Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-07-2012, n. 12698

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 124/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Pordenone, in accoglimento della domanda proposta da M. F. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta al riconoscimento del computo nel trattamento in caso di infortunio delle indennità per il lavoro notturno, per il lavoro festivo e per i servizi viaggianti, condannava la società al pagamento della somma di Euro 1.179.25 oltre accessori a titolo di differenze retributive dovute per il periodo di infortunio dal 14 aprile al 20 luglio 2002, compensando le spese processuali.

La società proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con il rigetto della domanda di controparte.

Il M. si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello incidentale contro I"avvenuta compensazione delle spese.

La Corte d’Appello di Trieste, con sentenza pubblicata il 23-3-2006, confermava la pronuncia di primo grado, anche sulle spese.

In sintesi la Corte territoriale rilevava la diversità letterale e sostanziale della nozione contrattuale ("retribuzione giornaliera normalmente spettante") del trattamento previsto in caso di infortunio (art. 48 del ccnl) rispetto a quella contemplata per il trattamento della malattia ("intera retribuzione fissa" – art. 40).

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a.. Poste Italiane ha proposto ricorso con un unico motivo.

Il M. ha resistito con controricorso.

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Preliminarmente va dichiarata la improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

Come è stato affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, "l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato ne senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per cassazione ai sensi dell’art. 420 bis c.p.c., comma 2, la sentenza che abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di Cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale" (v. Cass. S.U. 23-9-2010 n. 20075, v. anche da ultimo Cass. 15-10-2010 n. 21358).

In particolare le Sezioni Unite hanno anche precisato che "l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione de fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 cod. proc. civ., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi." (v. Cass. S.U. 3-11-2011 n. 22726; sulla necessità della indicazione della sede in cui Tatto o il documento è rinvenibile, cfr. tra le altre Cass. S.U., 25-3-2010 n. 7161).

Orbene, nella fattispecie, nel ricorso non viene indicato in alcun modo se sia stato depositato (in tutto o in parte) il ccnl del 2001 sul quale il ricorso stesso si fonda e tanto meno viene indicata una qualche collocazione del detto contratto collettivo tra gli atti dei "fascicoli di parte", genericamente richiamati in calce.

Tanto basta per dichiarare la improcedibilità del ricorso.

Infine, in ragione della soccombenza, la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore del M., con attribuzione in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al M. le spese liquidate in Euro 40,00 per esborsi e Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., con attribuzione all’avv. Giorgio Guarnaschelli.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-08-2012, n. 14715

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 22-5-2002 C.G. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Alessandria R. C. esponendo di essere succeduta alla madre M. C., a sua volta succeduta al proprio coniuge S. R. il quale, pochi giorni prima di morire, aveva emesso due assegni bancari del complessivo importo di L. 34.000.000 a favore del nipote R.C.; tanto premesso, chiedeva dichiararsi la nullità delle donazioni delle somme portate dai due assegni per difetto di forma solenne e la condanna del convenuto alla restituzione di tale importo, pari ad Euro 17.559,53 oltre interessi.

Si costituiva in giudizio il convenuto negando che la dazione dei due assegni avesse avuto natura di donazione, perchè il primo era stato utilizzato per il pagamento di spese e competenze notarili in relazione ad un atto pubblico stipulato da R.S., mentre con l’altro quest’ultimo aveva adempiuto ad un’obbligazione naturale, essendo sempre stato seguito dal convenuto nei suoi affari ed assistito durante la degenza in ospedale.

Con memoria ex art. 180 c.p.c., comma 2 depositata il 2-11-2002 il convenuto rilevava che C.M., dante causa dell’attrice, non era erede di R.S. il quale, con testamento olografo, aveva istituito eredi i propri nipoti.

Con memoria depositata il 19-12-2002 l’attrice chiedeva che R. C. venisse condannato a restituire alla massa ereditaria la somma di Euro 17.559,53 indebitamente percepita o, in subordine, che la stessa venisse restituita all’attrice ad integrazione della quota di legittima della propria madre.

Con sentenza del 13-1-2004 il Tribunale adito dichiarava inammissibili tutte le domande attrici.

Proposta impugnazione da parte di C.M.G. cui resisteva R.C. la Corte di Appello di Torino con sentenza del 6-2-2006 ha rigettato il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza C.M.G. ha proposto un ricorso affidato a due motivi illustrato successivamente da una memoria cui R.C. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 588 c.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver escluso che la dante causa dell’esponente fosse stata chiamata all’eredità del coniuge R.S., con le relative conseguenze in punto inammissibilità delle domande di nullità delle suddette donazioni disposte dal "de cuius".

C.G. sostiene che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che l’assegnazione di singoli immobili ai nipoti doveva intendersi come distribuzione del proprio patrimonio da parte del testatore e quindi come istituzione di eredi "ex re certa"; invero l’elencazione dei beni di cui al testamento del 24-2-1968 non esauriva la massa dei beni di proprietà di R.S., restandone esclusi, come riconosciuto dallo stesso giudice di appello, i beni mobili e le somme esistenti nei depositi bancari; in proposito apoditticamente la sentenza impugnata ha ritenuto implicita la volontà del testatore di attribuire tale denaro ai singoli eredi.

La ricorrente ritiene poi irrilevante l’espressione usata dallo stesso testatore in una successiva scheda del 30-7-1972 in cui si leggeva tra l’altro: "Mia moglie esenta di tutti i diritti essendo già avuto da me ricevuto diversi alloggi e negozi"; infatti tale disposizione, se intesa quale clausola di diseredazione, sarebbe priva di effetti per il nostro ordinamento, ed in ogni caso da essa non potrebbe desumersi la volontà di escludere la moglie dalla successione in tutti i beni del testatore, in quanto riferita all’esclusione di ogni diritto su quel solo bene indicato nella scheda, e non su tutti quelli appartenenti al "de cuius".

La ricorrente rileva che la Corte territoriale avrebbe dovuto estendere la ricerca della volontà del testatore anche ad elementi estrinseci alla scheda testamentaria, quale la mancata assegnazione di un intero immobile sito in (OMISSIS); con riferimento a tale bene, mentre era ovvio che di esso non vi fosse traccia ne testamento del 1968, essendo stato acquistato nel 1981, era invece rilevante che non fosse stato assegnato ad alcun parente;

detta circostanza, così come la mancata assegnazione di consistenti somme di danaro esistenti sui conti bancari intestati al testatore, dimostra come l’attribuzione da parte di quest’ultimo di singoli beni e non di quote del proprio patrimonio non possa intendersi quale istituzione di erede, lasciando quindi concorrere la successione testamentaria con quella legittima cui il coniuge partecipa, per i beni non assegnati, in virtù dell’art. 583 c.c..

La censura è infondata.

La sentenza impugnata ha affermato che dalla lettura del testamento olografo del 24-2-1968 emergeva inequivoca la volontà del testatore di attribuire ai nipoti "pro quota" l’intero patrimonio, e quindi di istituirli eredi e non di attribuire loro singoli beni a titolo di legato; in tal senso ha evidenziato che nella scheda testamentaria tra i beni destinati ai nipoti erano indicati tutti quelli (ad eccezione del denaro verosimilmente depositato in banca e degli oggetti personali) allora appartenenti al "de cuius", in particolare gli immobili ed i titoli, ha aggiunto che era stata disposta la suddivisione dei titoli tra tutti i nipoti, e l’assegnazione dell’alloggio in (OMISSIS) in parte uguali sempre ai nipoti; ha poi rilevato che l’indicazione di ciascun nipote come assegnatario di uno o più immobili appariva finalizzata a compiere la divisione tra loro di detti beni, e che da essa non poteva essere desunta una volontà di effettuare delle disposizioni a titolo particolare, ma quella di attribuire tali beni come quote del patrimonio; l’omessa menzione dell’immobile di (OMISSIS) si spiegava poi con il fatto che esso era stato acquistato il 25-11-1981, quindi in epoca successiva al suddetto testamento olografo, mentre il mancato riferimento al denaro, verosimilmente depositato sui conti correnti bancari, era spiegabile con l’implicita volontà del testatore di attribuire lo stesso in proprietà comune ai nipoti istituiti eredi.

La Corte territoriale ha quindi ritenuto che l’espressione letterale con cui si apriva la scheda testamentaria del 24-2-1968 "Dichiaro che alla mia morte chiamo eredi i nipoti" rifletteva il contenuto oggettivo delle disposizioni e ne confermava il significato di attribuzione del patrimonio ai nipoti a titolo universale.

Il giudice di appello ha poi sostenuto che nelle successive schede testamentarie R.S., limitandosi ad attribuire determinati beni a taluno degli eredi o ad altri soggetti, non aveva revocato espressamente o implicitamente l’istituzione quali eredi dei nipoti, nè aveva manifestato la volontà che con la delazione testamentaria dovesse concorrere quella legittima; anzi la volontà del testatore di destinare il suo intero patrimonio alla sua morte ai propri nipoti (ad eccezione di alcuni legati ad altri soggetti) era confermata dalla precisazione contenuta nella scheda testamentaria del 30-7-1972 secondo cui nessun diritto spettava alla moglie in quanto già adeguatamente beneficiata in vita mediante l’attribuzione di diversi alloggi e negozi.

Orbene la sopra enunciata interpretazione del testamento olografo del 24-2-1968 resa dalla sentenza impugnata è frutto di una attenta ed esauriente valorizzazione di elementi di ordine sia letterale (rilevante in tal senso il richiamo alla premessa della scheda testamentaria in oggetto, laddove i nipoti vengono espressamente qualificati eredi) sia logico e sistematico, avuto riguardo all’oggetto della disposizione testamentaria ora menzionata, riguardante sostanzialmente tutti i beni allora appartenenti a R.S., nonchè al coordinamento di tale scheda testamentaria con quelle successive, in particolare con quella del 30- 7-1972, laddove è evidente che il riferimento agli immobili già attribuiti alla moglie in vita spiega la volontà del testatore di escluderla dall’attribuzione di altri beni "mortis causa".

Pertanto la volontà di R.S. di istituire soltanto i nipoti quali eredi delle sue sostanze emerge, nell’interpretazione offerta dal giudice di appello, non soltanto dall’aver lasciato a ciascuno di detti nipoti i suoi beni come "institutio ex re certa", avendo con tali attribuzioni esaurito il proprio patrimonio, ma anche dall’inequivocabile riferimento alla volontà di chiamare i nipoti "eredi", cosicchè tutti gli elementi valorizzati convergono nel legittimare il convincimento offerto dalla Corte territoriale; si è quindi in presenza di un accertamento di fatto sorretto da adeguata e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede, dove del resto la ricorrente, a sostegno del suo assunto, propone argomentazioni già esaurientemente vagliate dalla sentenza impugnata senza sollevare ulteriori e specifici spunti di censura al riguardo.

Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 2943 c.c. nonchè vizio di motivazione, afferma che erroneamente la Corte territoriale ha escluso che l’azione proposta davanti al Tribunale di (OMISSIS) da C.M. – con la quale quest’ultima, asserendo di essere erede legittima del coniuge R.S., aveva chiesto la declaratoria di nullità o, in subordine, la riduzione di alcune donazioni compiute dal "de cuius" lesive della sua quota di riserva – potesse far ritenere sussistente un interesse ad agire dell’esponente nel presente giudizio in ordine all’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie, ritenuta prescritta per l’avvenuto decorso del termine decennale decorrente dal decesso di S. R., avvenuto il (OMISSIS); C.M., premesso di essere subentrata alla propria dante causa nel suddetto giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Alessandria, afferma che il diritto fatto valere con l’azione di riduzione, riguardi essa delle donazioni ovvero delle disposizioni testamentarie, è sempre lo stesso, ovvero quello di ricevere la quota indisponibile del patrimonio del "de cuius", riservata dalla legge in favore dei parenti più prossimi; la proposizione dell’azione di riduzione delle donazioni pendente dinanzi al Tribunale di Alessandria aveva quindi avuto l’effetto di interrompere, con effetti permanenti, la prescrizione del diritto di esperire l’azione di riduzione anche per le disposizioni testamentarie, rendendo pertanto possibile l’acquisto della qualifica di erede.

La censura è infondata.

Il giudice di appello, premesso che R.S. era deceduto il (OMISSIS), ha osservato che l’eventuale azione di riduzione delle disposizione testamentarie lesive dei diritti di C. M. avrebbe dovuto essere proposta entro il termine, ormai decorso, di dieci anni dalla sua morte (e non interrotto dall’esperimento di azioni giudiziali di altra natura); pertanto non poteva essere ravvisato un interesse dell’appellante ad ottenere una pronuncia di nullità delle donazioni per cui è causa, non potendo più essere riconosciuta la qualità di legittimaria pretermessa alla sua dante causa (qualità peraltro non allegata nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado).

La Corte territoriale ha poi aggiunto, quanto all’azione di riduzione introdotta da C.M. dinanzi al Tribunale di Alessandria con atto di citazione notificato il 4-8-1992, che l’attrice, asserendo di essere erede legittima del marito S. R., aveva chiesto in quella sede la dichiarazione della nullità o, in subordine, la riduzione di alcune donazioni compiute dal "de cuius" lesive della sua quota di riserva; pertanto in quella causa non avrebbe mai potuto essere accertata la qualità di legittimaria totalmente pretermessa di C.M., altre essendo le domande proposte in quella sede sulla base del diverso presupposto dell’asserito operare della successione legittima; quindi l’appellante non avrebbe potuto ottenere alcun beneficio dalla declaratoria di nullità delle donazioni per cui è causa, considerato che le relative somme, qualora fosse stata dichiarata tale nullità, sarebbero andate ad accrescere la massa ereditaria sulla quale la dante causa di C.G. non aveva alcun diritto, non essendo erede di R.S..

Tali argomentazioni sono condivisibili e sono quindi immuni dai profili di censura sollevati dalla ricorrente.

Infatti, una volta accertato che nell’altro giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Alessandria la dante causa dell’attuale ricorrente C.M. non aveva proposto alcuna azione di riduzione di disposizioni testamentarie, avendo chiesto la nullità o in subordine la riduzione di alcune donazioni poste in essere da R.S. sulla diversa premessa dell’operatività della successione legittima (avendo anzi espressamente dedotto nell’atto di citazione che non era stato reperito alcun testamento riferibile al defunto), ne consegue che alcun rilievo tale vicenda poteva dispiegare nel presente giudizio, laddove C.G. C., onde far valere la nullità delle donazioni in questione quale avente causa da C.M., avrebbe dovuto provare, ai fini della sussistenza del suo interesse all’accoglimento di tale domanda, la qualità di erede di R.S. in capo a quest’ultima, qualità di erede che, in presenza di un testamento che l’aveva totalmente estromessa quale legittimarla, esigeva necessariamente il positivo esperimento dell’azione di riduzione delle disposizioni testamentarie, azione invece non proposta nel richiamato giudizio dinanzi al Tribunale di Alessandria.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3.000,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna Sent. n. 94/2009

SEZIONE SECONDA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1629/1997 proposto dalla sig.ra Antonietta Cambera rappresentata e difesa per procura a margine dell’atto introduttivo del giudizio dall’avv. Graziella Ardu ed elettivamente domiciliata in Cagliari, via Pessina n. 97, presso lo studio dell’avv. Ettore Atzori,

contro

la Provincia di Oristano, in persona del Presidente in carica, non costituita in giudizio,

e nei confronti di

Raimondo Cannas, Annalisa Iacuzzi e Alberto Cherchi, non costituiti in giudizio;

per l’annullamento

– della decisione del Presidente della Provincia di Oristano in data 25 giugno 1997, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso la deliberazione della giunta provinciale n. 458 del 23 maggio 1997 recante oggetto “Attribuzione dell’indennità di area direttiva ex art. 36 del CCNL”;

– della stessa deliberazione della giunta provinciale n. 458 del 23 maggio 1997 recante oggetto “Attribuzione dell’indennità di area direttiva ex art. 36 del CCNL”;

di ogni altro atto ad essi presupposto, conseguente o comunque connesso;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore il Consigliere Tito Aru;

Udito alla pubblica udienza del 21 gennaio 2009 l’avv. Graziella Ardu per la ricorrente;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

Con il ricorso in esame, notificato l’8 settembre 1997 e depositato il successivo giorno 22, la ricorrente, dipendente della Provincia di Oristano, inquadrata nell’ottava qualifica funzionale, espone quanto segue.

Con delibera n. 458 del 23 maggio 1997 la Giunta provinciale individuava, in relazione all’anno 1996, le posizioni organizzative e le funzioni a cui corrispondere l’indennità di area direttiva di cui all’art. 36 del CCNL, stabilendo in lire 1.400.000 l’importo spettante alle ottave qualifiche.

Da tale individuazione restava esclusa la posizione ricoperta dalla sig.ra Cambera (Responsabile del Servizio controllo inquinamento atmosferico) che pure, a suo avviso, rivestirebbe – sia sotto il profilo del livello di responsabilità che sotto il profilo della complessità delle competenze – tutte le caratteristiche necessarie all’attribuzione del beneficio economico in questione.

Avverso tale deliberazione, la ricorrente, in data 2 giugno 1997, proponeva ricorso al presidente dell’Amministrazione provinciale che però, col provvedimento impugnato, riteneva infondati i rilievi della sig.ra Cambera.

Avverso tale decisione sfavorevole, nonché avverso la stessa deliberazione di giunta n. 458/1997, la sig.ra Cambera ha proposto il ricorso in esame con il quale, contestando la violazione degli artt. 35 e 36 del CCNL e il difetto di motivazione, ha chiesto l’annullamento degli atti impugnati, con vittoria delle spese.

La Provincia di Oristano non si è costituita in giudizio.

Alla pubblica udienza del 21 gennaio 2009, sentito il difensore della ricorrente, la causa è stata posta in decisione.

D I R I T T O

La ricorrente sostiene che l’amministrazione provinciale avrebbe utilizzato, ai fini dell’attribuzione dell’indennità per cui è causa, criteri diversi da quelli tassativamente previsti dall’art. 35, comma 2°, richiamato dall’art. 36 del CCNL, omettendo altresì di esplicitare con adeguata motivazione le modalità di valutazione seguite.

A suo avviso, infatti, la posizione rivestita (Responsabile dl Servizio Controllo inquinamento atmosferico), connotata dall’elevato grado di complessità e responsabilità evidenziato nell’atto introduttivo del giudizio, avrebbe dovuto comportare, in applicazione dei criteri di cui all’art. 35 del CCNL, l’attribuzione anche in suo favore dell’indennità di area direttiva.

Il ricorso è infondato.

Nella delibera n. 458 del 23 maggio 1997 la Giunta provinciale di Oristano, in sede di individuazione delle posizioni organizzative e delle funzioni professionali specialistiche e di responsabilità cui collegare l’indennità in questione, dopo aver accertato disponibile la somma complessiva di lire 15.312.930, ha espressamente richiamato (ed applicato) i criteri individuati dall’art. 35 del CCNL., ai sensi dei quali si dovevano considerare:

1. il livello di responsabilit
2. la complessità delle competenze attribuite
3. la specializzazione richiesta dai compiti affidati
4. la responsabilità di procedimento ai sensi della legge n. 241/1990

Al fine di selezionare ulteriormente le posizioni cui attribuire l’indennità, la giunta ha ritenuto altresì di valorizzare gli “…uffici intersettoriali che costituiscono un indispensabile supporto per l’intera struttura organizzativa”.

Sostiene in ricorso la sig. Cambera che tale ulteriore criterio non poteva essere utilizzato per l’attribuzione dell’indennità perché non previsto dal CCNL.

La ricorrente, cioè, non contesta che i beneficiari dell’indennità fossero tutti in possesso dei requisiti di professionalità previsti dall’art. 35 CCNL, ma si duole del fatto che, nell’ambito delle posizioni così individuate, siano stati beneficiati soltanto i titolari di posizioni di supporto intersettoriale.

Ritiene sul punto il Collegio che, ferma restando l’applicazione dei criteri previsti dal CCNL ai fini dell’individuazione delle posizioni astrattamente meritevoli del beneficio economico in questione, l’amministrazione ben potesse, nell’esercizio dei poteri discrezionali discendenti dalla sua insindacabile potestà organizzatoria, e tenuto conto della natura premiale del beneficio in questione, ulteriormente specificare, sulla base di criteri obiettivi e privi di connotazioni di illogicità od irragionevolezza manifesta, le posizioni interne all’apparato amministrativo meritevoli di tale riconoscimento.

I criteri di cui all’art. 35, comma 2°, del CCNL, cioè, costituivano dei criteri minimi ai fini dell’individuazione delle posizioni da considerare ai fini dell’attribuzione del beneficio, ma non precludevano il potere dell’Amministrazione di calibrare ulteriormente la scelta ricorrendo a criteri ulteriormente selettivi.

Nel caso di specie questo quid pluris è stato individuato nell’aver operato l’ufficio come supporto per l’intera struttura o, perlomeno, per una pluralità di servizi amministrativi.

Non vi è stata, dunque, alcuna valutazione sfavorevole dell’operato della ricorrente, né una deminutio del valore amministrativo (sul piano della complessità e delle conseguenti responsabilità) della posizione ricoperta dalla sig.ra Cambera.

Più semplicemente, dovendosi operare una scelta, si è ritenuto di attribuire l’indennità di area direttiva a funzionari responsabili di servizi ritenuti, in relazione all’anzidetto parametro oggettivo di valutazione, più meritevoli dell’indennità in questione.

Di qui, non ravvisandosi profili di illegittimità nella determinazione provinciale impugnata e non risultando contestata l’applicazione dell’anzidetto criterio, l’infondatezza del ricorso.

La mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata esime il Collegio dalla pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA SARDEGNA

SEZIONE SECONDA

respinge il ricorso in epigrafe.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Cagliari, nella camera di consiglio, il giorno 21 gennaio 2009 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con l’intervento dei Signori Magistrati:

– Rosa Panunzio, Presidente,

– Francesco Scano, Consigliere,

– Tito Aru, Consigliere, estensore.

Depositata in segreteria oggi 30/01/2009

Il Segretario Generale

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Corte Costituzionale, Sentenza n. 20 del 2006 ESPROPRIAZIONE PER P.U.

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Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 24 marzo 2003, e depositato il 1° aprile 2003, la Provincia autonoma di Trento ha chiesto a questa Corte di dichiarare l’illegittimità dell’art. 1, comma 1, lettera d) e lettera h), del decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 302 (Modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), per violazione degli artt. 8 e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione e in particolare dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, nonché dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, e inoltre del principio di certezza del diritto.

La Provincia ricorrente lamenta che lo Stato, disciplinando, con la norma impugnata, le competenze regionali in materia espropriativa, abbia previsto l’applicabilità diretta delle norme statali anche per le Province autonome.

Infatti, da un lato, l’art. 1, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 302 del 2002, che ha modificato l’art. 5 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), stabilisce che le disposizioni del t.u. «operano direttamente nei riguardi delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano finché esse non esercitano la propria potestà legislativa in materia», e che «la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e Bolzano adeguano la propria legislazione ai sensi degli articoli 4 e 8 dello statuto di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e dell’articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266»; dall’altro, la lettera h), modificando l’art. 11 del predetto t.u. sulle espropriazioni, dispone che «al proprietario del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all’esproprio va inviato l’avviso dell’avvio del procedimento», e precisa che «l’avviso di avvio del procedimento è comunicato personalmente agli interessati alle singole opere previste dal piano o dal progetto» e che qualora «il numero dei destinatari sia superiore a cinquanta, la comunicazione è effettuata mediante pubblico avviso, da affiggere all’albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo».

La Provincia rileva che la prima delle due disposizioni mantiene la clausola di salvaguardia già contenuta nell’originario testo dell’art. 5 del d.P.R. n. 327 del 2001, relativa alla speciale autonomia del Trentino-Alto Adige, ma al tempo stesso sancisce la diretta applicabilità delle norme statali anche alla Provincia di Trento, aggiungendo che sul nuovo testo sono possibili varie interpretazioni, alcune delle quali lesive delle prerogative legislative provinciali.

La seconda delle disposizioni denunciate contrasta con la potestà legislativa esclusiva della Provincia in materia di organizzazione dei propri uffici (art. 8, numero 1, dello statuto); e comunque, prevedendo l’art. 11, comma 2, del t.u. sulle espropriazioni (come modificato dalla norma in esame), uno specifico comportamento della Provincia autonoma, si ravvisa una violazione dell’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992.

2.– Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale rammenta che con il decreto legislativo n. 302 del 2002 sono state introdotte modifiche e integrazioni al t.u. espropriazioni (d.P.R. n. 327 del 2001), onde assicurare il coordinamento con la legge 21 dicembre 2001, n. 443 (legge obiettivo), in attuazione della delega di cui all’art. 5, penultimo comma, della legge 10 agosto 2002, n. 166.

Riguardo all’art. 1, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 302 del 2002, modificativo dell’art. 11 del t.u. sulle espropriazioni, esso mira a favorire la partecipazione dei cittadini al procedimento, ed è giustificato dalla potestà normativa statale riconosciuta non solo dalla lettera m) dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, ma anche dalla successiva lettera r) (coordinamento informativo e informatica), che non tollera differenti applicazioni a seconda della diversa residenza dei cittadini e della diversa costituzione dei beni oggetto dei diritti da tutelare: la previsione della pubblicazione di un avviso su un sito internet non impone un comportamento alla Provincia, ma prevede solo che ove quello strumento esista, esso sia utilizzato per assicurare ai cittadini una più efficace tutela dei propri diritti. La questione è dunque infondata.

3.– Nell’imminenza dell’udienza pubblica la Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria, con la quale, riguardo alla prima questione, chiede dichiararsi la cessazione materia del contendere, per avere la norma impugnata subito un ritocco, nel senso auspicato da essa Provincia, come da comunicato del 28 luglio 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 173 del 2003); riguardo alla seconda, sottolinea che sostanzialmente lo Stato non contesta che l’art. 11 t.u. sulle espropriazioni abbia imposto un comportamento alla Provincia.

Replica alle giustificazioni addotte dall’Avvocatura, assumendo che la previsione non è riconducibile ai livelli minimi delle prestazioni essenziali in materia di diritti, trattandosi di una semplice modalità di comunicazione, ulteriore rispetto ad altre forme, e dunque di sicuro non essenziale.

Non si tratterebbe neppure di coordinamento informatico, posto che questo è necessario per assicurare comunanza di linguaggi, procedure e standard omogenei, e permettere la comunicabilità tra sistemi informatici della pubblica amministrazione.

Resta comunque ferma la censura riferita all’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, per la diretta applicabilità alla Provincia, con imposizione di specifico comportamento.

Peraltro, si aggiunge nella memoria, la previsione di pubblicazione informatica dell’avvio del procedimento espropriativo non è idonea a concretare uno dei limiti alla potestà legislativa primaria, neppure di quelli esistenti prima della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e che l’art. 29 della legge 7 agosto 1990, n. 241, prevede ora che le Regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, regolano la materia (del procedimento amministrativo) nel rispetto delle garanzie del cittadino, come definite dai principi stabiliti dalla stessa legge.
Considerato in diritto

1.– La Provincia autonoma di Trento dubita della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 302 (Modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), laddove prevede la diretta applicabilità del nuovo t.u. in materia di espropriazione per pubblica utilità anche alla Provincia autonoma di Trento, finché essa non si adegui ai principi e alle norme fondamentali di riforma economico-sociale di cui al t.u., per violazione degli artt. 8, numero 22, e 16, del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), dell’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), e dell’art. 117, sesto comma, della Costituzione, per l’interferenza di norme statali, legislative e regolamentari, in materia attribuita alla competenza “separata e riservata” della Provincia.

La stessa Provincia dubita altresì della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 302 del 2002, laddove, regolando le forme di pubblicità del procedimento espropriativo, stabilisce che qualora il numero dei destinatari della comunicazione di avvio del procedimento espropriativo sia superiore a cinquanta, questa è effettuata mediante pubblico avviso, da affiggere all’albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, per violazione degli artt. 8, numero 1, e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e dell’art. 2 del decreto legislativo16 marzo 1992, n. 266, per l’interferenza di norme statali nell’autonomia organizzativa e nella potestà amministrativa della Provincia.

2.– In ordine alla prima delle questioni di legittimità costituzionale proposte deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

L’art. 5, comma 3, prima parte, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 302 del 2002 stabiliva testualmente che «le disposizioni del testo unico operano direttamente nei riguardi delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano fino a quando esse non esercitano la propria potestà legislativa in materia, nel rispetto delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2».

Come da comunicato del 28 luglio 2003 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 28 luglio 2003, n. 173), la norma è stata rettificata con la soppressione delle parole «e delle Province autonome di Trento e Bolzano», con ciò eliminando il dubbio della Provincia ricorrente.

La rettifica dell’espressione normativa, con relativa pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, è legittima, in quanto consentita dall’art. 15 del d.P.R. 14 marzo 1986, n. 217 (Approvazione del regolamento di esecuzione del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sulla emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana), senza che rilevi se si sia trattato di un errore materiale o di un originario fraintendimento del legislatore.

3.– Nel proporre la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 302 del 2002, la ricorrente si limita a dedurre che «la norma statale interferisce nella autonomia organizzativa della Provincia autonoma di Trento, violando la potestà legislativa di cui all’art. 8, n. 1, dello statuto e, nella misura in cui prescrive un’attività amministrativa, la relativa potestà amministrativa» e che «in ogni caso sarebbe violato anche l’art. 2 del decreto legislativo n. 266/92».

Nelle questioni di legittimità costituzionale, tanto se proposte in via incidentale (art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87), quanto se sollevate in via principale (art. 34, secondo comma, della stessa legge) è requisito imprescindibile di ammissibilità una minima sufficiente determinazione del parametro rispetto al quale la questione stessa è sollevata (sentenza n. 87 del 1998).

Nella specie la questione è inammissibile per l’assenza di qualsiasi motivazione in ordine ai parametri costituzionali invocati dalla ricorrente (sentenza n. 335 del 2005), senza che tale originaria inammissibilità possa ritenersi superata dalle argomentazioni contenute nella memoria predisposta per l’udienza.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 27 dicembre 2002, n. 302 (Modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), sollevata, in riferimento agli artt. 8, numero 1, e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige) ed all’art. 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento), dalla Provincia autonoma di Trento con il ricorso in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera d), del citato decreto legislativo n. 302 del 2002.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 gennaio 2006.

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2006.

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