Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-01-2011, n. 1410 Danno non patrimoniale Liquidazione e valutazione equitativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza ora impugnata per cassazione la Corte d’appello di Catania ha confermato la prima sentenza che aveva condannato il Comune di Acireale a risarcire ai B. ed alla I. i danni derivati dalla morte del loro congiunto B.P..

Questo, mentre transitava a bordo della sua vettura lungo una via comunale era travolto da acque impetuose conseguenti allo straripamento di un torrente. In particolare, il giudice ha ritenuto che l’evento non s’era verificato per straripamento o rottura di argini del torrente, ma perchè la strada percorsa dalla vittima costituiva da tempo anche un tratto del sistema di scolo naturale delle acque meteoriche, ridiventando l’alveo di un torrente in occasione di eccezionali precipitazioni.

Propone ricorso per cassazione il Comune a mezzo tre motivi.

Rispondono con controricorso i B. e la I., i quali a loro volta propongono ricorso incidentale attraverso un solo motivo.

La Regione Sicilia si costituisce in giudizio ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.

Motivi della decisione

I ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., siccome proposti contro la medesima sentenza.

1. – Il primo motivo del ricorso del Comune censura il punto in cui la sentenza ha dichiarato inammissibile, in quanto tardiva, la questione di competenza del tribunale regionale delle acque. Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente pone la questione con riferimento al difetto di giurisdizione, mentre essa attiene alla competenza e non alla giurisdizione, non essendo i Tribunali regionali delle acque pubbliche giudici speciali, ma organi specializzati della giurisdizione ordinaria (tra le tante, cfr. Cass. sez. un. 24663/07).

Il secondo motivo censura la sentenza laddove ha accertato la legittimazione passiva del Comune in luogo di quella della Regione Sicilia.

Il terzo motivo lamenta che la sentenza d’appello abbia ridotto la percentuale di colpa della vittima dal 45% al 25%.

Entrambi questi motivi sono infondati, riguardando accertamenti di fatto in ordine ai quali la sentenza ha offerto una motivazione puntuale e logica (che qui non è neppure il caso di ripetere), sottratta per questo alla censura di legittimità. 2. – L’unico motivo del ricorso incidentale concerne la risarcibilità del danno non patrimoniale in favore di una sorella del defunto, concepita ma non ancora nata al momento del decesso;

risarcibilità per questa ragione esclusa dalla sentenza d’appello.

Il motivo è infondato, in quanto sin dalle fondamentali sentenze di questa Corte nn. 8827 ed 8828 del 2003 risulta affermato (ed occorre qui ribadire) che la liquidazione del danno non patrimoniale subito dai congiunti in conseguenza della uccisione del familiare deve avvenire in base a valutazione equitativa, vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona, in quanto tali privi di contenuto economico, e deve tener conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti.

Nella specie, come ha correttamente affermato la sentenza impugnata, il solo concepimento e la mancata esistenza in vita della congiunta al momento del fatto esclude l’esistenza di un vincolo familiare idoneo a configurare il danno parentale del quale la giurisprudenza ammette il risarcimento.

3. – I ricorsi, dunque, devono essere entrambi respinti, con intera compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-11-2010) 26-01-2011, n. 2801

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La CdA di Palermo, con sentenza 24.11.2009, ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale M.F. fu condannato alla pena di giustizia, in quanto riconosciuto colpevole dei delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone (così modificata la originaria imputazione di tentata estorsione) e di lesioni personali, guarite in giorni 20 (frattura del setto nasale) in danno di S.M..

I fatti si svolsero in una discoteca di Palermo il giorno 1.6.2006.

E’ pacifico che il M. richiese al S. la restituzione di una somma che una ragazza – Mo.Cl. – aveva versato quale quota di iscrizione in una palestra nella quale il S. lavorava.

Alla risposta negativa del S., il M., secondo la versione fatta propria dai giudici di merito, avrebbe reagito colpendolo al viso e causando le lesioni sopra descritte.

Ricorre per cassazione il difensore del M. e sostanzialmente deduce carenza, contraddittorietà, insufficienza dell’apparato motivazionale, atteso che la CdA non è riuscita a giustificare i contrasti tra le varie dichiarazioni testimoniali raccolte e ha, viceversa, dato il massimo credito alle dichiarazioni della PO (solo perchè non costituitasi PC) e della fidanzata del S., D. M.C..

Sta di fatto, però, che certamente l’episodio si verificò intorno alle 20,30 e non alle 24, come sostenuto dai due predetti. Resta dunque da chiarire (e tanto non fanno i giudici del merito) per qual motivo il S. sia stato visitato in ospedale in orario posteriore alle 2 del mattino.

Altre incongruenze riguardano la localizzazione del colpo che il M. avrebbe inferto. Lo stesso S. afferma che volgeva le spalle all’imputato; dunque non giustifica la frattura del setto nasale; in ospedale egli riferì di essere stato colpito al volto e alla nuca, ma, mentre la fidanzata ha fatto parola di perdite ematiche, di esse non vi è traccia nel referto ospedaliero.

Ancora: alcuni testi affermano che, dopo lo scontro, il S. si fermò nel locale, mentre costui e la fidanzata sostengono che andarono subito via per recarsi, appunto, in ospedale.

La teste B.R., alla cui versione la CdA attribuisce grande rilievo, in realtà non vide l’azione nella sua genesi e si accorse di quanto stava accadendo solo quando il S. cadde sul tavolino presso il quale la ragazza era seduta; nè la sentenza chiarisce in che posizione si trovava il teste L.M. e quale percezione ebbe dei fatti.

Viceversa i testi M.C., Sp.An. e St.

F. ebbero a riferire che il M. reagì, con un semplice ceffone al viso, a uno spintone datogli dal S.. Costoro sono stati ritenuti non credibili dalla CdA solo perchè amici dell’imputato. Si tratta, viceversa, degli unici che hanno potuto seguire e descrivere la dinamica del fatto, i quali hanno collocato l’episodio nella sua giusta dimensione temporale.

A tal punto, è di tutta evidenza che le lesioni al naso il S., cultore di kick boxing, con ogni probabilità, se le ebbe a procurare in altra circostanza di spazio e di tempo.

Erra inoltre la CdA nel ritenere inapplicabile la scriminante ex art. 52 c.p.. E’, viceversa, di tutta evidenza che il ricorrente ebbe a reagire alla azione aggressiva del S., soggetto "palestrato" e praticante arti marziali e che il M., intimorito, si limitò a un schiaffo al volto del suo aggressore.

Il ricorso è inammissibile in quanto interamente articolato in fatto e tendente a una reinterpretazione degli elementi, pur coerentemente valutati e utilizzati dai giudici del merito.

La CdA ha fondato il suo convincimento: 1) sulla ricostruzione dei fatti operata dalla PO, 2) sulla documentazione sanitaria, 3) sulle dichiarazioni di B.R. che, a un certo punto, vide il S. rovinare sul tavolo preso il quale ella stava seduta, 4) sulle dichiarazioni della fidanzata della PO, D.M.C., che ha descritto l’intera dinamica dell’azione e che ha chiarito che, prima di recarsi in ospedale, il S. volle essere accompagnato a casa (evidentemente per "smaltire" il trauma e lo shock subiti), 5) sulle dichiarazioni del titolare del locale, L.M., conoscente sia del S. che del M., il quale ha ricostruito, nella genesi e nel suo sviluppo, l’accaduto ( M. chiese a S. la restituzione della quota versata da Mu., S. rispose che egli non si occupava di contabilità, M. colpì S. al volto), 6) dalle dichiarazioni degli stessi testi "vicini" all’imputato – Mo., St., Sp. – che, pur premettendo che S. aveva dato una spinta al M.; non hanno negato che costui aveva, a sua volta, colpito al volto il S..

A fronte di una tal congerie di dati, sostanzialmente convergenti, la CdA ha ritenuto non rilevante e comunque non decisiva la non coincidenza degli orari come indicati dalla PO e dalla D.M., da un lato, e da alcuni testi, dall’altro. Che lo scontro sia avvenuto alle 20,30 o alle 24 non è stato ritenuto dirimente, atteso che esso avvenne sicuramente nel locale del L., fu determinato dal rifiuto di restituire la quota versata dalla Mu., si concluse con il colpo dato dall’imputato al volto del S. e determinò la caduta di quest’ultimo sul tavolino di pertinenza della B..

Nè la corte palermitana trascura di evidenziare come, tra il momento in cui la PO e la fidanzata lasciarono il locale e il momento in cui S. fu visitato in ospedale, si inserisce la sosta in casa del S. stesso.

Correttamente poi è stata esclusa la sussistenza, anche evidentemente sul piano putativo, della legittima difesa, atteso che, se pur fosse vero che il S. aveva dato una spinta al M., manca comunque la proporzione tra tale pretesa "aggressione" e la reazione dell’imputato, reazione poi indirizzata, come si legge nel capo di imputazione, nei confronti di un soggetto minorato, in quanto affetto da permanente deficit di deambulazione.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue condanna alle spese del grado.

Consegue inoltre condanna al versamento di somma a favore della Cassa ammende. Si stima equo determinare detta somma in Euro 1000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di mille Euro a favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-10-2010) 10-02-2011, n. 4939 Reato continuato e concorso formale

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – Con ordinanza del 26 aprile 2009, il GIP del Tribunale di Busto Arsizio rigettava la richiesta di misura custodiale in carcere nei confronti di B.A. e B.D., indagati per i reati di cui agli artt. 81 cpv. 110, 624 e 625 c.p. e D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55, comma 9 (furto aggravato della borsa di G. A., prelevando la borsa dalla vettura parcheggiata nella quale si trovava ed utilizzando il bancomat e la carta di credito che si trovavano ivi detenute).

Pronunciando sull’appello proposto dal PM, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice di appello de libertate, con l’ordinanza indicata in epigrafe, riformava l’impugnato provvedimento disponendo la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti degli indagati.

Avverso la pronuncia anzidetta il difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di seguito indicate.

2. – Lamenta il ricorrente l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico degli indagati, non risultando effettuato alcun accertamento in ordine al furto della borsetta, rispetto al quale, peraltro, era stata indebitamente contestata l’aggravante di cui all’art. 61, n. 6. Quanto all’addebito di cui al D.Lgs. n. 23 del 2007, art. 55, comma 9, le risultanze investigative erano insufficienti consistendo in fotogrammi, peraltro poco chiari, di riprese effettuate da telecamere di un istituto di credito, nei quali i verbalizzanti avevano ritenuto di poter riconosce i tratti somatici dei B., persone note per precedenti in tema di reati contro il patrimonio, benchè nulla risultasse a loro carico nel certificato penale aggiornato. La perizia antropometrica non offriva alcuna certezza, anche per il parziale accertamento svolto, limitato alla comparazione dei soli visi e non degli interi corpi degli indagati.

Contesta, inoltre, la sussistenza delle esigenze cautelari, nella forma più rigorosa, tenuto conto dell’età degli indagati (uno di 23 anni, l’altro di 22 anni) e della loro incensuratezza, nonchè del fatto che, in caso di condanna, la pena avrebbe potuto essere contenuta in misura tale da consentire la concessione della sospensione condizionale della pena.

3. – Il ricorso è privo di fondamento. Ed invero, con motivazione congrua e pertinente, il provvedimento impugnato ha dato atto dell’esistenza di gravi indizi di colpevolezza, sia pure con esclusivo riferimento all’ipotesi accusatoria di cui al menzionato art. 55, da sola sufficiente a legittimare la custodia cautelare), pienamente idonei a giustificare il titolo custodiale, quali il riconoscimento dei verbalizzanti già alla visione dei fotogrammi e le conferme che di tale riconoscimento sono venute dall’indagine antropometrica e dalla rilevata identità del vestiario degli indagati con quello indossato dai responsabili.

Pienamente adeguata ed appagante è anche l’indicazione delle esigenze cautelari che hanno consigliato l’applicazione della più grave misura cautelare, rendendo inopportuna ogni altra meno affittiva disposizione. Il giudizio di inaffidabilità compiutamente espresso dal giudice del riesame riposa fondamentalmente su valutazione negativa di personalità, basata sul rilievo che B. A. avrebbe commesso il fatto mentre si trovava sottoposto ad obbligo di dimora e che B.D. aveva pendenze giudiziarie, pur se formalmente incensurato, per fatti analoghi. Il giudice del riesame ha poi spiegato perchè, a suo avviso, non fosse ragionevolmente prevedibile che gli indagati, in caso di condanna, potessero essere ammessi al beneficio della sospensione condizionale della pena e tale valutazione prognostica, in quanto congruamente argomentata, non è suscettibile di sindacato in questa sede di legittimità. 4. – Per quanto precede, il ricorso deve essere rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 28-02-2011, n. 138 Causa di servizio civile o militare

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uanto segue.
Svolgimento del processo

Con istanza datata 24.3.2004, il Caporal maggiore VSP Ga.Me.Co. chiedeva il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità "Sindrome depressiva con spunti interpretativi".

Con p.v. mod. ML/AB n. 2944 datato 3.12.2004, la C.M.O. distaccata di Messina del Centro militare di medicina legale di Palermo giudicava il richiedente affetto da "Pregresso disturbo depressivo psicotico con spunti interpretativi non congrui con il tono dell’umore. Lieve labilità emotiva in compenso farmacologico", infermità ritenuta ascrivibile alla tabella A, quarta categoria.

Con parere n. 33171/2005 reso nell’adunanza n. 309/2005 del 18.11.2005, il Comitato di verifica per le cause di servizio riteneva la suddetta infermità non dipendente da causa di servizio.

L’Amministrazione della difesa attivava, in data 20.2.2006, la procedura prevista dall’art. 10 bis legge n. 241/90 e, poiché il sottufficiale produceva ulteriore documentazione relativa al nesso causale tra il servizio e l’infermità presa in esame, in data 22.3.2006 chiedeva al predetto Comitato di esprimersi nuovamente al riguardo.

Con parere n. 7385/2006 reso nell’adunanza n. 56/2006 del 29.5.2006, il Comitato di verifica per le cause di servizio, confermando il precedente giudizio, nuovamente riteneva l’infermità non dipendente da causa di servizio in quanto "trattasi di forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazione attraverso i canali neurologici, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente, su personalità predisposta, non rinvenendosi, nel caso di specie, documentate situazioni conflittuali relative al servizio, idonee per intensità e durata, a favorirne lo sviluppo, l’infermità non può collegarsi agli invocati eventi, neppure sotto il profilo concausale, efficiente e determinante".

Il Comitato affermava di aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi al servizio da parte del ricorrente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti.

Con decreto n. 2814/N del 19.12.2006, l’Amministrazione della difesa negava la dipendenza da causa di servizio, in conformità al parere del Comitato di verifica per le cause di servizio.

Avverso tale decreto, il Caporal maggiore VSP Ga.Me.Co. proponeva ricorso al T.A.R. Catania, deducendo i seguenti motivi:

1) Eccesso di potere per illogicità manifesta; eccesso di potere per difetto di istruttoria ed, in particolare, per omessa considerazione dei pareri di parte.

Il ricorrente rilevava di aver espletato una serie di servizi pericolosi in condizioni climatiche, ambientali e temporali disagevoli, nel contesto di missioni militari espletate all’estero, in zone interessate ad eventi bellici, negli anni 2000-2001-2002.

Tale attività di servizio gli aveva procurato un elevato stress psico-fisico, per il quale dichiarava di essersi sottoposto a terapia farmacologica sotto il controllo di uno specialista in psichiatria.

Il medico curante redigeva una relazione da cui si evince il collegamento tra il sovraccarico lavorativo e l’aumento della quota ansiosa a carico di esso ricorrente.

Rilevava il ricorrente che i provvedimenti impugnati collidono con le risultanze della dettagliata documentazione medica specialistica allegata alla domanda presentata all’Amministrazione, con la quale si dimostrerebbe incontrovertibilmente la riconducibilità della malattia alla causa di servizio, giudizio al quale gli specialisti sarebbero pervenuti a seguito di accurati esami clinici del ricorrente.

Per contro, l’impugnato parere del Comitato si fonderebbe su un giudizio aprioristico scollegato dall’esame diretto del soggetto interessato.

2) Violazione di legge con riferimento all’art. 3 Legge n. 241/1990; eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione; violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 11 comma 1 del D.P.R. 29 ottobre 2001 n. 461.

3) Violazione di legge per difetto di motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 1, del D.P.R. 29 ottobre 2001 n. 461.

Ad avviso del ricorrente il decreto con il quale il dirigente del Ministero della difesa ha negato la riconducibilità al servizio della patologia sofferta si limita a recepire pedissequamente il parere del Comitato senza tenere conto delle risultanze istruttorie e della documentazione medica allegata all’istanza.

4) Eccesso di potere per travisamento della realtà e per omessa considerazione di fatti rilevanti; eccesso di potere per difetto di istruttoria e falsa rappresentazione della realtà.

Il ricorrente eccepiva che dalla relazione redatta dal medico curante che lo ha assistito, allegata agli atti, emergerebbe la chiara correlazione tra il servizio e l’insorgenza della patologia lamentata.

Con sentenza n. 728/09, il T.A.R. adito rigettava il ricorso.

Con l’appello in epigrafe, l’odierno ricorrente ha dedotto che il parere emesso dal Comitato di verifica per le cause di servizio sarebbe stato emesso senza tenere conto delle condizioni ambientali e di servizio in cui egli ha operato.

Avrebbe, pertanto, errato il Giudice di prime cure nel ritenere legittimo il provvedimento impugnato.

Conclusivamente, ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata e del provvedimento gravato in primo grado.

Ha replicato il Ministero appellato per chiedere il rigetto del ricorso in appello, sostenendone l’infondatezza.

Alla pubblica udienza del 29 giugno 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

L’appello è fondato e, pertanto, va accolto.

Invero, secondo costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, i giudizi medico-legali recepiti nella determinazione oggetto del giudizio (quali il parere del C.V.C.S.), costituiscono valutazioni di ordine tecnico che, salve le ipotesi di violazione di legge o di illogicità manifesta, restano sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 28.10.2005 n. 141/2006).

Nel caso di specie, tuttavia, il Comitato di verifica per le cause di servizio ha emesso il contestato parere senza esprimere alcuno specifico riferimento alla documentazione esibita dall’istante, con particolare riferimento a quella sanitaria rilasciata dallo specialista di parte.

Questi, nelle sue deduzioni avverso la delibera del Comitato di verifica per le cause di servizio del Ministero dell’economia e delle finanze reso nell’adunanza n. 309/2005 del 18/11/2005, ha sottolineato la significativa circostanza che, all’atto dell’arruolamento, il profilo "apparati vari" dell’odierno ricorrente, alla voce PS (psichico), non evidenziava "nulla di anomalo" e che, pertanto, l’infermità dallo stesso lamentata non può che essere ricollegata ad eventi successivi all’arruolamento.

Risulta dagli atti del processo che il ricorrente ha svolto missioni all’estero: in Bosnia, dal 30 settembre 1999 all’8 marzo 2000 ed in Kossovo dal 5 febbraio al 14 luglio 2001, durante le quali è stato indubbiamente sottoposto ad eventi stressanti e ripetuti, che di certo hanno influito sul suo sistema psichico, aggravato dal trasferimento presso il nuovo Ente, ove ha manifestato la sintomatologia in argomento.

In merito alla stessa, lo specialista ha ritenuto di precisare che il quadro clinico di "Pregresso disturbo depressivo psicotico con spunti interpretativi non congrui con il tono dell’umore", ritenuto "Episodio Depressivo Maggiore Grave con manifestazioni Psicotiche Incongrue dell’umore", è una manifestazione episodica caratterizzata da umore depresso per la maggior parte del giorno, marcata perdita degli interessi, alterazioni del ciclo del sonno e diminuzione della capacità di elaborare pensieri, con conseguenze sul rendimento lavorativo e sulla capacità di interazione sociale e che, tuttavia, la incongruità delle manifestazioni psicotiche (nella fattispecie gli spunti interpretativi "deliranti") è relativa alla natura del contenuto dei disturbi deliranti, in questo caso diversa dai tipici temi presenti nella depressione, quali inadeguatezza, colpa, malattia e punizione. Trattasi, invece, di deliri a tematica persecutoria e, comunque, non direttamente correlati con la depressione.

Lo specialista, poi, con riferimento alle conclusioni cui è pervenuto il Comitato con la predetta delibera del 18/11/2005, ha precisato, citando autorevoli fonti dottrinarie della specifica materia, che il fattore stressante (nel caso de quo: le missioni, il trasferimento e le angherie dei commilitoni più anziani), percepito dal soggetto come maggiormente condizionante in modo negativo l’autostima, produce depressione.

Inoltre, quello che può sembrare un fattore stressante relativamente lieve a persone esterne (…non rinvenendosi documentate situazioni conflittuali relative al servizio idonee…) può essere devastante per il paziente a causa dei significati connessi all’evento.

Ha poi ulteriormente precisato che viene riconosciuta la dipendenza della causa di servizio ogni qualvolta gli eventi della vita militare siano causa o concausa saltuariamente su un substrato già predisposto alla patologia ma non ancora, di per sé, minato sino alla conclamazione della patologia stessa.

Detto specialista ha concluso per il riconoscimento della infermità come dipendente da causa di servizio, richiamando, come perfettamente calzante al caso in trattazione, una decisione della Corte dei Conti, secondo cui: "Pur se trattasi di affezione prevalentemente endogeno-costituzionale, non può escludersi che la sindrome depressiva sia stata concausata da eventi esterni di servizio che hanno influito deleteriamente sulla rottura dell’equilibrio neuro-psichico del soggetto" (cfr. sentenza C. dei Conti, sez. IV pens. mil. 3 maggio 1978, n. 52015).

D’altra parte, nel caso di specie, lo stesso Comitato, con l’impu-gnato parere n. 33171/2005, confermato da quello successivo, n. 7385/06, pur giudicando che la suddetta infermità non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, ha tuttavia ritenuto che "trattasi di forma di nevrosi che si estrinseca con disturbi di somatizzazioni attraverso i canali neuro-vegetativi, scatenata spesso da situazioni contingenti che si innescano, di frequente, su personalità predisposta".

Pertanto, contrariamente alle conclusioni cui è pervenuto il predetto Comitato e posto a base dell’impugnato decreto n. 2814/N del 19.12.2006, il Collegio ritiene che l’infermità "Sindrome depressiva con spunti interpretativi", pur potendosi riscontrare nel caso di specie, come rilevato dal Comitato, l’assenza di "… documentate situazioni conflittuali relative al servizio idonee, per intensità e durata, a favorirne lo sviluppo", vada riconosciuta come dipendente da causa di servizio, sulla base della suddetta valutazione dello specialista di parte ricorrente nonché della richiamata decisione della Corte dei Conti, in quanto non si può che convenire sul fatto che la patologia del ricorrente, assente all’atto dell’arruolamento, sia da ricollegare agli invocati eventi, perlomeno sotto il profilo concausale efficiente e determinante.

Orbene, è ben vero che l’Amministrazione, cui spetta emanare il provvedimento definitivo, non è tenuta ad esplicitare ulteriormente, se non per relationem, le ragioni per le quali aderisce al parere del Comitato, tuttavia, è altrettanto vero che alla stessa incombe l’onere di verificare che quest’ultimo, nel pronunciarsi, abbia tenuto conto delle argomentazioni, eventualmente di segno opposto, svolte dagli altri organi tecnici già intervenuti nel precedente ed autonomo procedimento finalizzato ad accertare la dipendenza da causa di servizio.

L’Amministrazione, infatti, con il provvedimento definitivo, può discostarsi dal parere del Comitato, fornendo adeguata motivazione, allorché ritenga che esso non abbia adeguatamente dato conto delle deduzioni esposte dallo specialista di parte ricorrente sulla natura e sull’eziopatogenesi dell’affezione lamentata dall’interessato.

Conclusivamente, l’appello va accolto, perché fondato.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Considerata, tuttavia, la particolare natura della presente controversia, si ritiene che sussistano giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 29 giugno 2010, con l’intervento dei signori: Paolo D’Angelo, Presidente f.f., Guido Salemi, Gabriele Carlotti, Filippo Salvia, Pietro Ciani, estensore, componenti.

Depositata in Segreteria il 28 febbraio 2011.

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