l’effetto, deve essere annullato il provvedimento conclusivo del procedimento n. 246 del 2009, assumendo gli altri atti censurati consistenza di atti endoprocedimentali. Mentre non ha rilievo l’ ordinanza n. 1 del 2008, sulla quale, peraltro, non appaiono formulate specifiche censure.

Le spese di lite seguono la soccombenza e, pertanto, la Croce Rossa Italiana deve essere condannata al pagamento delle stesse, che sono determinate in complessivi euro 2.000,00 (duemila,00) da liquidarsi a favore del ricorrente.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento n. 246 del 2009 impugnato. Condanna la Croce Rossa Italiana al pagamento delle spese di lite, che sono determinate in complessivi euro 2.000,00 (duemila,00), da liquidarsi a favore del ricorrente

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 13-05-2011, n. 706

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Il Comune intimato, qui non costituitosi, ha negato alla parte ricorrente la sanatoria edilizia per la realizzazione dalla stessa operata di una struttura denominata magazzino per attrezzi agricoli e soggettivamente ritenuta quale mera pertinenza.

1.1. – Al riguardo vengono dedotti i seguenti vizi:

a – violazione di legge; art. 3 L. n. 241/1990: inteso che, nel caso, la motivazione addotta sarebbe del tutto incomprensibile ed estranea;

b – violazione della L.R. n. 12/2005, art. 59 e seguenti sostenendo che si tratterebbe di aver realizzato un corpo di fabbrica che, anche se privo di funzione pertinenziale, resterebbe, comunque, funzionale all’attività agricola in essere e perciò, in tal guisa, assentibile;

c – violazione della L.R. n. 81/2004, poiché nel caso, non potrebbe altro che trattarsi di una struttura pertinenziale.

2 – All’U.P. del 20 aprile 2011, la causa è stata spedita in decisione.

3 – Il provvedimento impugnato si da per letto e noto; invero pare più produttivo riportare i contenuti delle controdeduzioni che il Comune ha comunque ritenuto di comunicare a questo Tribunale:

"In riferimento alla pratica n. 39/2004 presentata dal sig. R.R. in data 7/12/2004 prot. 16155 avente per oggetto formazione nuovo deposito attrezzi in via Carbonera, sul mapp. N. 4979 del Fg. N. 5, denegata con provvedimento del 16/2/2007 prot. 2366, di seguito si riportano pedissequamente le motivazioni del diniego: "vista la richiesta, formulata dallo scrivente Ufficio in data 25/8/2006 prot. 12293, di produrre eventuale documentazione o memoria in merito: alla pertinenzialità dell’edificio oggetto di condono, come previsto dal comma 1 art. 2 della L.R. 31/2004, ed in merito ad altre strutture non oggetto di condono all’interno della proprietà;

Considerato che i termini entro i quali doveva essere depositata la documentazione richiesta, come al precedente punto, sono abbondantemente scaduti e che ad oggi non è pervenuto nessun documento che possa chiarire la situazione;

Considerato che l’immobile di cui alla richiesta di condono edilizio è da considerarsi come nuova costruzione con funzionalità autonoma;" (estratto del ricorso)

In riferimento all’atto del ricorso pervenuto in data 27/4/2007 si riportano di seguito alcune considerazioni:

1. a pagina nr. 3 si legge…. Il diniego riferisce della omessa presentazione di documentazione richiesta in integrazione ai fini della pertinenzialità e di imprecisate altre strutture…. "neppure è dato intendere dalla lettura del medesimo a quale strutture faccia riferimento la P.A.".

– Si valuti che la richiesta di integrazione in data 25/8/20006 prot. 12293 di produrre eventuale documentazione o memoria in merito alla pertinenzialità dell’edificio oggetto di condono non è stato risposto nulla ne nei trenta giorni che venivano concessi, neppure alla data del 16/2/2007 in cui veniva emesso provvedimento di diniego.

– La presenza di "altre strutture" delle quali non è dato intendere i riferimenti, è sicuramente un’aggravante alla situazione, in quanto dette strutture non risultano essere state licenziate e non sono sicuramente motivo di diniego del condono edilizio. Per altro non si fa menzione di dette strutture del provvedimento di diniego, bensì dell’anzi citata richiesta di integrazione del 28/5/2006.

2. A pagina nr. 4 si legge "Discutiamo di un deposito attrezzi agricoli e pertanto di un’opera realizzata in funzione della conduzione del fondo e specificatamente di un’infrastruttura necessaria allo svolgimento dell’attività agricola".

– Da qui si trae conferma della motivazione del diniego, in quanto la struttura oggetto di condono non è una pertinenza degli edifici priva di funzionalità autonoma, come previsto dalla L.R. 3 novembre 2004 n. 31, bensì un’opera realizzata in funzione della conduzione del fondo e specificatamente di un’infrastruttura allo svolgimento dell’attività agricola.

Nello specifico non concerne richiamare la L.R. 12/2005, riproduttiva nella sostanza delle previsioni di cui all’abrogata L.R. 93/80, in quanto la zona in cui insiste il fabbricato in oggetto è definita come G2 – di tutela Paesistico Naturalistico dove "le aree disciplinate sono destinate alla tutela e alla conservazione del carattere paesistico – ambientale esistente. In tali zone è ammessa la utilizzazione colturale dei fondi, mentre è escluso qualsiasi intervento edificatorio di nuova costruzione. Tuttavia le stesse aree coltivate sono da considerarsi utili ai fini del computo della superficie condotta dalle singole aziende agricole e come tali computabili agli effetti della determinazione del potenziale edificativo previsto per le zone omogenee e in riferimento alla Legge Regionale n. 93/80."

Oltremodo, sia nella normativa nazionale che in quella regionale, in merito al condono edilizio, non viene sollevata nessuna distinzione di sorta tra il coltivatore diretto e chicchessia, non è dato intendere quindi l’enunciazione dell’abrogata Legge Regionale n. 93/80 al fine di una possibile agevolazione.

Concludendo, si consideri che il manufatto – depositato, come da dichiarazione sostitutive (si vd. Doc. n. 2), è pertinenza dell’immobile residenza dei sig.ri R.G. e R.D., detto immobile non è neppure confinante con la proprietà del sig. R.R. in quanto le due proprietà sono nettamente separate dalla via pubblica.

Per tutto quanto sopra descritto non si è ravvisata, come la L.R. 3 novembre 2004 n. 31, la pertienzialità necessaria all’emissione del condono edilizio, si è peraltro valutato l’edificio come nuova costruzione".

4 – Tanto premesso il Collegio rileva:

a – la pacifica natura vincolata dei provvedimenti uguali, nello scopo, rispetto a quello qui posto in discussione (ovviamente per quella sola parte che, in relazione a specifici presupposti normativi e a dati di fatto incontrovertibili, appare – appunto- vincolata; v. p. 4c);

b – il fatto che, nel caso, la propria interpretazione della vicenda coincida, anche sotto il profilo delle argomentazioni di diritto, con le conclusioni testè riportate dal competente ufficio comunale, facendo così le stesse proprie a mo di giustificazione motivazionale;

c – il fatto che, comunque, il detto ufficio, per il tramite il nuovo richiamo alle dedicazioni urbanistiche di zona che hanno carattere obliterativo delle intenzioni della parte ricorrente, dimostri che non si poteva provvedere altrimenti;

d – la insistenza in fatto di una non soddisfazione di richieste istruttorie con allegazioni documentali mai intervenute.

5 – Ne consegue la infondatezza del ricorso.

6 – Nulla per le spese.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente pronunciandosi respinge il ricorso.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-04-2011) 27-05-2011, n. 21418 Misure cautelari

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Luigi Colaleo che ha concluso per l’accoglimento.
Svolgimento del processo

p. 1. Con ordinanza del 5/10/2010, il Tribunale del riesame di Brescia confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal g.i.p. del tribunale della medesima città in data 20/09/2010 nei confronti di C.A. (per fatti di sequestro di persona a scopo di estorsione, estorsione aggravata in concorso, rapina aggravata in concorso ed altro: il tribunale, per l’esattezza, riqualificava i fatti sub 2 e 7 come estorsione continuata e li riteneva assorbiti nell’imputazione sub capo 1) e CA. S. (per il delitto di associazione a delinquere finalizzata alla realizzazione di plurimi reati in materia fiscale). p. 2. Avverso la suddetta ordinanza, entrambi gli imputati (il C. in proprio, il Ca. a mezzo del proprio difensore) hanno proposto separati ricorsi per cassazione. p. 2.1. C. ha dedotto la propria estraneità ai fatti sostenendo che la medesima si evincerebbe da alcune copie di assegni di cui era venuto in possesso successivamente alla decisione del tribunale;

p. 2.2. CA. ha dedotto i seguenti motivi:

1. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 266 – 270 – 271 C.P.P. per avere il Tribunale omesso di motivare in ordine alla sollevata eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche essendo state disposte fuori dai casi previsti dalla legge. Infatti, sebbene il tribunale avesse sostenuto che le intercettazioni erano inutili e quindi la posizione del ricorrente era stata valutata prescindendo dagli esiti captativi, poi, di fatto, le aveva utilizzate al fine di sostenere l’esistenza della presunta societas sceleris;

2. VIOLAZIONE DELL’ART. 416 C.P. per avere il tribunale ritenuto la partecipazione del ricorrente alla presunta associazione a delinquere sulla base di una motivazione insufficiente. Infatti, il Tribunale aveva desunto la partecipazione all’associazione, dalla sistematicità e non occasionalità del rapporto professionale tra il Ca. ed il gruppo Athena, non avvedendosi che quelle erano caratteristiche tipiche ed imprescindibili nel rapporto professionale tra il consulente ed il cliente. Il Tribunale, poi, non aveva considerato che il rapporto che legava il Ca. agli altri pretesi membri dell’associazione – in realtà suoi clienti – era di natura privata avendo nei loro confronti il dovere di lealtà. Quanto all’indizio desunto dall’esibizione dei modelli F24 falsificati, si era trattato di un evidente errore della Guardia di Finanza "atteso che gli F24 rinvenuti presso lo studio del dott. Ca. e relativi all’Amena non erano gli F24 inviati all’Agenzia delle Entrate nè F24 falsificati ma l’F24 ed a debito che viene elaborato dopo la preparazione delle buste paga col programma Zicchetti".

Mancava, quindi, un comune e perdurante accordo criminale in quanto il modus operandi denotava piuttosto che ci si trovava in presenza di una serie di episodi di concorso di persone nel reato ovvero di una serie di operazioni di compensazioni operate su richiesta degli stessi clienti. Del tutto assente, infine, era l’esistenza di una seppur rudimentale struttura organizzativa e la predisposizione di mezzi.

3. VIOLAZIONE DELL’ART. 274 C.P.P per avere il tribunale omesso di motivare in ordine al requisito della proporzione e alla richiesta di applicare, eventualmente, la misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare la professione di commercialista.
Motivi della decisione

p. 3. C..

Il ricorso presentato da costui, al limite della comprensibilità, è manifestamente infondato, non solo perchè generico (non risultano dedotti vizi motivazionali dell’impugnata ordinanza) ma anche perchè il fatto dedotto (e cioè il possesso di assegni che comproverebbero la sua innocenza) essendo un elemento nuovo, costituisce fatto idoneo per proporre, eventualmente, istanza di revoca. p. 4. CA.. p. 4.1. VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 266 – 270 – 271 C.P.P.: la doglianza è manifestamente infondata per le ragioni di seguito indicate. Il Tribunale non ha preso posizione in ordine all’eccepita inutilizzabilità in quanto "la posizione del ricorrente è stata valutata prescindendo del tutto dagli esiti captativi, al riguardo assolutamente inutili" (pag. 89 ordinanza impugnata).

Il ricorrente, in questa sede, ha replicato che, in realtà, il Tribunale aveva utilizzato le intercettazioni e, a dimostrazione di tale assunto, ha rinviato alle pag. 90, 91,93, 95 e 98 dell’impugnata ordinanza. Sennonchè si deve obiettare che nelle suddette pagine, è vero che il Tribunale fa riferimento ad alcune intercettazioni ma si tratta di intercettazioni che riguardano un altro indagato e cioè il M.. p. 4.2. VIOLAZIONE DELL’ART. 416 C.P.: gli elementi indiziaria a carico del ricorrente sono illustrati dal tribunale a pag. 74 ss dell’impugnata ordinanza.

Infatti, il Tribunale, dopo avere dato atto che i reati di frode fiscale erano stati ampiamente provati e, comunque, non solo non contestati ma anche ammessi dallo stesso indagato (cfr pag. 67 ss), ricostruisce la struttura della societas sceleris costituita da M., Ca., D. e S. e finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di reati di frode fiscale nella gestione delle società ad essi riferibili. In questa compagine, il Ca. aveva un ruolo fondamentale in quanto era lui che, avvalendosi delle sue competenze professionali, consentiva che i reati fine fossero perpetrati in modo continuo e reiterato nel tempo.

Il tribunale, infine, dopo aver preso in esame la tesi difensiva (secondo la quale il ricorrente aveva un rapporto con ciascun singolo amministratore e al di fuori di una previa concertazione collegiale) l’ha disattesa con motivazione ampia, congrua ed adeguata agli evidenziati elementi fattuali e logici (cfr pag. 88). In questa sede, il ricorrente, a ben vedere, non fa altro che riproporre quelle stesse censure dedotte davanti al tribunale ma disattese con ampia e congrua motivazione (cfr pag. 73 quanto ai reati fine – pag. 77 quanto ai moduli F24 – pag. 88 cit.), non evidenziando, quindi, alcuna contraddizione, illogicità e/o carenza motivazionale e limitandosi ad una mera riproposizione della alternativa tesi difensiva secondo la quale non sarebbe configurabile il reato associativo. La tesi minimalista del ricorrente è, però, smentita dall’ampia motivazione con la quale il tribunale, sulla base di precisi riscontri di natura fattuale, ha evidenziato che l’indagato non si comportava come un libero professionista nei confronti del cliente, in quanto aveva un ruolo ben preciso nella consumazione dei reati fine (dei quali era perfettamente consapevole) e, quindi, nella struttura della societas sceleris nella quale era inserito organicamente. p. 4.3. VIOLAZIONE DELL’ART. 274 C.P.P.: anche tale censura è manifestamente infondata atteso che il tribunale, dopo avere accuratamente preso in esame tutti gli elementi previsti negli artt. 274 e 275 c.p.p. e, dopo avere esaminato i rilievi difensivi, è giunto alla conclusione che unica misura adeguata, in considerazione della personalità del prevenuto, delle modalità di esecuzione dei vari reati, fosse la custodia cautelare in carcere in quanto "non è possibile affidarsi per la salvaguardia di quelle esigenze ad indimostrate capacità autocustodiali". Si tratta di motivazione che, per logicità, adeguatezza e congruità sfugge al controllo di legittimità di questa Corte. p. 5. In conclusione, le impugnazioni devono ritenersi inammissibili a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza:

alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00 ciascuno.
P.Q.M.

DICHIARA Inammissibili i ricorsi e CONDANNA I ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 14-06-2011, n. 429 Commercio, industria e artigianato

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Svolgimento del processo

Nell’anno 2001 il signor Be. ha presentato all’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Messina una domanda intesa ad ottenere la concessione del contributo previsto dall’art. 3 comma 2 lettera e) della legge n. 185 del 1992, in conseguenza dei danni causati dalle piogge alluvionali del settembre 2000 alla sua azienda agricola sita in Comune di Fiumedinisi (Me).

Con decreto dirigenziale l’Ispettorato ha concesso un contributo per un importo pari ad Euro 7.896,67 da liquidarsi "in base ai lavori di ripristino effettivamente eseguiti e subordinatamente all’esito dell’accertamento definitivo…" ed ha assegnato all’interessato il termine di 12 mesi per l’esecuzione dei lavori.

Questi, allo scadere del suddetto periodo, ha chiesto un periodo di proroga di 12 mesi, affermando di non aver potuto completare le opere nel termine assegnato per l’impossibilità di reperire manodopera specializzata.

Con ulteriore decreto l’Ispettorato ha concesso la proroga per 6 mesi e prorogato l’originario termine fino al 23.7.2006.

Con le stesse motivazioni della prima richiesta, in data successiva alla scadenza l’odierno appellante ha chiesto un ulteriore periodo di proroga di 6 mesi.

L’Ispettorato ha respinto l’istanza, rilevando che le motivazioni addotte non giustificavano il ritardo maturato per l’esecuzione dei suddetti lavori, ed ha conseguentemente archiviato l’istanza, dando avvio al procedimento di revoca del contributo.

L’interessato ha presentato una memoria, alla quale ha fatto seguito il provvedimento col quale l’Ispettorato ha revocato il contributo.

Avverso tale provvedimento il signor Be. ha proposto ricorso gerarchico al Dirigente Generale del competente Dipartimento regionale; quindi, decorso il termine di novanta giorni, ha impugnato in sede giurisdizionale il silenzio-rigetto asseritamente formatosi.

Successivamente il Dirigente generale ha rigettato il ricorso gerarchico con provvedimento espresso, impugnato dal ricorrente con motivi aggiunti.

Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale ha dichiarato irricevibile il ricorso principale ma – concesso l’errore scusabile – ha valutato nel merito i motivi aggiunti e li ha respinti.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dal soccombente, il quale ne ha chiesto l’integrale riforma deducendo a tal fine quattro motivi di impugnazione.

Si è costituita la resistente Amministrazione, depositando una memoria volta ad illustrare l’infondatezza dell’appello.

Alla pubblica udienza del 15 marzo 2011 l’appello è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

L’appello non è fondato e va pertanto respinto.

Con il primo motivo l’appellante deduce che ha errato il Tribunale nel dichiarare irricevibile per tardività il ricorso introduttivo.

Dal momento che la impugnabilità in sede gerarchica del provvedimento dirigenziale di revoca del contributo era (sia pure erroneamente) prevista da una clausola apposta in calce al provvedimento stesso l’errore in cui è incorso il ricorrente avrebbe dovuto essere considerato scusabile.

Il mezzo è inammissibile per difetto di interesse.

Il T.A.R. infatti, dopo aver dichiarato tardivo il ricorso avverso l’originario provvedimento di revoca, ha poi qualificato la decisione gerarchica del Dirigente generale come nuovo provvedimento autonomamente lesivo e ciò ha fatto proprio concedendo quell’errore scusabile che il ricorrente oggi invoca.

In sostanza – il che è ciò che conta – sono state esaminate nel merito tutte le censure proposte dal ricorrente, il quale dunque non ha alcun interesse a dolersi della soluzione procedurale adottata dal Tribunale.

Con il secondo motivo, rubricato alla violazione dell’art. 49 della legge regionale n. 13 del 1986, l’appellante sostiene che la richiesta di ulteriore proroga del termine di conclusione dei lavori era giustificata dalle calamità naturali che avevano interessato l’azienda agricola.

Il mezzo è privo di ogni fondamento.

In via principale va rilevato che l’appellante ha giustificato le due successive richieste di proroga adducendo la difficoltà di reperire sul mercato manodopera specializzata in grado di compiere i lavori necessari: quindi ogni approfondimento sulla diversa causa di forza maggiore allegata in sede contenziosa (le suddette calamità naturali) sarebbe in realtà superfluo, non potendosi qui discutere del mancato accoglimento di una giustificazione mai prospettata dal beneficiario del contributo nella sede amministrativa propria.

In ogni caso, e cioè anche a voler prescindere da tale decisivo rilievo, la tesi interpretativa qui sostenuta dall’appellante non può essere condivisa.

L’art. 49 comma decimo lettera c) della legge regionale n. 13 del 1986 e successive modifiche individua – come cause di forza maggiore tali da giustificare una proroga del termine dei lavori ammessi a contributo – le "calamità naturali che abbiano interessato l’azienda".

Come esattamente dimostrato dal T.A.R. elementari esigenze logiche postulano che tra le calamità naturali appunto suscettibili di assurgere a causa impediente di forza maggiore siano ricomprese solo quelle verificatesi dopo la concessione del contributo stesso e cioè le calamità imprevedibili perchè sopravvenute nelle more dell’ultimazio-ne dei lavori.

Se invece gli eventi naturali allegati a giustificazione si sono verificati – come nel caso all’esame – prima della concessione del contributo l’interessato è già in grado ab initio di organizzarsi onde ultimare i lavori nel termine di legge.

Infondato è anche il terzo motivo col quale l’appellante deduce il difetto di istruttoria e di motivazione che vizierebbe gli atti impugnati.

Le considerazioni svolte nelle premesse dei provvedimenti impugnati risultano infatti congrue ed adeguate alla fattispecie, dando esse pienamente conto delle ragioni giuridiche e fattuali che imponevano la revoca del contributo per sostanziale inadempimento del beneficiario.

Non può del resto non considerarsi che, come posto in luce dall’Ispettore provinciale, per l’esecuzione dei lavori previsti in progetto era stato stimato un termine reale di esecuzione massimo di mesi tre, a fronte del quale l’interessato, in virtù della successiva proroga, ha avuto in concreto a disposizione un periodo complessivo di diciotto mesi.

Infine non sussiste la lamentata violazione delle norme sulla partecipazione al procedimento, perché l’Amministrazione – come risulta dalle motivazioni fornite a supporto del provvedimento impugnato – ha tenuto adeguatamente conto delle ragioni impeditive del ricorrente, con particolare riferimento alla invocata causa di forza maggiore.

Con l’ultimo motivo l’appellante deduce che l’Amministrazione ha erroneamente disposto la revoca integrale del contributo invece di procedere – come previsto nel decreto di concessione – ad una sua riduzione, con liquidazione dei lavori effettivamente eseguiti.

Il mezzo va disatteso.

Con affermazione non contestata dal ricorrente l’Amministrazione ha infatti chiarito di avere – specie in occasione della seconda richiesta di proroga – più volte invitato il tecnico progettista del ricorrente ad avanzare richiesta di collaudo parziale dei lavori effettivamente eseguiti, richiesta che però non è mai stata presentata.

Ed anche nelle memorie prodotte a seguito della comunicazione di avvio del procedimento di archiviazione, l’interessato si è limitato a ribadire la richiesta di proroga, non prospettando, neanche come ipotesi subordinata, la possibilità di un collaudo parziale delle opere eseguite, per le quali, peraltro, non sono mai stati presentati elaborati esecutivi e relativa documentazione: il che porta a concludere, anche in base al principio dell’onere della prova, che nessun lavoro liquidabile fosse stato veramente eseguito nei termini.

Sulla base delle esposte considerazioni l’appello va quindi respinto.

Ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente sentenza.

Le spese di questo grado del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate forfettariamente in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.

Condanna l’appellante al pagamento in favore dell’Amministrazione di Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre accessori per le spese e gli onorari della presente fase del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

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