Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-05-2013) 06-06-2013, n. 24978

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Svolgimento del processo

Con ordinanza del 8.10.2012, il GIP presso il Tribunale di Rimini dispose il sequestro preventivo della somma di Euro 94.625 nei confronti del ricorrente, indagato per i delitti di cui all’art. 648 c.p. e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132.

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, ma il Tribunale di Rimini, con l’ordinanza in epigrafe, la rigettò.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato lamentando violazione di legge sotto i profili: della mancata considerazione da parte del Tribunale delle allegazioni fornite dal ricorrente per giustificare la assenza di sproporzione, ai sensi della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, tra beni rinvenuti e reddito dichiarato;

insussistenza del fumus commissi delicti, essendosi il Tribunale limitato a ritenere astrattamente configurabili i reati contestati;

mancanza di proporzionalità tra profitto del reato ed entità dei valori sottoposti a sequestro.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

L’unico reato ipotizzato nel capo provvisorio di incolpazione, che legittima l’applicazione della misura cautelare, è la ricettazione;

il reato è contestato con riguardo a timbri di soggetti privati rinvenuti nel possesso dell’indagato; così configurato, tuttavia, il fatto – esaurendosi nel mero possesso dei timbri di soggetti privati di cui non è nemmeno contestato l’utilizzo – non avrebbe rilevanza penale.

Inoltre il Tribunale argomenta (a pagina 4 del provvedimento impugnato), che oggetto della misura sono state tutte le somme che, in quanto non riconducibili a guadagni leciti, debbono ritenersi riferibili alle condotte penalmente rilevanti specificando le stesse anche nelle condotte dell’imputato di coadiuvazione di una coimputata nella commissione di delitti (e qui non potrebbe rilevare anche l’incolpazione del ricorrente ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132, la quale non legittima l’applicazione della misura); in tal modo, tuttavia, non esplica la connessione tra l’ipotizzato reato di ricettazione e le somme oggetto della misura reale.

Ne consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Rimini per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Rimini per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen., sez. VI 27-07-2007 (12-07-2007), n. 30783 Inutilizzabilità di conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche – Omessa indicazione delle generalità dell’interprete

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IN FATTO E DIRITTO
Con ordinanza del 6 febbraio 2007 il Tribunale del riesame di Venezia confermava l’ordinanza del G.i.p. di Verona 10 gennaio 2007, con la quale era stata applicata a B.M., V.G., C.S., S.A., A.N. e R.G. la custodia cautelare in carcere per violazione della disciplina degli stupefacenti.
Avverso la predetta ordinanza gli indagati hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:
– inutilizzabilità delle conversazioni intercettate e manifesta illogicità della motivazione perchè la doglianza non verteva sulle formalità della nomina dell’interprete-traduttore quale ausiliario della P.G., bensì per l’omessa indicazione delle generalità dello stesso.
L’impugnazione è inammissibile.
Preliminarmente si osserva come dal testo della motivazione dell’ordinanza impugnata la A., il C., la S. e il V. non abbiano contestato la sussistenza e la gravità degli indizi, confermando quindi la legittimità e la correttezza della traduzione delle conversazioni telefoniche intercettate che li riguardavano.
Il R. ha invece negato la sussistenza degli indizi a suo carico discutendo nel merito il contenuto delle conversazioni intercettate, senza quindi contestarne la legittimità e la regolarità della traduzione.
Pertanto il motivo di ricorso, limitato alla legittimità della traduzione delle predette intercettazioni per omessa indicazione delle generalità dell’interprete-traduttore, riguarda soltanto la B. e non gli altri ricorrenti, i cui ricorsi devono essere perciò dichiarati inammissibili in applicazione della disposizione dettata a pena d’inammissibilità dall’art. 581 c.p.p., lett. c) e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c). Quanto all’eccezione della B., già rigettata dal Tribunale del riesame e riproposta nel giudizio di legittimità, si osserva che in caso di traduzione e trascrizione di conversazioni intercettate, non può ritenersi fondata l’eccezione d’inutilizzabilità che, ferma restando la sussistenza, la legittimità della nomina da parte della polizia giudiziaria dell’interprete-traduttore e la regolarità delle operazioni di traduzione e trascrizione, si basi soltanto sull’omessa indicazione delle generalità dell’interprete-traduttore nominato ai fini del controllo sulla sua idoneità tecnica ad esercitare la funzione conferitagli, perchè nessuna norma ricollega a tale omissione la nullità o l’inutilizzabilità dell’attività da questi svolta, sicchè l’omissione lamentata da luogo tutt’al più a una mera irregolarità.
Infatti, la capacità dell’interprete di svolgere adeguatamente il compito assegnato è dato obiettivo, di fatto desumibile dalla correttezza della traduzione eseguita e trascritta, per cui la sua identificazione appare del tutto indifferente ai fini del relativo controllo e priva l’omissione di qualsiasi rilevanza.
Nella specie la ricorrente ha dichiarato espressamente di non discutere il conferimento e la regolarità della nomina dell’interprete-traduttore, ma di eccepire esclusivamente l’omessa indicazione delle sue generalità al fine di verificarne la sua conoscenza effettiva della lingua rom, senza peraltro formulare alcuna critica in ordine al testo della traduzione, accettata come correttamente eseguita dai coindagati, anche loro di lingua rom.
L’eccezione proposta appare perciò manifestamente infondata.
L’eccezione stessa appare peraltro manifestamente intempestiva e perciò irrilevante. Infatti, in tema di intercettazioni telefoniche, la trascrizione integrale delle registrazioni e delle eventuali operazioni accessorie, come la nomina di un interprete, con le forme e le garanzie previste per l’espletamento delle operazioni di cui agli artt. 143 e sgg. c.p.p., è necessaria solamente per l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento e per la conseguente loro utilizzazione come prove in sede di giudizio, e non anche per la valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’applicazione delle misure cautelari personali ai sensi dell’art. 273 c.p.p. (Cass., Sez. 1, 11 febbraio 1998 n. 1495, ric. Seseri).
Pertanto i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Segue per legge la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese giudiziali e al versamento di Euro 1000,00 ciascuno alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.
LA CORTE Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese giudiziali e al versamento di Euro 1000,00 (mille) ciascuno alla Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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Cass. civ. Sez. V, Sent., 21-01-2011, n. 1377 Redditi di capitale

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Svolgimento del processo

La Sig.ra P.G. ha impugnato un avviso di accertamento con il quale il competente ufficio finanziario ha rettificato la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1997, recuperando a tassazione redditi di capitale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 42 (T.U.I.R.), relativi ai rendimenti di somme affidate per investimenti a tale Sig. M.C., successivamente fallito ed inquisito per truffa ai danni dei risparmiatori.

La CTP ha accolto il ricorso della contribuente. La CTR, invece, accogliendo in parte l’appello dell’ufficio, ha riconosciuto la legittimità del recupero, ma soltanto con riferimento alle somme che i giudici di appello hanno ritenuto che fossero state effettivamente percepite dalla contribuente, con esclusione, quindi delle somme che risultavano accreditate alla stessa sulla base della documentazione contabile del M..

La P. ricorre contro l’Agenzia delle Entrate per ottenere la cassazione della sentenza di appello, meglio indicata in epigrafe, sulla base di tre motivi, illustrati anche con memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso appare fondato in relazione al terzo motivo.

I primi due motivi di ricorso invece non possono trovare accoglimento. Il primo, perchè denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 42 cit. T.U.I.R., unitamente a vizi di motivazione, la ricorrente prospetta una censura di merito, come tale inammissibile, relativa alla valutazione di attendibilità della documentazione contabile del M., in base alla quale la CTR ha ritenuto provato che alcune somme siano state corrisposte alla P. a titolo di interessi. Il motivo è anche infondato nella parte in cui denuncia la contraddittorietà della motivazione, laddove dopo avere ritenuto inattendibile la documentazione del M., da credito alla tesi della corresponsione degli interessi, sulla base della indicazione degli assegni con i quali sono stati effettuati i versamenti (a differenza delle somme imputate soltanto in contabilità). E’ evidente, infatti, che mentre la semplice annotazione in contabilità non può costituire prava se non contro l’autore delle registrazioni, il pagamento può considerarsi provato sulla base della produzione della fotocopia del relativo assegno, non contestata.

Il secondo motivo, con il quale viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 1823, 1825, 1834 e 1852 c.c., artt. 41 e 42 cit. T.U.I.R., è inammissibile.

Infatti, la ricorrente ripropone la tesi della inattendibilità della documentazione rinvenuta dalla guardia di finanza, in base alla quale non sarebbe possibile ricostruire la natura e la effettività dei pagamenti fatti a favore degli investitori, tanto più che l’obbligo di pagare gli interessi, per i conti correnti non bancari matura alla scadenza del contratto. E’ evidente che si tratta di censure che attengono al merito della vicenda giudiziaria (esame e valutazione della documentazione acquisita dalla guardia di finanza e dei contratti che disciplinavano i rapporti tra gli investitori ed il M.).

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 26, 27 e 64, in quanto erroneamente la CTR ha escluso che le somme corrisposte a titolo di interessi non beneficiassero della aliquota agevolata del 12,50% in conseguenza di un comportamento omissivo non addebitabile alla odierna ricorrente. Effettivamente, la censura già in tesi appare fondata anche perchè, nella specie, come sembra pacifico, gli investitori erano vittime e non complici (almeno non risulta che lo fossero) del sedicente intermediario finanziario.

Conseguentemente, il ricorso va accolto in relazione al terzo motivo e la sentenza impugnata va cassata in parte qua. Il Collegio, atteso che in punto di fatto la CTR ha quantificato in L. trentanovemilioni e settecentoquarantamila il reddito da sottoporre a tassazione, ritiene di poter decidere nel merito la controversia, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., nel senso che tale somma deve essere incisa nella misura del 12,50%, con le conseguenze di legge.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Sussistono giuste ragioni per compensare le spese dell’intero giudizio di merito, considerando gli esiti non omogenei dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo ed il secondo motivo di ricorso ed accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara applicabile l’aliquota d’imposta nella misura del 12,50%. Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella misura di Euro milleottocento, di cui Euro milleseicento per onorario. Compensa le spese del giudizio di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-02-2011, n. 4555 Fallimento, Giudice delegato

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Svolgimento del processo

La Spot Holding srl ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, illustrato con memoria, avverso l’ordinanza resa in data 30/9/09, con la quale il Tribunale di Roma, all’esito dei reclami proposti L. Fall., ex art. 26 dalla fallita Nicoli Ingegneria Civile s.r.l. in concordato fallimentare e dalla società Argonauta s.r.l., in riforma del decreto del G.D. emesso in data 6-10 febbraio 2009 con cui il curatore della società Nicoli era stato autorizzato ad una cessione di credito, revocava la detta autorizzazione.

Hanno resistito con separati ricorsi l’Argonauta srl e la Nicoli Ingegneria civile srl in concordato fallimentare.
Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso la società ricorrente si duole che il Tribunale non abbia adeguatamente valutato l’eccepita violazione dell’obbligo di notificare il ricorso ed il pedissequo decreto di fissazione di udienza entro cinque giorni dalla comunicazione.

Lamenta inoltre l’omessa pronuncia ordine alla eccepita carenza di interesse dei reclamanti.

La prima doglianza è infondata.

La L. Fall., art. 26, applicabile al caso di specie come risultante dalla novellazione del 2006, prevede che il reclamo avverso il provvedimento del giudice delegato debba essere proposto tramite deposito presso la cancelleria del tribunale e che, a seguito del decreto del presidente di fissazione dell’udienza di comparizione, deve essere notificato unitamente a detto decreto,a cura del reclamante al curatore ed agli altri interessati entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto, fermo restando che tra la data della notificazione e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di quindici giorni. Il termine di cinque giorni in esame deve ritenersi a carattere ordinatorio.

Le sezioni unite di questa Corte, chiamate a decidere, nel vigore della vecchia normativa fallimentare antecedente alla entrata in vigore della riforma del 2006, circa la natura perentoria o ordinatoria del termine fissato dal giudice L. Fall., ex art. 98, al creditore opponente per la notificazione del ricorso e del decreto al curatore, hanno ritenuto che detto termine avesse natura ordinatoria sicchè la sua inosservanza non determinava l’inammissibilità dell’opposizione, restando sanata, ex art. 156 cod. proc. civ., se alla nuova udienza fissata dal giudice delegato il curatore fosse comparso e avesse svolto l’attività cui la notifica del ricorso e del decreto era strumentale. (Cass sez. un. 25494/09). E’ stato a tale proposito osservato che la funzione del termine in questione è quello di consentire un lasso di tempo utile per esercitare il diritto di difesa e che, a tal fine, non è necessario che il termine abbia natura perentoria perchè, anche in conseguenza di un termine perentorio per la notifica, resterebbe il rischio che quest’ultimo possa essere eccessivamente breve o che comunque, al curatore stesso venga lasciato un tempo insufficiente tra la notificazione suddetta e l’udienza fissata dal giudice delegato. (Cass. sez. un 25494/09). Per cui in definitiva il termine interno per la notifica, dotato di tale qualifica non concorre agli adempimenti funzionali al promovimento del contraddittorio; e neppure si presta a contribuire alla risoluzione delle esigenze di difesa del curatore le quali continuano a dipendere strettamente (ed esclusivamente) dall’organizzazione dello spazio temporale minimo lasciato all’organo concorsuale per la propria costituzione. (Cass. sez. un. 25494/09).

Tale principio va applicato mutatis mutandis al caso di specie che differisce da quello fin qui esaminato relativo alla L. Fall., art. 98, vecchio testo per il solo fatto che, mentre ai sensi di quest’ultimo i due termini per la notifica e per il tempo che deve intercorrere tra la notifica e l’udienza sono fissati dal giudice, nella ipotesi in esame, prevista dalla L. Fall., art. 26, nuovo testo, i due termini sono fissati ex lege. In entrambi i casi, infatti, il contraddittorio viene comunque assicurato dalla avvenuta effettiva notifica del reclamo e del pedissequo decreto di fissazione di udienza mentre il diritto sostanziale di difesa, è assicurato dal rispetto del termine che impone che tra la notifica predetta e la data dell’udienza deve intercorrere un certo lasso di tempo non inferiore a quindici giorni come disposto dalla L. Fall., art. 26, comma 9 post novella; termine che nel caso di specie risulta rispettato. A tali considerazioni se ne devono aggiungere delle ulteriori che si svolgono tutte nel senso della infondatezza del ricorso. L’impugnazione in questione si svolge, infatti, secondo la procedura prevista per i procedimenti in Camera di consiglio sulla falsariga di quanto disposto dagli artt 706 e segg. c.p.c..

A tale proposito la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ritenuto che l’instaurazione del giudizio camerale è caratterizzato da due fasi distinte che si perfezionano, rispettivamente, la prima con il deposito del ricorso in cancelleria e la seconda con la notifica al convenuto del ricorso e del pedissequo decreto del presidente del tribunale, contenente la fissazione dell’udienza di comparizione e del termine per la notificazione del ricorso e del decreto. Pertanto, il rapporto cittadino – giudice si costituisce già con il deposito del ricorso, mentre la seconda fase è finalizzata esclusivamente alla costituzione del necessario contraddittorio fra le parti, con la conseguenza che l’omessa notifica o il mancato rispetto del termine fissato per la stessa non comportano, in difetto di espressa sanzione, la nullità del ricorso, già regolarmente proposto con il suo deposito in cancelleria (Cass. 18448/04; Cass. 507/03; Cass. 3837/06; Cass 22926/09), ma soltanto la necessità di assicurare l’effettiva instaurazione del contraddittorio che può realizzarsi, in applicazione dell’art. 162 cod. proc. civ., comma 1, mediante l’ordine di rinnovazione della notifica emesso dal giudice. (Cass. 12983/09), ovvero mediante la rinnovazione della stessa eseguita spontaneamente dalla parte. (Cass. 27450/05; Cass 6868/09; Cass 9528/09;Cass 15482/05; Cass 11360/99) oppure tramite la costituzione spontanea del resistente.

In tutti questi casi, infatti, viene raggiunto lo scopo che è quello di portare quest’ultimo a conoscenza del ricorso contro di lui proposto e viene quindi assicurata la regolarità del contraddittorio. Nel caso di specie, il mancato rispetto del termine di cinque giorni dalla data della comunicazione del decreto di fissazione di udienza entro cui effettuare la notifica, a prescindere dal suo carattere ordinatorio o meno, risulta comunque sanato dalla notifica effettuata dal reclamante prima di quindici giorni dalla data di fissazione dell’udienza, nonchè dalla costituzione in giudizio della controparte. Del tutto correttamente pertanto il tribunale ha proceduto all’esame del reclamo.

La seconda doglianza, relativa alla carenza di interesse dei reclamanti è inammissibile.

Non si rinviene, infatti, traccia di detta questione nel provvedimento impugnato nè la società ricorrente ha specificato in quale degli scritti difensivi aveva sollevato l’eccezione in questione onde la censura appare proposta per la prima volta in questa sede di legittimità. La doglianza è comunque infondata poichè l’attivo fallimentare è costituito da tutte le poste attive rientranti nel patrimonio del fallito e tra le dette poste rientrano certamente i crediti, per cui l’indebita cessione di una posta creditoria comporta senza dubbio una ingiustificata diminuzione del patrimonio del fallito con conseguente interesse a impugnare tale cessione sia da parte del fallito, che vede ridotta la massa attiva nonchè da parte dell’assuntore del concordato fallimentare che si vede sottratta una delle posta attive a lui cedute. Il ricorso va pertanto respinto.

La società ricorrente va di conseguenza condannata al pagamento in favore di ciascuno dei controricorrenti delle spese processuali liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condannarla ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in favore di ciascuno dei controricorrenti in Euro 3500,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

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