Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-11-2011) 28-11-2011, n. 44002

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 9 luglio 2010 la Corte di appello di Torino ha confermato la condanna di L.M. alla pena di mesi sei di reclusione, così ridotta per il rito abbreviato prescelto, irrogatagli dal Tribunale di Torino, con sentenza del 22 dicembre 2009, per il reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-quater.

Al prevenuto, già destinatario di due precedenti ordini del Questore di Torino notificatigli in data 8/10/2009 e 16/01/2009, era stato contestato di aver continuato a permanere nel territorio dello Stato, senza giustificato motivo, in violazione di nuovo ordine del Questore di Torino di lasciare il territorio nazionale entro il termine di cinque giorni dal medesimo provvedimento, notificatogli il 20 novembre 2009, essendo ancora presente in Torino, il 6 dicembre 2009. 2. Avverso la predetta sentenza, ha interposto ricorso a questa Corte di cassazione il L.M. personalmente, deducendo la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione, e il suo difensore, avvocato Loredana Melis del foro di Torino, lamentando l’inosservanza di legge per la mancata assoluzione del prevenuto dal reato ascrittogli e, altresì, l’eccessiva entità della pena inflitta e il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Motivi della decisione

3. Va subito osservato che la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-quater, che punisce la condotta di ingiustificata inosservanza del reiterato ordine di allontanamento del questore nei confronti di cittadino straniero, già destinatario di provvedimento di espulsione, ancorchè posta in essere prima della scadenza dei termini, entro il 24 dicembre 2010, per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, deve considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28/04/2011 (nell’ambito del processo E.D., C- 61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità della norma incriminatrice interna con la predetta normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitici criminis, con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretazione estensiva – alla previsione dell’art. 673 cod. proc. pen. (c.f.r.

Sez. 1, 28/04/2011, n. 22105 e 29/04/2011, n. 20130).

4. Il D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni in L. 2 agosto 2011, n. 129 – recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione alla direttiva suindicata sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva sul rimpatrio di cittadini di paesi terzi irregolari – ha novato la fattispecie (sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitio criminis). La nuova formulazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14, comma 5-quater, introdotta con l’intervento normativo suindicato, non realizza infatti una continuità normativa con la precedente disposizione, non soltanto per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, ma anche per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia della condotta necessaria ad integrare l’illecito delineato. Sul punto basta ricordare che, oggi, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (Centro di identificazione ed espulsione, abbreviato in CIE). Il D.L. citato ha istituito, dunque, una nuova incriminazione, applicabile solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.

L’intervenuta abolitio criminis impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-11-2012) 23-01-2013, n. 3354

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Svolgimento del processo

D.M.R. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania, in data 30 settembre 2011, con la quale è stata confermata la sentenza di condanna emessa in data 9 giugno 2004 dal Tribunale di Catania, sezione distaccata di Adrano nei confronti del ricorrente in ordine al reato di ricettazione e chiedendone l’annullamento, lamenta la carenza di motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi essenziali del reato, e la circostanza che non sia stata riconosciuta la qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 648 cpv. c.p. e non siano state concesse le circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Osserva la Corte che Con il ricorso, in apparenza si deducono vizi della motivazione ma, in realtà, si prospetta una valutazione delle prove diversa e più favorevole al ricorrente, ciò che non è consentito nel giudizio di legittimità; si prospettano, cioè, questioni di mero fatto che implicano una valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una motivazione esaustiva, immune da vizi di logica, coerente con i principi di diritto enunciati da questa Corte, come quella del provvedimento impugnato che, pertanto, supera il vaglio di legittimità. (Cass. sez. 4, 2.12.2003, Elia ed altri, 229369; SU n 12/2000, Jakani, rv 216260). Deve sottolinearsi in particolare che la Corte di merito ha vagliato criticamente tutti i punti in base ai quali è stata ritenuta l’attendibilità del coimputato C.A., e la piena consapevolezza del ricorrente in ordine alla provenienza delittuosa del bene, stante l’accertata qualità di socio di fatto del centro di autodemolizione; anche le valutazioni concernenti l’impossibilità di ritenere applicabile alla fattispecie l’ipotesi delittuosa configurata dall’art. 648 cpv. c.p. e la concessione delle circostanze attenuanti generiche appaiono esenti da censure logico giuridiche.

Il ragionamento operato dai giudici di merito appare saldamente ancorato alle risultanze processuali (oltre le dichiarazioni del coimputato si veda la sicura provenienza delittuosa del propulsore rinvenuto presso l’autodemolizione e la titolarità della ditta di fatto riconducibile anche al ricorrente, la consapevolezza di tale provenienza, l’assenza di credibili e verificabili indicazioni della stessa provenienza).

Nel ricorso pertanto si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti.

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve dichiararsi inammissibile.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-01-2013) 19-04-2013, n. 18210

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Svolgimento del processo

1. S.A. impugna la sentenza della Corte d’appello di Venezia che ha confermato la pronuncia di condanna del giudice di primo grado per avere ripetutamente in (OMISSIS) venduto eroina a Sc.Va. nonchè detenuto a fine di spaccio eroina che cedeva, materialmente somministrandola per via endovenosa, a J. G. alla presenza di Sc.Va. almeno in tre occasioni e, inoltre, per avere ceduto eroina e cocaina ad D.A. per Euro 50,00 al grammo e alcune dosi di eroina a Is.Va. e C.L. sempre alla presenza di Sc.Va..

A fronte dei motivi d’appello volti a contestare la responsabilità di S. per l’attività di spaccio sulla sola testimonianza di Sc.Va. e, peraltro, per il riconoscimento da quest’ultima solo in fotografia nel corso delle indagini, la Corte d’appello riconferma la ricostruzione della vicenda nel senso descritto dal giudice di primo grado, condividendo che il riconoscimento fotografico effettuato dalla Sc. e confermato all’ufficiale di polizia giudiziaria Ca.Mi. non rendeva necessaria la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale volta a effettuare un formale ricognizione e l’assunzione del teste I.G..

Nella sentenza impugnata si precisa che S., dopo essere stato riconosciuto in fotografia da Sc.Va., sarebbe stato individuato personalmente in aula dinanzi al Tribunale, dove era presente.

Il giudice d’appello condivide altresì che la pluralità delle cessioni non consente di riconoscere l’attenuante prevista dall’art. 73, comma 5. Mentre, a differenza da quanto ritenuto dal Tribunale, il giudice d’appello ha ridimensionato la pena inflitta con l’applicazione delle attenuanti generiche, negate dal giudice di primo grado.

2. La difesa del ricorrente deduce:

– vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà, manifesta illogicità in ordine alla richiesta di rinnovazione dell’istruttoria per effettuare un formale riconoscimento dell’imputato.

Il ricorrente contesta quanto affermato dalla sentenza impugnata circa il riconoscimento avvenuto in aula, circostanza non verificatasi anche perchè l’imputato è stato contumace nel giudizio di primo grado. In base a tale insussistente premessa, il giudice d’appello a ritenuto di procedere alla ricognizione formale.

Tento conto di quanto accaduto sarebbe invece stato necessario procedere alla ricognizione per la corretta individuazione dell’imputato.

– Vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà e carenza in ordine alla necessità di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale mediante l’audizione di I.G., incombente istruttorio sul quale il giudice d’appello si è espresso con un mero diniego.

L’audizione della I., ad avviso del ricorrente sarebbe stata utile, per avere ulteriori elementi per valutare la sussistenza della grave condotta ascritta a S..

– Vizio di motivazione, sotto il profilo della contraddittorietà e carenza in ordine alta ritenuta credibilità del teste Sc. V., poichè la Corte d’appello si è espressa in termini assertivi.

Con i motivi d’appello, la difesa aveva rappresentato le ragioni per le quali la Sc. ebbe a decidere di colla bora re con gli organi di polizia rappresentati dall’esigenza di avere un aiuto per entrare in comunità senza dimostrare poi di avere un reale interesse.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

Al di là del mero refuso da ascriversi a una imprecisa riproduzione in sentenza di quanto riportato nel verbale di udienza circa il riconoscimento personale avvenuto in aula da parte di Sc. V., gli elementi posti a fondamento della decisione appaiono in realtà tali da esprimere un’integrale condivisione della decisione di primo grado.

Il rilievo, cui fa riferimento il ricorrente, è infatti dovuto a un’imprecisa lettura di quanto accaduto nel corso del giudizio di primo grado e riportato nel verbale di udienza 20 gennaio 2009 che parla di rinnovazione del riconoscimento fotografico da parte della Sc., mostrando alla stessa le foto prodotte dal pubblico ministero e al diniego di una identificazione dell’imputato in aula.

Al riguardo, il giudice di primo grado, condiviso il parere contrario del pubblico ministero, ha rigettato la richiesta della difesa, ritenendo l’assenza di dubbi sull’identità dell’imputato. Il verbale stenotipico 20 gennaio 2009 – cui questa Corte ha accesso per verificare la sussistenza di atti processuali oggetto di contestazione tra le parti – riporta a p. 15 il riconoscimento fotografico, effettuato dalla Sc. non soltanto di S., ma anche degli altri soggetti che da quest’ultimo, in presenza della stessa Sc., hanno acquistato da S. dosi di stupefacente, in particolare D.A. e G. I. ( G.).

Per queste ragioni il giudice di primo grado ha ritenuto superfluo un ulteriore atto identificativo di S., con il quale peraltro, come chiaramente precisato in sentenza, la Sc. aveva abituale frequentazione tanto da conoscere i luoghi di "rifornimento" della droga nonchè altri tossicodipendenti cui la sostanza era ceduta e in alcuni casi anche somministrata in casa.

Anche la testimonianza dell’ufficiale di polizia Giudiziaria Ca.Mi., cui il giudice d’appello ha fatto riferimento come riscontro alle dichiarazioni della Sc., è in sintesi riportata nella sentenza di primo grado nei punti più significativi e utilizzabili perchè non appresi dalla Sc.. M. C. ha riferito circostanze ritenute utili, da entrambi i giudici di merito, per l’attendibilità di Sc.Va..

Il giudice di primo grado, alle cui valutazioni la Corte d’appello integralmente aderito, si è espresso in termini chiari – al di là dell’erroneo riferimento di una personale identificazione avvenuta in udienza – sulla inutilità di una formale ricognizione di S., già descritto dalla Sc. la cui credibilità è avvalorata da specifiche circostanze riferite dal teste Mi.

C..

Le censure di mancata risposta da parte del giudice d’appello sono, dunque, infondate. Il diniego della ricognizione da parte del giudice di primo grado è stata, in realtà, condiviso e fatto proprio dalla Corte d’appello.

Sull’integrazione delle due decisioni di merito e sulla unitaria valutazione che esse esprimono rispetto alle scelte ricostruttive là dove giungono a uguali conclusioni, non può che essere riaffermato il principio di diritto per il quale non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando il giudice di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonchè della corrispondente motivazione, segua le grandi linee del discorso del primo giudice. Ed invero, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (ex plurimis, Sez. 3^, 14 febbraio 1994, dep. 23 aprile 1994, n. 4700; Sez. 6^, 20 gennaio 2003, dep. 13 marzo 2003, n. 11878; Sez. 3^, 1 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, n. 13926). In altri termini, nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2^, 10 novembre 2000, dep. 2 aprile 2001, n. 13151; Sez. 6^, 19 ottobre 2012, dep. 28 dicembre 2012, 49970).

2. In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2013

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Cass. pen., sez. VI 18-11-2008 (14-11-2008), n. 43127 Mandato d’arresto europeo – Consegna per l’estero – Consegna di persona minorenne al momento della commissione del fatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

FATTO E DIRITTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma, sezione per i minorenni, disponeva la consegna all’autorità giudiziaria della Repubblica di Romania di C.V.L., nei cui confronti era stato emesso in data (OMISSIS) mandato di arresto europeo (MAE) dal Tribunale di Calarasi in relazione all’ordine di esecuzione emesso il (OMISSIS) per l’espiazione della pena di anni quattro di reclusione inflittagli con sentenza in data 4 maggio 2005 del medesimo Tribunale, divenuta irrevocabile, per il reato di furto aggravato continuato previsto dagli artt. 208 e 209 c.p., rumeno, commesso tra il (OMISSIS).
Nei confronti del C., che, a seguito di inserimento dell’ordine di carcerazione nel SIS, era stato arrestato dai Carabinieri della Compagnia di Roma P.zza Dante in data 14 agosto 2008, il Consigliere delegato dal Presidente della Corte di appello di Roma emetteva in data 17 agosto 2008 provvedimento di convalida dell’arresto e, stante la ritenuta sussistenza del pericolo di fuga, di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere.
Ricorre per cassazione il C. di persona, deducendo:
1. Violazione della L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 2, lett. b), non essendo stati compiuti dalla Corte di appello accertamenti circa l’esistenza nell’ordinamento dello Stato richiedente di istituti idonei ad assicurare una specifica tutela dell’imputato minorenne, anche sotto il profilo della valutazione della sua imputabilità, considerato anche che egli era affidato al fratello minore, essendo privo dei genitori.
2. Mancanza di motivazione in relazione alla previsione della L. n. 69 del 2005, art. 18, lett. t), secondo cui la consegna deve essere rifiutata se il provvedimento cautelare sulla base del quale il MAE è stato emesso risulta mancante di motivazione.
Osserva la Corte che il ricorso è inammissibile, stante la sua manifesta infondatezza.
Circa l’accertamento nel procedimento svoltosi innanzi all’a.g. rumena della capacità di intendere e di volere del consegnando, minore all’epoca della commissione dei fatti per i quali è stato condannato, va rilevato che, come da atto incidentalmente lo stesso ricorrente, una simile indagine risulta essere stata effettuata, dato che tra la documentazione trasmessa è compresa una relazione peritale datata 27 novembre 2002 (a fol. 79) nella quale, secondo la traduzione fattane, si conclude che il C. era "capace di discernimento, avendo la capacità di considerazione critica del contenuto ed i risultati dei suoi fatti".
Al riguardo è opportuno precisare che, ai fini della verifica imposta dalla L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. i), l’a.g. italiana, una volta accertato che l’indagine sulla maturità psichica del minore sia stata operata, deve prendere necessariamente atto delle conclusioni cui è pervenuta su tale aspetto l’a.g. dello Stato di emissione (Cass. sez. 6^, 22 maggio 2008, Sardaru), a meno che l’indagine sia stata effettuata con modalità all’evidenza inadeguate o lesive della personalità del minore; circostanza che nella specie non appare ricorrere, tanto più che le difficili situazioni familiari del C., di cui si fa cenno nel ricorso, risultano essere state prese in considerazione dalla relazione peritale, come si ricava dal tenore di questa.
Quanto al secondo motivo, esso è incongruo rispetto alla fattispecie in esame, in cui il MAE è stato emesso sulla base non di un provvedimento cautelare, ma di una sentenza di condanna irrevocabile:
sicchè la previsione della L. n. 69 del 2005, art. 18, comma 1, lett. t), non può qui essere evocata.
La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 22, comma 5.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 22, comma 5.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.