T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 08-11-2011, n. 8592 Sospensione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la determinazione dirigenziale n. 225 del 7.9.2006, notificata il 19.9.2006, il Comune di Fiumicino ha ingiunto alla ricorrente la sospensione delle opere e lavori in corso.

Con i successivi motivi aggiunti, depositati il 15.1.2007, la ricorrente ha impugnato la determinazione Dirigenziale di demolizione n. 257 del 23/10/2006 emessa dal Comune di Fiumicino, Area edilizia e Mobilità.

In particolare, per il primo atto si tratta di "ampliamento di superficie utile di mq 3,32 circa (0,70 x 4,75) all’interno del vano, come identificato nella planimetria, dove si riportano le misure interne di ml 4,50 x ml 4,90, come da condono edilizio 326/2003, n. 14809 del 15.3.2004. L’ampliamento è stato effettuato mediante la demolizione della parete ovest, con il relativo spostamento di 0,70 cm, in assenza di titoli autorizzativi, con condono edilizio in corso di istruttoria".

Il ricorso principale è affidato ai seguenti motivi di diritto:

1). Violazione e falsa applicazione della normativa richiamata (la ricorrente contesta in punto di fatto gli accertamenti compiuti nell’ordinanza impugnata e richiama l’istanza di condono presentata dal coniuge n. 14809 del 15.3.2004).

Il Comune si è costituito in data 15.2.2007.

Il motivo non merita positivo apprezzamento.

Dagli atti depositati risulta che l’originaria domanda di condono (cfr., in data 15.3.2004) riguardava la "trasformazione in abitazione tramite parziale tamponature esterne e creazione di tramezzi di una esistente veranda posta su tre lati della propria abitazione, nella consistenza originaria".

In proposito, il Collegio rileva che – da tutta la documentazione depositata in giudizio – emerge che la ricorrente – dopo la presentazione della originaria domanda di condono in data 15.3.2004 – in date successive (15.9.2005; 28.8.2006) ha effettuato versamenti integrativi (cfr., per oneri concessori e oblazione) e "rilievo dell’immobile con le variazioni oggetto di richiesta di concessione edilizia in sanatoria".

Dunque, le opere contestate con il provvedimento impugnato (ampliamento della superficie utile di mq 3,32 circa all’interno del vano) alla luce di tutte le integrazioni apportate successivamente dalla parte attrice, non possono ritenersi coperte dalla predetta sanatoria richiamata nel ricorso.

Con i successivi motivi aggiunti la ricorrente si limita a ribadire le censure già dedotte nel ricorso.

In conclusione, il ricorso e i motivi aggiunti devono essere respinti.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando:

Respinge il ricorso e i motivi aggiunti in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 23-11-2011, n. 9178

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Svolgimento del processo

Attraverso l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 14 novembre 2006 e depositato il successivo 5 dicembre 2006, il ricorrente impugna la deliberazione del Consiglio Regionale del 12 luglio 2006, n. 27, di "Approvazione del Piano della Riserva Naturale dell’Insugherata", nella parte in cui ricomprende nel perimetro della Riserva, alla zona D, sottozona D6, un immobile di sua proprietà, contraddistinto al nuovo Catasto Urbano del Comune di Roma con gli identificativi foglio 205, p.lla 77, sub 506 e sub 507, su cui insiste una costruzione per un totale di mq. 106 con destinazione ad uso residenziale.

Ai fini dell’annullamento il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:

I – ECCESSO DI POTERE PER CARENZA DEI PRESUPPOSTI E D’ISTRUTTORIA. ERRORE E CONFUSIONE. VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 2, COMMA 3, L. 394/91 E DELL’ART. 5, COMMA 3, L.R. LAZIO N. 29/97. L’immobile di proprietà del ricorrente è in una posizione assolutamente marginale nell’ambito del perimetro definitivo della Riserva, "si trova a ridosso sia del cavalcavia che permette alla via Trionfale di scavalcare il G.R.A., che delle gallerie attualmente in costruzione nell’ambito del progetto di allargamento del G.R.A. stesso ed è, inoltre, confinante con un manufatto industriale che è stato escluso dal perimetro della Riserva". Ciò detto, l’inclusione della Riserva appare inappropriata. Nel contempo, appare affetta da eccesso di potere sotto il profilo dell’errore e della confusione perché "nella planimetria della perimetrazione provvisoria" l’area risulta fuori dal perimetro stesso.

II – IN SUBORDINE ECCESSO DI POTERE PER TOTALE CARENZA DEI PRESUPPOSTI, ILLOGICITA’, CARENZA D’ISTRUTTORIA E DIFETTO DI MOTIVAZIONE. VIOLAZIONE DELL’ART. 42 COST., tenuto conto che l’immobile risulta ricompreso nella zona D6 ma non presenta affatto le caratteristiche all’uopo previste, ossia "non sussiste alcuna possibilità residua di utilizzazione dell’immobile in.. termini agricoli". In definitiva, la destinazione a zona D6 dimostra che il Piano è stato redatto "a tavolino", senza tenere in alcun conto la situazione reale dello stato dei luoghi. Etichettare, poi, con una destinazione agricola un immobile ormai urbano "significa in sostanza espropriare senza indennizzo".

III – IN ULTERIORE SUBORDINE VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 145 D.LGS. N. 42/2004. VIOLAZIONE DELLO IUS UTENDI. In ogni caso, la disciplina della zona D6 non può essere letta nel senso di essere impeditiva degli interventi di manutenzione straordinaria e restauro conservativo perché, altrimenti, sarebbe illegittima per violazione dell’art. 145 in esame, il quale impone la conformazione del piano dell’area naturale protetta alle previsioni del piano paesaggistico.

Con atto depositato in data 29 settembre 2009 si è costituita la Regione Lazio, la quale – nel prosieguo e precisamente in data 1 dicembre 2010 ed in data 10 dicembre 2010 – ha prodotto documenti ed una memoria, i cui contenuti possono essere così sintetizzati: – l’area su cui insiste l’immobile sanato di parte ricorrente era già da tempo "sottoposta a vincolo paesaggistico"; – la stessa area era già inserita nel perimetro istitutivo della Riserva (L.R. 29/1997); – tale scelta è stata confermata perché sono state individuate aree margine di "filtro" tra le aree interne della Riserva e gli ambienti esterni dell’area naturale protetta più urbanizzati; – "il rilievo secondo cui l’area del ricorrente non ha caratteristiche di pregio perché inserita in zona ampiamente compromessa… comporta, contrariamente a quanto sostenuto, che eventualmente, proprio per tale motivo, è ulteriormente rafforzata l’esigenza di tutelare dette aree"; – la classificazione di una zona come agricola non presuppone necessariamente che il terreno ivi inserito sia effettivamente destinato ad un’attività agricola; – la tutela apprestata agli interessi ambientali e paesaggistici costituisce espressione di discrezionalità tecnica, non suscettibile di essere sindacata se non per manifesti profili di illogicità ed irrazionalità che, nel caso di specie, non sussistono né risultano sufficientemente evidenziati da parte ricorrente; – come risulta da relazione tecnica della Direzione Ambiente prodotta agli atti, all’interno della sottozona D6 (area del ricorrente) sono ammesse categorie di intervento edilizio, a prescindere dalla destinazione d’uso del fabbricato e, pertanto, le censure afferenti l’esercizio dello ius utendi risultano del tutto ingiustificate; – il piano delle aree naturali ha, poi, valore di piano urbanistico e sostituisce i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello, ai sensi dell’art. 26 comma 6 l. r. 29/1997.

In data 3 dicembre 2010 il ricorrente ha prodotto documenti, tra cui una relazione tecnica.

Con memorie depositate in date 13 e 23 dicembre 2010 il ricorrente ha reiterato le censure formulate. Ha, altresì, sostenuto che sull’area non sussistono vincoli di natura paesaggistica né di natura archeologica nonché evidenziato che – in ragione delle precisazioni della Direzione Regionale Ambiente in ordine alle categorie di intervento edilizio ammesse "a prescindere dalla destinazione d’uso del fabbricato" – il terzo motivo di ricorso è da ritenersi superato.

Con ordinanza n. 2002 del 4 marzo 2011 la Sezione ha disposto incombenti istruttori a carico dell’Amministrazione resistente.

A tali incombenti l’Amministrazione ha provveduto, depositando in data 12 maggio 2011 una relazione tecnica esplicativa, in cui è ribadita la giustezza della scelta effettuata in ragione dell’individuazione di aree di margine quali zone filtro tra le aree interne della Riserva e gli ambienti esterni.

In data 27 luglio 2011 la Regione Lazio ha depositato una memoria, in cui ha riaffermato l’ampia discrezionalità che connota le scelte del tipo di quella in contestazione nonchè la logicità e la razionalità dell’inclusione nel perimetro della Riserva dell’area del ricorrente.

Con memoria depositata in data 28 luglio 2011 il ricorrente ha insistito sulla fondatezza delle censure formulate, affermando – tra l’altro – che le "aree di margine", invocate dalla Regione, "sono del tutto sconosciute alla normativa".

In data 15 settembre 2011 e in data 21 settembre 2011 le parti in causa hanno prodotto ulteriori scritti difensivi, a supporto delle proprie posizioni.

All’udienza pubblica del 13 ottobre 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.

2. Come esposto nella narrativa che precede, il ricorrente lamenta l’illegittimità della deliberazione del Consiglio Regionale n. 27 del 12 luglio 2006, di approvazione del "Piano della Riserva Naturale dell’Insugherata", nella parte in cui ha inserito nel perimetro della Riserva – in particolare, in zona D, sottozona D6 – anche un’area di sua proprietà, posta "in una posizione assolutamente marginale".

Ai fini dell’annullamento, denuncia, tra l’altro, violazione di legge (in particolare, art. 2, comma 3, della legge 394/1991 e art. 5, comma 3, della legge regionale n. 29/97) ed eccesso di potere sotto svariati profili, sostenendo che la scelta operata dall’Amministrazione "appare assolutamente inappropriata", atteso che "l’immobile di proprietà non presentava assolutamente quelle caratteristiche intrinseche necessarie per essere ricompreso nell’ambito di una riserva naturale"

La censura in esame è meritevole di condivisione.

3. In ragione di quanto previsto dalla legge 6 dicembre 1991 n. 394 e della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29, le riserve naturali – rientranti nella più ampia categoria delle aree naturali protette – sono costituite da "aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche" (art. 2, comma 3, l. n. 394/1991), rispetto alle quali sussistono particolari esigenze di tutela, sotto il profilo non solo della conservazione dello stato dei luoghi ma anche del rapporto tra attività antropiche ed ambiente naturale.

In altri termini, si tratta di zone che – in ragione delle peculiarità che le connotano – impongono integrazione tra politiche di conservazione e di sviluppo ma anche attenzione nel perseguimento del miglioramento del rapporto tra attività antropiche ed ambiente naturale (in primis, del rapporto tra la gestione degli spazi ed il mantenimento degli equilibri degli ecosistemi).

L’attività di individuazione di dette aree richiede, dunque, particolare attenzione, rivestendo un ruolo di indiscussa importanza in ragione dell’inerenza alle finalità essenziali della tutela della natura (cfr., tra le altre, Corte Cost., sent. 12 ottobre 2011, n. 263), la quale – tenuto, tra l’altro, conto della sua rilevanza costituzionale – ben può determinare il sacrificio di pur validi interessi privati.

In ogni caso, si tratta di un’attività che – oltre a dover seguire determinate procedure, nel rispetto, tra l’altro, della massima partecipazione dei soggetti interessati – implica scelte discrezionali inerenti il merito amministrativo e, precisamente, scelte che – pur non potendo trascendere da ragioni di carattere oggettivo (cfr., tra le altre, TAR Lazio, Roma, Sez. II, 24 maggio 2011, n. 4620) – comunque presuppongono la valutazione della preminenza dell’interesse pubblico su quello privato, ritenendo il bene pubblico dell’ambiente paesaggistico, naturalistico ed archeologico prevalente rispetto ad altri termini.

Ciò detto, è evidente che l’esercizio di detta attività non è sindacabile se non entro ben precisi limiti, da individuare essenzialmente nel rispetto degli usuali canoni di ragionevolezza e logicità.

Procedendo alla valutazione del piano in contestazione, il Collegio ritiene che il vizio afferente propriamente la "scelta" – definita "inappropriata" – sussista.

Come già accennato, l’immobile di proprietà del ricorrente è stato inserito nel perimetro della riserva naturale dell’Insugherata, già istituita nel Comune di Roma con l’art. 44, comma 1, della legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29.

Al riguardo, non si ravvisano valide e pertinenti ragioni giustificatrici.

In particolare, va rilevato che:

– il ricorrente ha comprovato che si tratta di un’area ubicata in "una posizione assolutamente marginale nell’ambito del detto perimetro" e, comunque, tale circostanza non è oggetto di contestazione;

– nel contempo, il ricorrente ha comprovato che si tratta di un’area su cui insistono costruzioni, ossia di un’area definibile "antropizzata";

– a fronte di tali rilievi, la documentazione agli atti si rivela inidonea a dimostrare che l’area de qua è specificamente connotata nei termini definibili di "rilevanza" ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394. In altre parole, non consente di ravvisare circostanze utili per qualificare tale area come interessata da specie naturalisticamente rilevanti della flora o della fauna, ovvero necessaria per la tutela di diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche;

– anche a seguito del sollecito di cui all’ordinanza di questo Tribunale n. 2002/2011, l’Amministrazione si è limitata a richiamare il concetto di "aree di margine quali zone filtro tra le aree interne della Riserva Naturale che presentino caratteristiche di rilevanza paesistica e ambientale e gli ambienti esterni dell’area naturale protetta urbanizzati" e, dunque, si è astenuta dal dare conto dell’effettiva sussistenza di quegli elementi oggettivi che – secondo criteri di ragionevolezza e logicità – si rivelano idonei a giustificare scelte di tal genere;

– del resto, non può essere sottaciuto che il concetto di cui sopra non figura nell’ordinamento e, comunque, è noto che le aree filtro sono – solitamente – identificate con le c.d. "aree contigue" di cui all’art. 32 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, ossia con aree esterne al perimetro della riserva naturale, ritenute utili per "assicurare la conservazione dei valori delle aree protette".

Posto, pertanto, che:

– secondo il dettato della normativa che regolamenta la materia, la perimetrazione di una riserva naturale con l’inclusione di determinare aree non può che trovare giustificazione nelle peculiarità delle aree stesse, le quali devono rivelarsi intrinsecamente ed immediatamente "rilevanti" sotto i profili della tutela e della gestione dei valori desumibili dall’art. 2 di cui sopra;

– nel caso di specie, la giustificazione de qua non è ravvisabile e/o comunque non risultano addotti dall’Amministrazione elementi idonei a darne conto;

si perviene alla conclusione che l’inserimento della propriètà del ricorrente nel perimetro della riserva naturale dell’Insugherata si rivela "incongruo" e, dunque, non correttamente disposto.

4. Tanto è sufficiente per l’accoglimento del ricorso, con assorbimento delle ulteriori censure formulate.

Tenuto conto delle peculiarità della vicenda, si ravvisano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso 11256/2006, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nei limiti dell’interesse del ricorrente e, precisamente, nella parte in cui include l’area di proprietà di quest’ultimo nel perimetro della Riserva Naturale dell’Insugherata.

Compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 15-12-2011, n. 3194

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con delibera n. 295 del 19.10.2010, la resistente Azienda Ospedaliera ha indetto una procedura di gara per l’affidamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti sanitari pericolosi con relativa fornitura dei contenitori, suddiviso in 2 lotti, da aggiudicarsi all’offerta economicamente più vantaggiosa, cui hanno partecipato 3 concorrenti.

Al termine delle valutazioni tecniche, conclusesi nella seduta del 14.1.2011, M. ha riportato un punteggio di 37/40 contro i 30,5/40 della ricorrente.

Nella seduta del 26.1.2011 sono state aperte le buste contenenti l’offerta economica e M. ha ottenuto punti 58,42/60 in virtù di un’offerta pari ad Euro 601.997,90, mentre T.A. 60/60 in ragione di un’offerta pari a Euro 586.155,85.

La Stazione appaltante ha aggiudicato provvisoriamente la gara alla M. e rilevato, in sede di verifiche successive, che l’offerta da quest’ultima presentata "risultava superiore al costo indicativo previsto in fase di indizione… ha chiesto alla società di praticare uno sconto aggiuntivo sui prezzi offerti che consentisse una significativa riduzione di tale differenza".

Preso atto della disponibilità dell’Impresa a ridurre il prezzo unitario al kg indicato in offerta da Euro 1,33 a 1,30, comportante una riduzione di spesa annua pari a Euro 13.578,90, con delibera 17 del 30.3.2011, in questa sede impugnata, l’Amministrazione ha aggiudicato definitivamente la gara.

La ricorrente ha impugnato detto esito della gara, deducendo numerosi profili di illegittimità.

L’Amministrazione e la controinteressata si sono costituite in giudizio, allegando l’infondatezza delle avverse censure e chiedendo la reiezione del ricorso.

Nella camera di consiglio del 25.5.2011 è stata respinta l’istanza di sospensione con ordinanza n. 885/2011 che il Consiglio di Stato ha riformato con propria ordinanza n. 2941/2011 dell’8.7.2011, ritenendo sussistenti elementi di fondatezza in ordine alle censure riferite alle caratteristiche dei contenitori offerti da M..

All’esito della pubblica udienza del 30.11.2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto l’indisponibilità, da parte dell’aggiudicataria, di impianti di smaltimento rispondenti alle caratteristiche di gara.

La censura è fondata.

Ai sensi del disciplinare, le concorrenti avrebbero dovuto produrre, a pena di esclusione, una dichiarazione "attestante che la ditta… usufruisce di almeno due impianti (di cui uno nell’ambito territoriale della Regione Lombardia ed uno in Regione limitrofa) autorizzati… per lo smaltimento di tutte le tipologie dei rifiuti oggetto di gara…" unitamente alla "dichiarazione del titolare dei predetti impianti… di accettazione dei rifiuti prodotti dall’Azienda Ospedaliera Appaltante per tutta la durata dell’appalto".

Ai sensi del punto 1 del capitolato di gara, oggetto dell’appalto, con riferimento al lotto 1, era il servizio di smaltimento e trasporto dei rifiuti pericolosi "a Rischio Infettivo codice C.E.R. 18.01.03" che, a norma del punto 10.3, sarebbero dovuti essere smaltiti, come consentito dall’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 253/2003, a mezzo contenitori riciclabili ("per garantire la tutela della salute e dell’ambiente, il deposito temporaneo, la movimentazione interna alla struttura sanitaria, il deposito preliminare, la raccolta ed il trasporto dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, che devono essere effettuati utilizzando apposito imballaggio a perdere, anche flessibile, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo" e il simbolo del rischio biologico o, se si tratta di rifiuti taglienti o pungenti, apposito imballaggio rigido a perdere, resistente alla puntura, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo taglienti e pungenti", contenuti entrambi nel secondo imballaggio rigido esterno, eventualmente riutilizzabile previa idonea disinfezione ad ogni ciclo d’uso, recante la scritta "Rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo").

Ciò comportava che gli impianti oggetto di dichiarazione da rendere ai fini dell’ammissione alla gara, dovessero essere abilitati al trattamento di rifiuti confezionati in contenitori riciclabili.

L’aggiudicataria, per lo smaltimento dei rifiuti contrassegnati dal codice C.E.R. 18.01.03 ha indicato l’impianto di P.E. S.r.l., che non è peraltro in grado di accettare rifiuti confezionati in contenitori riciclabili.

Con dichiarazione resa il 21.4.2011 la Società, infatti, aveva precisato "che per il momento non siamo in possesso di impianto di lavaggio e sanificazione contenitori. Inoltre, la normativa prevede per i contenitori di rifiuti sanitari a rischio infettivo (cer 180103) la sola apertura automatica e non manuale, pertanto non possiamo procedere allo svuotamento ed alla restituzione dei contenitori vuoti".

La circostanza trova conferma anche nel progetto della M., ove si chiarisce che gli impianti convenzionati "non dispongono di sistema per il trattamento di sanificazione e disinfezione dei contenitori riutilizzabili. Pertanto, nel caso di chiusura dell’impianto di proprietà, qualora i rifiuti dovessero essere conferiti agli impianti di riserva, la Proponente garantirà sempre e comunque la fornitura di contenitori rigidi in polietilene ad alta densità e manterrà la fatturazione al peso netto (al netto della tara dei contenitori, in questo caso avviati anch’essi a termodistruzione)".

In altri termini, l’aggiudicataria non disponeva di un impianto idoneo allo smaltimento di rifiuti confezionati in contenitori riciclabili come richiesto dal capitolato di gara e pertanto non può ritenersi assolto l’adempimento di cui al punto 2.7 del disciplinare di gara a norma del quale doveva dichiararsi la disponibilità di almeno due impianti idonei "allo smaltimento e/o recupero di tutte le tipologie oggetto di gara" che il disciplinare stesso prevedeva a pena di esclusione.

Ne deriva che l’Impresa M. doveva essere esclusa dalla procedura di gara.

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto con assorbimento delle ulteriori censure.

Sussistono, tuttavia, in virtù della peculiarità delle questioni oggetto del giudizio, giuste ragioni per compensare le spese.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie.

Spese compensate.

Ordina che il presente dispositivo sia eseguito dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 15-06-2012, n. 9872

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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 86/2004 il Tribunale di Udine adito dalla s.r.l.

P.D.R. nei confronti di C.M., con domanda di divisione di immobili in (OMISSIS), di cui le parti erano comproprietarie, rispettivamente, per le quote di 2/5 e di 3/5 – sciolse la comunione, assegnando all’attrice uno dei lotti (contrassegnato con il n. 1) predisposti dal consulente tecnico di ufficio e alla convenuta l’altro (contrassegnato con il n. 2), con condanna di quest’ultima al pagamento di un conguaglio di 9.296,22 Euro.

Impugnata dalla s.r.l. P.D.R., la decisione è stata confermata dalla Corte d’appello di Trieste, che con sentenza n. 73/2008 ha rigettato il gravame, ritenendo:

– che tra le parti, nel corso del giudizio di primo grado, non era intercorso alcun contratto, nè di transazione, nè di divisione, poichè la disponibilità manifestata da C.M. ad accettare il lotto n. 1 costituiva più una manifestazione di intenti che una dichiarazione negoziale;

– che le doglianze dell’appellante circa l’operato del consulente tecnico di ufficio erano inficiate da genericità;

– che le critiche relative alle stime indicate nell’elaborato peritale non erano suffragate da elementi concreti;

– che il dedotto stato di fatiscenza di entrambi i fabbricati rispettivamente assegnati alle parti non aveva valenza per discriminare le due situazioni;

– che dell’estensione dell’area il consulente tecnico di ufficio aveva tenuto conto, attribuendo al cespite del lotto n. 1 un valore diverso che all’altro.

La s.r.l. P.D.R. ha proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi.

C.M. si è costituita con controricorso.

Sono state presentate memorie dall’una parte e dall’altra.

Motivi della decisione

Con i primi due motivi di ricorso la s.r.l. P.D.R. si duole del disconoscimento – a suo dire ingiustificato in fatto ed erroneo in diritto – dell’avvenuta accettazione, da parte di C.M., della proposta di divisione bonaria che le era stata rivolta:

accettazione che era stata compiuta sia da lei stessa sia dal suo procuratore, abilitato anche a conciliare e transigere, nell’udienza del 26 settembre 2002, nonchè ribadita dall’interessata nella successiva udienza del 9 gennaio 2003.

La censura va disattesa, poichè il giudizio sull’avventata conclusione o meno di un contratto, implicando un mero accertamento di fatto, rientra nel potere esclusivo del giudice di merito e pertanto si sottrae al sindacato di legittimità, qualora risulti sorretto da congrua motivazione ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. 27 settembre 2006 n. 21019).

La Corte d’appello ha dato adeguatamente conto, in maniera esauriente e logicamente coerente, delle ragioni della decisione sul punto, osservando che la dichiarazione resa personalmente da M. C. nella prima delle suddette udienze – di essere disponibile ad accettare uno dei lotti predisposti dalla consulenza di parte approntata dalla s.r.l. P.D.R., con il relativo conguaglio in favore di quest’ultima – appariva più una dichiarazione di intenti, che una vera dichiarazione negoziale, qual è l’accettazione di una proposta contrattuale, nell’ambito del procedimento di conclusione di conclusione dei contratti (art. 1362 c.c.). A questa valutazione, che risulta pienamente coerente con il tenore testuale della dichiarazione in questione, la ricorrente ne ha opposto una propria contraria, affermandone la maggiore plausibilità; il che non può costituire idonea ragione di cassazione della sentenza impugnata, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità, che non consentono a questa Corte di compiere gli apprezzamenti eminentemente di merito, che in sostanza la ricorrente pretende di demandarle.

Che poi un contratto di transazione o di divisione, in quella stessa udienza, sia stato concluso dalle parti mediante la richiesta del procuratore alla lite della convenuta – di attribuzione a costei dell’assegno denominato "assegno 1" di cui alla perizia di parte attrice – è un assunto che la Corte d’appello effettivamente non ha preso in esame, ma che la s.r.l. P.D.R. non ha dedotto, come era suo onere, di aver prospettato nel giudizio a quo, sicchè non può avere ingresso in questa sede, stante la sua "novità". D’altra parte, si tratta comunque di un elemento privo di decisività, poichè la contemporanea presenza del procuratore e della rappresentata imponeva di dare prevalenza all’affermazione della seconda, la quale non costituiva, come motivatamente ha ritenuto la Corte d’appello, una manifestazione di attuale e concreta volontà negoziale.

Per analoga ragione non si può aderire alla tesi della ricorrente, secondo cui la stessa C.M., nell’udienza successiva, aveva riconosciuto di aver aderito, sia pure per errore, alla proposta dell’altra parte: tesi anch’essa "nuova" e in ogni caso non decisiva, in quanto il valore oggettivo della dichiarazione resa il 26 settembre 2002 non poteva essere modificato dalla interpretazione autentica che a dire della s.r.l. P.D.R. ne era stata poi data dall’interessata.

Quanto alla violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., denunciata con il secondo motivo di impugnazione, va rilevato che anche sotto questo profilo la ricorrente, in realtà, contesta gli accertamenti di fatto e gli apprezzamenti di merito compiuti dal giudice a quo, ripetendo pedissequamente i medesimi argomenti che con il primo motivo aveva addotto a sostegno della lamentata motivazione contraddittoria ed insufficiente ed illogica circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio: nessuna delle critiche rivolte alla sentenza impugnata è riconducibile alle disposizioni in materia di ermeneutica negoziale, genericamente richiamate nel ricorso senza alcuna particolare specificazione su quali e in che modo possano essere state violate o falsamente applicate.

Con il terzo motivo di ricorso la s.r.l. P.D.R., dolendosi di violazione o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e dell’art. 184 c.p.c. (nel testo previgente), sostiene che il proprio gravame avverso la sentenza del Tribunale, nella parte in cui contestava la congruità del progetto di divisione elaborato dal consulente tecnico di ufficio, non era affatto privo – contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte d’appello – del requisito della specificità, il quale avrebbe dovuto essere valutato in relazione alla estrema sinteticità presentata nella specie dalla sentenza di primo grado, con la quale il Tribunale si era limitato ad aderire acriticamente alle conclusioni della relazione peritale.

La censura è inconferente, poichè in realtà il giudice di secondo grado, nonostante l’affermata mancanza di specificità del motivo di appello in questione, ha esaminato nel merito e ha motivatamente disatteso ognuna delle doglianze che l’appellante aveva prospettato, in ordine sia alle stime compiute dal consulente tecnico di ufficio, sia allo stato di fatiscenza dei due fabbricati oggetto della domanda di divisione, sia all’estensione dell’area su cui essi sorgono. Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2012

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